La differenza principale tra un marchio forte e un marchio debole risiede nella loro capacità distintiva e nel livello di protezione legale che ricevono.
È molto importante essere a conoscenza della differenza tra marchio debole e marchio forte, questo perché la natura stessa del marchio riflette direttamente su quelle che sono le caratteristiche identificative dello stesso e di conseguenza anche su quella che sarà poi la tutela allo stesso riservata nell’ambito della proprietà intellettuale. Per questo motivo andiamo ad analizzare le differenze esistenti sotto il profilo legale tra marchio debole e marchio forte.
Indice degli Argomenti
Cosa si intende per marchio forte
Un marchio forte si definisce tale quando il suo significato non coincide con la denominazione o con la descrizione di un prodotto/servizio. Un marchio forte è quindi, per sua natura, privo di qualsiasi attinenza con il prodotto o servizio che contraddistingue oltre ad avere, come ulteriore elemento caratterizzante, una componente di fantasia/creatività data dall’utilizzo di nomi o parole che non hanno, concettualmente, attinenza con il prodotto o il servizio interessato.
Un marchio forte, generalmente, è distintivo e unico. Questo significa che è facilmente riconoscibile e non può essere facilmente confuso con altri marchi. Esempi di marchi forti sono quelli che utilizzano nomi inventati, termini fantasiosi, o combinazioni inusuali di parole. Questi marchi godono di una protezione legale più ampia perché sono chiaramente associati a un singolo prodotto o azienda nella mente dei consumatori. In sede legale, un marchio forte è più facile da difendere in caso di controversie per violazione del marchio, in quanto la sua unicità e distintività rendono più evidente l’uso improprio o la copia da parte di terzi.
Uno degli esempi più calzanti di marchio forte è “Apple”: in questo caso infatti il nome di un frutto viene utilizzato per individuare un mercato che niente ha a che fare con il settore alimentare e che riguarda invece quello dell’elettronica. Altri esempi di marchi forti possono essere considerati brand come “Sony ”, “Rolex”, “Damiani”, “Scottex” poiché nessuno di questi rappresenta o contiene all’interno del nome il prodotto che rappresenta o contraddistinguere.
Cosa si intende per marchio debole
Per marchio debole si intende un marchio che descrive la natura o la qualità di un prodotto ovvero ha una forte attinenza (o quantomeno lascia trasparire) rispetto al prodotto/servizio al quale si riferisce. Un marchio debole gode di una protezione in caso di contraffazione del marchio solo limitatamente alla parte che si differenzia dalla denominazione del prodotto mentre la parte non distintiva potrà essere utilizzata anche da soggetti terzi senza che ciò possa configurare di per sé un illecito.
Un marchio debole è quello che utilizza parole comuni, descrittive o generiche, che sono direttamente legate ai prodotti o servizi che rappresenta. Per esempio, usare una parola come “veloce” per un servizio di consegna potrebbe essere considerato debole perché è troppo descrittivo delle caratteristiche del servizio. I marchi deboli sono più difficili da registrare e proteggere legalmente perché non offrono un livello elevato di distintività. Inoltre, è più probabile che sorgano controversie legali, poiché altri possono sostenere che termini generici o descrittivi non possono essere monopolizzati da un’entità commerciale. Esempi di marchi deboli possono essere Divani&Divani, ScarpaMondo, Radio105, Melinda, etc.
In questi casi, come è facile intuire, il nome del marchio contiene anche il nome stesso del prodotto (o servizio) a cui si riferisce e in tal caso non potrà essere di per sé vietato l’utilizzo da parte di terzi delle parole come per esempio “divani” “scarpa” o “radio”, per contraddistinguere prodotti/servizi identici o simili. In conclusione i marchi che contengono, descrivono o richiamano un prodotto o un servizio con parole e/o segni sono marchi che normalmente vengono considerati deboli e quindi più facilmente imitabili dai concorrenti.
