Ti sei trasferito in Indonesia? Lavoro in Indonesia: vuoi sapere se devi pagare le imposte in Italia? Proviamo a rispondere definitivamente a questa domanda, dandovi gli strumenti per capire quando in caso di redditi esteri, sei tenuto a pagare le imposte anche in Italia. Tutte le informazioni per i soggetti che percepiscono redditi da lavoro in Indonesia.
Lavori a Giacarta e vuoi sapere se devi dichiarare anche in Italia i tuoi redditi? Hai passato un periodo di lavoro in Indonesia, e adesso ti chiedi se devi presentare la dichiarazione dei redditi in Italia?
In questo articolo troverai le risposte a queste domande.
Negli ultimi anni trasferirsi in cerca di fortuna all’estero è stata la strada praticata da molti. Sia studenti che lavoratori hanno scelto per motivi diversi l’Indonesia come Paese nel quale raggiungere i propri obiettivi: studio, oppure lavoro e carriera.
Sono sicuro che se stai leggendo questo articolo molto probabilmente è perché stai effettuando un lavoro in Indonesia. Oppure vi hai lavorato nel corso dell’ultimo anno e vuoi sapere se sei tenuto a dichiarare in Italia i redditi esteri che hai percepito.
Come avrai avuto modo di constatare personalmente, la tassazione dei redditi percepiti all’estero è sempre un aspetto che genera molta confusione. Questo in quanto vi sono vari aspetti da tenere in considerazione per capire dove devono essere tassati i redditi percepiti all’estero.
Vi sono poi differenze a seconda della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato estero ove il reddito è stato percepito. Per questo motivo, dare una risposta generale non è mai possibile, ma è sempre opportuno andare ad analizzare in dettaglio ogni situazione.
Indice degli Argomenti
Il caso di partenza
In questo contributo ci occuperemo del caso classico che riguarda i redditi da lavoro in Indonesia percepiti da un soggetto fiscalmente residente in Italia, che si chiede se e come sia tenuto a dichiarare nel nostro Paese questi redditi.
Prendiamo il caso di un soggetto, che chiameremo Luca che ha trascorso 12 mesi in Indonesia nel corso dell’anno precedente per lavorare come social media manager per una multinazionale. Luca si è trasferito dall’Italia proprio per avere l’opportunità di lavorare per questa società, ove ha svolto un periodi di pratica di 12 mesi. Adesso stanno per assumerlo per 5 anni, con un contratto di lavoro dipendente.
Luca, al momento della partenza dall’Italia sapeva che il periodo all’estero non sarebbe stato prolungato. Per questo ha deciso di non effettuare l’iscrizione all’AIRE, rimanendo a tutti gli effetti una persona residente fiscalmente in Italia. Domiciliato temporaneamente all’estero per effettuare un lavoro in Indonesia.
Luca in questo momento è molto dubbioso circa il da farsi per quanto riguarda la sua dichiarazione dei redditi in Italia. Deve presentarla? Che tassazione riceverà sui redditi esteri che ha percepito?
In questo contributo andremo a dare una risposta a queste domande. Ricordiamo che sono molti gli italiani, soprattutto studenti, ad avere un lavoro in Indonesia, magari temporaneo, per qualche mese o anno (manager, ingegneri, architetti, consulenti, ma anche persone in cerca di fortuna), e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte sui redditi anche in Italia.
Non è raro il caso in cui questi lavoratori italiani domiciliati all’estero, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di dare una risposta chiara a questo argomento.
Siete pronti? Si parte!
Lavoro in Indonesia: imposte italiane
Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“. Tale definizione è disciplinata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86.
E’ in base al concetto di residenza fiscale, infatti, che trova applicazione la potestà impositiva, a livello fiscale, di ogni Nazione.
Secondo l’articolo 2 del DPR n. 917/86 un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se è iscritto all’anagrafe della popolazione residente, o alternativamente se ha il proprio domicilio o la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia), per la maggior parte del periodo di imposta.
Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, come nel caso del nostro lettore, che nonostante sia all’estero da oltre 183 giorni nell’anno, non si è mai iscritto all’AIRE, comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero.
Worldwide taxation principle
Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, previsto dall’articolo 3 del DPR n. 917/86. Questo principio è uno dei pilastri fondamentali su cui si basa il nostro sistema fiscale, ma anche quello di molti dei sistemi fiscali dei Paesi europei.
Il concetto è molto semplice. Un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite), in un unico Stato, quello di residenza, salvo poi ottenere un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della fonte).
Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia in concomitanza di almeno uno dei seguenti requisiti:
- Essere residente in Italia, per almeno 183 giorni all’anno (la maggior parte dell’anno solare).
- Essere iscritto nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (quindi, non essere iscritto all’AIRE).
- Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza , ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.