La differenziazione tra marchio forte e marchio debole e tutela
La distinzione tra marchio debole e marchio forte attiene quindi alla diversa tutela di cui gode il marchio stesso in casi di concorrenza sleale o contraffazione. La legge garantisce chiaramente una tutela maggiore al marchio forte ed è la stessa giurisprudenza ad aver rilevato di volta in volta sui casi presi in esame come la distinzione tra segni forti e deboli, pur non essendo espressamente prevista a livello normativo, incida sul grado di tutela riconosciuto ai diversi tipi di marchi. La tutela dei marchi forti è caratterizzata quindi da maggior incisività in quanto qualsiasi tipo di variazione sarebbe ritenuta illegittima, di contro, il marchio debole potrà essere utilizzato da qualsiasi soggetto terzo senza che il titolare dello stesso possa opporsi.
La capacità di un marchio di essere protetto dipende anche dalla sua notorietà. Un marchio debole può diventare più forte e quindi più protetto legalmente se acquisisce notorietà nel tempo. Questo avviene quando un numero significativo di consumatori inizia ad associare il marchio con un particolare prodotto o servizio, anche se in origine il marchio era considerato debole.
la forza di un marchio nel contesto legale si riflette nella sua distintività e riconoscibilità. Mentre i marchi forti godono di una maggiore protezione legale e sono più facili da difendere, i marchi deboli possono incontrare ostacoli sia nella registrazione sia nella protezione legale. La transizione da un marchio debole a uno forte può avvenire attraverso la costruzione di una forte identità di marca e il riconoscimento del marchio nel mercato.
La giurisprudenza sulla tutela del marchio forte e del marchio debole
Con la sentenza n. 9769 del 19 aprile 2018 la Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, è intervenuta sul tema affrontando l’argomento sui marchi registrati e delineando i confini tra le diverse figure e le forme di tutela. Di seguito si riporta il testo della pronuncia (quasi integrale):
“La Corte d’appello di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, con sentenza n. 2/2014 – in giudizio promosso dalla Pirelli Tyre spa nei confronti delle società Automobiles Citroen S.A. e Citroen Italia spa, per sentire accertare la contraffazione dei propri marchi, nazionali, comunitari ed internazionali, denominativi, “P Zero” e “Zero” (registrati dal 1999), ad opera delle società convenute, con la pubblicizzazione di un modello di autoveicolo elettrico denominato “C-Zero” (utilizzato dal 2010) e con la registrazione del marchio denominativo comunitario “Citroen C-Zero”, con richieste di inibitoria e di condanna al risarcimento dei danni, ha confermato, respingendo il gravame della P., la decisione di primo grado, che aveva respinto le domande attrici.
In particolare, i giudici della Corte d’appello – premesso che l’indagine doveva essere limitata al solo segno “P-Zero” di titolarità della P., sul quale si era “concentrata ogni argomentazione difensiva delle parti”, e non anche estesa al segno “Zero”-, in ordine alla, riconosciuta, capacità distintiva di entrambi i segni contrapposti, espressioni di fantasia, hanno evidenziato, in aggiunta alle argomentazioni espresse dai giudici di primo grado, che sia il segno “P-Zero” sia quello “C-Zero” sono marchi complessi, composti da una lettera e da un numero, di uso comune, la cui capacità distintiva risiede, in assenza di particolari grafie, forme o disegni, proprio nell’insieme dei due termini, la lettera, corrispondente alla lettera iniziale delle due case produttrici (P e C), e la cifra, riferita alla specialità dei prodotti (ZERO), ma, salvo il profilo della loro rinomanza, intrinsecamente deboli, cosicchè la loro contraffazione può essere esclusa anche per mezzo di lievi modifiche; quanto al pericolo di confusione, pur essendo stato il marchio della P. registrato anche per “ruote di veicoli di ogni genere” e dunque anche per veicoli elettrici (con conseguente affinità merceologica dei prodotti di riferimento dei segni), nel concreto, come evidenziato correttamente dai giudici di primo grado, il rischio di confusione, ai sensi dell’art. 20 c.p.i, comma 1, lett. b), doveva escludersi, essendo entrambi i segni contrapposti “quanto meno notori”, il primo nell’ambito delle alte prestazioni in competizioni sportive, il secondo in quello del risparmio energetico nell’ordinaria circolazione cittadina e considerato il grado di attenzione richiesto per l’acquisto di un’autovettura, che non può essere determinato dal richiamo del marchio “P-Zero” di P.; quanto all’indebito agganciamento alla rinomanza dell’anteriore marchio della P. (per contraddistinguere articoli di lusso, anche nel settore della moda), la Corte d’appello, pur riconoscendo essere stata provata la rinomanza del segno della P., ha ritenuto che essa, da sola, non fosse sufficiente e che non fossero stati dimostrati gli indispensabili requisiti della mala fede del concorrente, dell’inganno dell’utente finale, del profitto per uno dei due concorrenti e del pregiudizio per l’altro.
Avverso la suddetta sentenza, la P. Tyre spa propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di Autornobiles Citroen S.A. e Citroen Italia spa (che resistono con controricorso). Il P.G. ha depositato conclusioni scritte e le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 20 c.p.i., comma 1, lett. B) e art. 9, comma 1, lett. b) del Regolamento 207/2009, avendo errato i giudici della Corte d’appello nel ritenere i segni della P. deboli e non forti, in difetto di alcun collegamento con il prodotto cui sui riferiscono e senza tener conto degli effetti, almeno, di successiva acquisizione del carattere forte in conseguenza dell’uso nel tempo, e pur avendo poi gli stessi giudici, contraddittoriamente, affermato che essi dovevano qualificarsi come notori; 2) con il secondo motivo, sempre la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 20 c.p.i., comma 1, lett. B) e il Regolamento n. 207 del 2009, art. 9, comma 1, lett. b) ma con riguardo alla non considerata, dalla Corte d’appello, rilevanza dell’anteriorità di registrazione P. nell’ambito del giudizio di confondibilità, condotto tra due marchi ritenuti entrambi notori, ed alla riconosciuta qualificazione del marchio Citroen come notorio, in difetto di documentazione idonea; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 20 c.p.i., comma 1, lett. B) e il Regolamento n. 207 del 2009, art. 9, comma 1, lett. b), in rapporto al giudizio operato dalla Corte distrettuale (nel tenere conto del grado di attenzione del pubblico correlato al rilevante valore del prodotto da acquistare) sulla confondibilità in concreto tra i prodotti contraddistinti dai segni contrapposti, anzichè sulla confondibilità in astratto tra i marchi e comunque secondo modalità errate (dovendo essere messi in comparazione, nel giudizio di confondibilità in concreto, il veicolo “Citroen-C-Zero”, equipaggiato con gomme di serie, ed i pneumatici “P-Zero”, realizzati specificamente per un analogo veicolo elettrico); 4) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli art. 20 c.p.i., comma 1, lett. C) e art. 9, comma 1, lett. C) del Regolamento 207/2009, essendo le condizioni, presupposto dell’ipotesi illecita dell’indebito agganciamento a marchio rinomato (nella specie, in capo a Citroen per effetto del valore attrattivo esercitato dal marchio “P-Zero”), date dall’indebito vantaggio e dal pregiudizio, alternative tra loro e non cumulative, e non rilevando inoltre nè la mala fede in capo al concorrente nè l’inganno sul consumatore.
2. La prima censura è infondata.
L’art. 20 comma 1 lett.b) del c.p.i. prevede che il titolare di un marchio registrato possa vietare a terzi l’uso, senza il proprio consenso, nell’attività economica, di un “segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini”, laddove “a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi” possa determinarsi “un rischio di confusione per il pubblico”, che può consistere “anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
Ora, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Cass. 15840/2015; Cass. 3118/2015; Cass. 1906/2010; Cass. 4405/2006; Cass. 21086/2005), vale a dire “con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro” (Cass. 4405/2006). Inoltre, secondo costante orientamento di questa Corte, se il segno è privo di aderenza concettuale con i prodotti contraddistinti e quindi forte, le “variazioni che lasciano intatta l’identità del nucleo ideologico che riassume la attitudine individualizzante del segno debbono ritenersi inidonee ad escludere la confondibilità”, occorrendo, ai fini del giudizio rischio di confusione, sempre verificare se vi sia stata “appropriazione del nucleo centrale dell’ideativo messaggio individualizzante del marchio anteriore, con riproduzione od imitazione di esso nella parte atta ad orientare le scelte dei potenziali acquirenti” (Cass. 18920/2004).