Per approfondire: AIRE: Anagrafe degli Italiani residenti all’estero
Residenza fiscale e tassazione
I criteri sopra indicati utili per verificare la residenza fiscale sono alternativi tra loro. Quindi, è sufficiente realizzare anche soltanto una di quelle fattispecie per essere considerati fiscalmente residenti in Italia.
Tra queste fattispecie vi è una presunzione assoluta: un soggetto iscritto all’anagrafe di un comune italiano per almeno 183 giorni (anche non consecutivi), in un anno, è considerato fiscalmente residente in Italia, indipendentemente dalla prova della sua presenza nel territorio del nostro Paese.
Nella fattispecie del nostro lettore, non essendosi mai cancellato dall’anagrafe della popolazione residente, per questa presunzione assoluta, è considerato comunque residente fiscalmente in Italia. Questo anche se dovesse fornire prove certe e non confutabili della sua residenza estera. Tale aspetto è fondamentale e dovrebbe essere chiaro a tutti quelli stanno per andare a lavorare all’estero o progettano di andarci.
In base a quanto previsto dagli articoli 2 e 3 del DPR n. 917/86, i soggetti residenti in Italia che producono redditi all’estero sono tenuti al pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche non soltanto sui redditi prodotti in Italia, ma anche sui redditi prodotti all’estero, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto.
Per questo motivo il nostro lettore è tenuto ogni anno a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.
Lavoro dipendente estero
Il caso preso in esame riguarda una persona fisica che si è trovata a svolgere un’attività di lavoro in Indonesia, con la forma che conosciamo come “lavoro dipendente” per conto di un datore di lavoro residente in Indonesia.
Sul punto, l’articolo 51, comma 8, del DPR n. 917/86 prevede quanto segue:
“il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale”
Si tratta di una prima agevolazione che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito, ma quello più favorevole previsto dalle retribuzioni convenzionali.
Tuttavia, per poter applicare concretamente questa normativa, è necessario che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel Decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali. Si tratta di un Decreto che viene puntualmente pubblicato e aggiornato ogni anno.
In concreto, per poter applicare le retribuzioni convenzionali per la tassazione del reddito in Italia è necessario che il lavoratore abbia un contratto di lavoro nel quale è indicato il ruolo e la retribuzione che avrebbe avuto in Italia per quella stessa mansione.
E’ facile ritenere, quindi, che questa possibilità sia di più facile attuazione per i dipendenti di multinazionali, inviati a lavorare in un Paese diverso dall’Italia. In tutti gli altri casi chiedere l’applicazione di questa norma è sicuramente più difficile.
Per approfondire: Residenza fiscale delle persone fisiche
Evitare la doppia imposizione
Come abbiamo visto, il lavoro in Indonesia, può comportare il pagamento delle imposte sui redditi in Italia.
Questo è quanto è dovuto, almeno per il nostro caso preso in esame, in quanto Luca si trova a dover pagare le imposte sia in Indonesia (se dovute) che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito.
Lavoro in Indonesia: doppia imposizione
Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Indonesia (firmata il 28 febbraio 1990), sia il DPR n. 917/86 (Tuir), prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito.
Per potere applicare concretamente questo principio ci viene in aiuto l’articolo 165 del DPR n. 917/86.
Tale articolo prevede che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.
Imposte a titolo definitivo
A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica l’articolo 165 del DPR n. 917/86 prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia.
Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate in Indonesia a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.
Ad esempio se per un reddito pari a €. 1.000 la tassazione in Indonesia è pari a zero ed in Italia pari al 23% il nostro lettore verserà all’Amministrazione finanziaria Italiana tutta la tassazione dovuta del 23%, proprio perché in Indonesai per quel reddito non vi è tassazione. Altrimenti l’imposta da pagare in Italia sarebbe stata differenziale rispetto a quella dovuta nel Paese ove si è percepito il reddito.
In questo modo viene correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione di uno stesso reddito, previsto dall’articolo 165 del DPR n. 917/86.
I consigli
Cosa possiamo imparare dall’esame di questo caso?
Prima di tutto è bene ribadire che in questi casi è fondamentale consultare un Commercialista esperto in fiscalità internazionale, quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali conseguenti.
Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità. Quello che posso dirvi è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE.
La questione però non si risolve così semplicemente. E’ necessario che il contribuente che intende trasferirsi all’estero sposti con se il c.d. “centro degli interessi vitali“. Con questo termine si fa riferimento sia i suoi principali interessi familiari e lavorativi.
Un soggetto che vuole trasferirsi all’estero lasciando la sua famiglia in Italia o i suoi principali interessi economici in Italia sarà sicuramente soggetto a controlli ed accertamenti. Per questo è bene pianificare con cura ed in anticipo questi aspetti legati alla normativa fiscale.
Questo, anche se potrà sembrarvi poco conveniente, vi consentirà di risparmiarvi in futuro un possibile lungo e costoso contenzioso fiscale con l’Amministrazione finanziaria.
Se tutto questo non dovesse bastare?
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