In presenza di un marchio “forte” (cioè frutto di fantasia, senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti), detta tutela si caratterizza per una maggiore incisività rispetto a quella dei marchi “deboli”, perchè rende illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo individualizzante.
Nella specie, la Corte d’appello, confermando il giudizio espresso dal Tribunale, sulla base di una valutazione, prima, delle caratteristiche dei contrapposti segni e, quindi, dei settori merceologici di riferimento, ha affermato che i marchi contrapposti “P-Zero” (della P.) e “C-Zero” (della Citroen) sono marchi complessi, essendo composti da una lettera e da un numero (infradecimale), astrattamente registrabili, ai sensi dell’art. 7 c.p.i. rispetto anche ai prodotti e servizi considerati, il cui cuore individualizzante non deve essere riferito ai singoli componenti ma al loro insieme, in assenza di particolari, grafie, forme o disegni; la Corte distrettuale ha quindi affermato che i segni contrapposti in giudizio, “ai fini della capacità distintiva (prescindendo dalla pretesa rinomanza dell’uno e dell’altro e dal pericolo di confusione)”, sono segni entrambi deboli.
La notorietà, per effetto del secondary meaning, estensibile anche al caso di trasformazione di un marchio originariamente debole in uno forte (Cass. 22953/2015), e quindi la tutela propria dei marchi forti, operante anche a fronte di modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo, che costituisce l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante (Cass. 1267/2016), nella specie, secondo la Corte d’appello, non ha rilievo.
La Corte distrettuale, infatti, ha escluso il rischio di confusione, ai sensi dell’art. 20, comma 1, lett. b), anzitutto, in quanto il carattere distintivo-individualizzante è rinvenibile soltanto in relazione al marchio “P-Zero” nel suo complesso ed inoltre essendo i marchi contrapposti composti da più elementi, essi solo in parte (la cifra espressa in lettere, “Zero”) coincidenti.
Questa Corte Suprema ha, in effetti, ribadito (Cass. 10071/2008; Cass. 26420/2010; Cass. 1249/2013; Cass. 5099/2014) che il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dei quali dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile (pur essendone, generalmente, la forza distintiva affidata all’elemento costituente il c.d. cuore del marchio), non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento; quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest’ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato debole, tale seconda fattispecie differenziandosi, peraltro, dal marchio di insieme in ragione del fatto che i segni costitutivi di quest’ultimo sono privi di un’autonoma capacità distintiva, essendolo solo la loro combinazione. Ai marchi complessi si contrappongono i marchi d’insieme, nei quali la capacità distintiva ricorre non nei singoli, differenti elementi che li costituiscono, i quali singolarmente considerati non sono neppure idonei a distinguere, ma nella loro combinazione (Cass. 7488/2004: “il marchio d’insieme si distingue dal marchio complesso: mentre quest’ultimo è riconoscibile nel segno risultante da una composizione di più elementi ciascuno dotato di capacità caratterizzante, la cui forza distintiva è tuttavia affidata ad uno di essi costituente il c.d. cuore, assolutamente protetto per la sua originalità, nel marchio d’insieme, invece, si ha la mancanza di un elemento caratterizzante (il c.d. cuore), essendo i vari elementi tutti singolarmente mancanti di distintività ed essendo soltanto la combinazione cui tali elementi danno vita, ovvero appunto il loro insieme, che può avere, per come viene percepito dal mercato, un valore distintivo più o meno accentuato”).
La Corte d’appello ha, poi, osservato che i due marchi, qui in esame contrapposto, nella loro complessa configurazione, sono (come si è detto divenuti) notori e che tale notorietà esclude di per sè il rischio di confusione. La controricorrente Citroen, parafrasando sul punto la sentenza della Corte territoriale, ha correttamente rilevato che il lancio pubblicitario del nuovo veicolo è stato tale, per mole di spesa, da assicurare quel risultato anche in poco tempo, tenuto conto della esistenza già di una notoria famiglia di marchi Citroen-“C”.
Tale ragionamento della Corte d’appello, per quanto si è detto, non è per nulla in contraddizione con la prima affermazione, circa il carattere debole dei due segni complessi, in quanto i giudici hanno voluto, con ciò, rimarcare che la notorietà di entrambi i marchi, “P-Zero” “C Zero”, è stata acquisita, oltre che in misura e tempi diversi per gli investimenti pubblicitari relativi ai singoli segni speciali ed alle famiglie dei marchi, anche per la collegata rinomanza delle rispettive case produttrici; ciò che vale ad impedire il pericolo di confusione tra i segni.
3. Il secondo motivo è del pari infondato.
La Corte d’appello ha proceduto comunque a valutare globalmente il rischio di confusione tra il segno anteriore registrato e quello successivamente utilizzato da Citroen, escludendone la sussistenza, senza operare alcuna indebita inversione tra i segni, anteriore e posteriore, e non basando l’esclusione del rischio di confusione sulla “notorietà del marchio posteriore”.
4. La terza censura è, del pari, infondata.
L’art. 20 c.p.i. richiede che il rischio di confusione sia l’effetto congiunto sia della somiglianza tra i segni, il marchio anteriore ed il segno successivo, sia della affinità o identità tra i prodotti o i servizi designati (cfr. Cass. 11031/2016, ove si parla di “interdipendenza tra somiglianza dei segni e quella dei prodotti contrassegnati”), in riferimento a consumatore di media intelligenza e capacità ma pur sempre tenendo conto della specifica clientela cui il prodotto o servizio è destinato (Cass. 18920/2004; Cass. 24909/2008; Cass. 11031/2016).
Laddove, invece, viene usata l’espressione “giudizio di confondibilità in astratto o in concreto” si intende, in genere, contrapporre due tipologie di giudizio di confondibilità, tanto con riguardo ai segni, quanto con riguardo ai prodotti o ai servizi contrassegnati, il primo condotto sulla sola base degli elementi risultanti dalla registrazione e il secondo con riguardo alle modalità effettive di uso del segno, e non anche limitare il giudizio sul rischio di confusione ai soli segni o anche ai prodotti.
Secondo i giudici distrettuali, il rischio di confusione deve essere, nella fattispecie, escluso, oltre per le differenze tra i segni, aventi le caratteristiche sopra descritte, anche tenendo conto che, pur nell’affinità di alcuni prodotti designati (in quanto “i pneumatici sono parti essenziali dei veicoli, appartengono allo stesso ambito merceologico dei veicoli, con possibilità di riferimento, per il pubblico, ad una comune origine”), il pubblico di riferimento, il consumatore, in definitiva, ha un livello di attenzione che si colloca nella soglia alta, allorquando acquista un veicolo elettrico, cosicchè non può ingenerarsi nello stesso “l’erronea convinzione di comperare un’auto P. o, più semplicemente, un’auto fornita dei pneumatici ad altissima prestazione “P Zero”. La Corte d’appello ha, in aggiunta, rilevato che non sussiste neppure un rischio di associazione, “quando l’offerta sul mercato viene presentata da due case produttrici rinomate e dalle caratteristiche ben distinte”.
La sentenza impugnata risulta dunque conforme ai principi di dritto richiamati.
5. Il quarto motivo è parimenti infondato.
La Corte d’appello, con riguardo alla tutela del marchio rinomato, di cui all’art. 20, comma 1, lett. c) c.p.i. (in base al quale il titolare del marchio registrato ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica… “c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”), pur riconoscendo che era stata provata la rinomanza dei marchi P., sulla base della “consistente pubblicità anche nel campo della moda”, ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per l’invocata tutela del marchio che gode di rinomanza, avendo, all’esito di una valutazione complessiva, escluso che, sulla base degli elementi probatori in atti, fossero stati dimostrati “la mala fede del concorrente” (vale a dire un uso del segno senza giusto motivo), “l’inganno dell’utente finale” (nel ritenere esistente un nesso tra il segno e l’altrui marchio), il profitto per uno dei due concorrenti (ovvero l’indebito vantaggio) ed il pregiudizio per l’altro, inteso sia come diluizione del potere del marchio “P-Zero” sia come compromissione del potere di attrazione del marchio anteriore. La Corte d’appello ha rilevato poi che, nella specie, era ininfluente la invocata tutela ultramerceologica (in riferimento al settore della moda), essendo risultato che la Citroen era attiva nello stesso campo merceologico della commercializzazione di veicoli ed accessori.
Trattasi di valutazione in fatto, non censurabile sotto il profilo della violazione di legge (in quanto, i presupposti, alternativi e non cumulativi, sono stati comunque tutti esclusi) e congruamente motivata.
6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità…”
La Corte di Cassazione con la sentenza sopra riportata ha quindi ulteriormente ribadito come in caso di marchio forte la confondibilità dello stesso permanga anche laddove siano state apportate consistenti varianti allo stesso ma che il pericolo di confusione tra marchi può essere escluso quando entrambi i segni distintivi siano invero qualificabili come notori.
Il marchio descrittivo
Oltre alla differenza netta che possiamo avere tra marchi forti e marchi deboli vi sono poi altri tipi di marchi che merita analizzare: tra di essi il marchio descrittivo che è invece un tipo di marchio composto esclusivamente da segni o indicazioni che descrivono direttamente il prodotto o il servizio che contraddistinguono, oppure una sua caratteristica. È una tipologia di marchio che ha molte probabilità di non essere accettato o comunque, qualora ottenesse la registrazione, potrebbe essere successivamente dichiarato nullo.
Un marchio descrittivo può acquisire protezione legale se sviluppa una “distintività secondaria“. Ciò significa che nel tempo, attraverso l’uso estensivo e il marketing, i consumatori iniziano ad associare il marchio con una particolare fonte piuttosto che con la descrizione del prodotto o servizio stesso.
Un esempio potrebbe essere “Panetteria Fresca” per un negozio di pane. Inizialmente, è un marchio descrittivo perché descrive semplicemente il fatto che la panetteria vende pane fresco. Tuttavia, se nel tempo i consumatori iniziano a riconoscere “Panetteria Fresca” non solo come una descrizione, ma come un indicatore dell’azienda specifica che produce quel pane, allora il marchio può acquisire distintività secondaria e diventare protetto legalmente.
Il divieto di registrazione di simili marchi lo troviamo disciplinato all’art. 13 del Codice della Proprietà Industriale (CPI), il quale stabilisce che non possano costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni “divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi costanti del commercio” e quelli “costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono”, ovvero i marchi indicativi del nome comune di un prodotto o di una categoria merceologica e quelli meramente descrittivi delle caratteristiche o delle funzioni essenziali del prodotto contraddistinto.
Il secondary meaning
Il termine “secondary meaning” (o “significato secondario“) nel contesto dei marchi si riferisce a un concetto legale nel diritto dei marchi, dove un termine o un’espressione che inizialmente è descrittiva o generica per un prodotto o un servizio diventa riconosciuto dal pubblico come indicativo di una particolare origine commerciale. In altre parole, benché il marchio inizialmente non fosse distintivo o fosse troppo descrittivo per essere registrato, ha acquisito distintività attraverso l’uso prolungato e il marketing, portando i consumatori ad associarlo a un particolare produttore o fornitore.
Un marchio con un significato secondario può essere registrato, offrendo protezione legale contro l’uso non autorizzato da parte di terze parti. Una volta che un marchio ha acquisito un significato secondario, gode di una protezione legale simile a quella di un marchio arbitrario o inventato, che sono tipicamente più forti e distintivi.
Questo fenomeno è disciplinato dall’art. 13, comma 2 e 3 del Codice della Proprietà Industriale e si verifica in particolare quando un marchio, grazie all’uso che ne viene fatto, acquisisce un significato ulteriore rispetto a quello originario, che ne determina la distintività e ne garantisce così la tutela.
Consulenza legale online
Se hai letto questo articolo e ti sei reso conto che potresti aver bisogno di aiuto nell’analizzare la tua situazione in relazione all’applicazione di questa normativa, contattami! Ricorda che solo attraverso l’ausilio di un legale esperto del settore potrai evitare di commettere errori. Non aspettare, contattami subito.