Flat tax neo-residenti sale a 300.000 euro dal 2026

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Terzo ritocco in otto anni: l’ultimo poco più di 12 mesi fa. Quando l’instabilità normativa rischia di allontanare più di quanto potrebbe attrarre.

Centomila euro in più. È quanto dovranno sborsare, dal 2026, i “paperoni” stranieri che scelgono l’Italia come nuova residenza fiscale. La Legge di Bilancio 2026 porta infatti la flat tax per i neo-residenti da 200.000 a 300.000 euro annui, con la quota per i familiari che raddoppia da 25.000 a 50.000 euro.

Ma il vero problema non è il numero sul modello di pagamento delle imposte. È il messaggio che l’Italia sta mandando al mondo: qui le regole cambiano ogni anno, e quella che oggi sembra un’opportunità domani potrebbe diventare un conto salato. Quando un paese modifica le condizioni di un regime agevolato per la terza volta in otto anni, il rischio non è tanto di perdere gettito immediato quanto vanificare la propria reputazione come destinazione fiscale affidabile.

La cronologia delle modifiche all’imposta sostitutiva dei neo residenti

Facciamo un passo indietro. Il regime opzionale per i neo-residenti nasce nel 2017, ispirandosi ai modelli già sperimentati da Regno Unito, Svizzera e Portogallo. L’idea è semplice ma potente: chi trasferisce la residenza fiscale in Italia e non è stato residente per almeno nove degli ultimi dieci anni può optare per una tassazione forfettaria sui redditi esteri, anziché dichiararli secondo le aliquote ordinarie.

Il punto di partenza? Centomila euro annui, più 25.000 euro per ogni familiare. Una cifra che, sulla carta, rendeva l’Italia competitiva rispetto agli altri paradisi fiscali europei per gli high net worth individuals. Per quindici anni, prometteva la norma. Un orizzonte temporale ragionevole per pianificare un trasferimento di vita e patrimonio.

Poi arriva il 2024. La conversione in legge del D.L. n. 113/24  raddoppia la flat tax: da 100.000 a 200.000 euro. Motivazione ufficiale: aumentare il gettito da un regime che, secondo molti osservatori, porta più prestigio che sostanza nelle casse dello Stato. I neo-residenti, si dice, tengono i patrimoni all’estero, acquistano immobili di lusso che alimentano bolle speculative, spendono in beni esclusivi che beneficiano pochi settori. L’economia reale non ne risente granché.

E ora, nemmeno dodici mesi dopo, ecco il terzo atto: 300.000 euro dal 2026. Un aumento del 50% rispetto a quanto stabilito appena un anno fa. Un incremento del 200% rispetto all’importo originario di otto anni fa. È una progressione che solleva interrogativi legittimi sulla strategia di lungo periodo, ma che deve essere analizzata nel contesto più ampio della competizione fiscale europea.

I numeri

Qui emerge il primo dato sorprendente: nonostante i continui rincari, il regime continua ad attrarre. Secondo i dati più recenti, nel 2022 oltre 37.000 persone hanno trasferito la residenza fiscale in Italia approfittando dei vari regimi agevolati, e circa un migliaio ha optato per la flat tax forfettaria da “paperoni“. L’Italia è diventata il secondo paese europeo per numero di miliardari residenti, dietro solo alla Germania, e il settimo a livello mondiale.

Questo successo ha cause molteplici. In parte è merito delle qualità intrinseche del sistema italiano: un regime fiscale che, anche a 300.000 euro, rimane matematicamente vantaggioso per chi ha redditi esteri di diversi milioni; l’assenza di imposte di successione sui beni esteri; la possibilità di svolgere attività lavorativa in Italia (a differenza del forfait svizzero); la qualità della vita, il clima, la cultura e l’eccellenza dei servizi di alta gamma.

Ma c’è anche un altro fattore: il riposizionamento forzato dei competitor. Il Regno Unito ha abolito dal 2025 lo storico regime “resident but not domiciled” che per decenni ha attirato l’élite globale. Il Portogallo, dopo aver visto sbarcare 90.000 nuovi residenti fiscali con conseguente esplosione dei prezzi immobiliari e tensioni sociali, ha eliminato nel 2020 le agevolazioni più generose. La Svizzera, pur restando competitiva, affronta pressioni politiche interne e possibili referendum su tasse alle successioni.

L’Italia sta quindi beneficiando sia delle proprie qualità sia degli errori altrui. Non è una posizione di forza assoluta, ma nemmeno di debolezza. È una finestra di opportunità che deve essere gestita con intelligenza strategica.

Le valutazioni degli investitori

Quando un investitore o un contribuente facoltoso valuta dove trasferire la propria residenza, la stabilità normativa conta eccome. Modificare lo stesso regime tre volte in otto anni può generare perplessità, soprattutto tra chi pianifica decisioni decennali. Il rischio è che potenziali neo-residenti si chiedano: “Se in otto anni sono passati da 100.000 a 300.000, cosa succederà nei prossimi otto?

Questa preoccupazione è legittima, ma deve essere contestualizzata. Anche altri paesi hanno modificato i loro regimi, spesso in modo molto più drastico dell’Italia. Il Regno Unito non ha fatto piccoli aggiustamenti: ha abolito completamente il regime non-dom. Il Portogallo ha eliminato le agevolazioni per i pensionati. Rispetto a questi cambiamenti radicali, l’Italia sta facendo aggiustamenti incrementali che mantengono comunque il regime attivo e conveniente.

Inoltre, chi ha già aderito al regime mantiene le condizioni originarie per tutti i quindici anni. La “cristallizzazione” delle condizioni iniziali è un elemento di certezza non trascurabile. Un contribuente che ha optato nel 2020 continuerà a pagare 100.000 euro fino al 2035, indipendentemente da cosa succederà nel frattempo.

Il vero problema non è tanto l’instabilità in sé, quanto l’assenza di una comunicazione strategica chiara su dove l’Italia vuole arrivare.

Possibili prospettive future

Una delle critiche più fondate al regime italiano non riguarda tanto l’importo, quanto l’assenza di requisiti di sostanza economica. Oggi un neo-residente può versare 300.000 euro, acquistare un immobile di lusso, tenere tutti i capitali all’estero e vivere di rendita senza mai immettere un euro nell’economia produttiva italiana. Nessuna assunzione, nessuna partecipazione in aziende italiane, nessun investimento in startup o progetti imprenditoriali.

Alcuni paesi stanno sperimentando modelli diversi: legare le agevolazioni fiscali a investimenti minimi obbligatori in attività produttive, venture capital, bond governativi o progetti di sviluppo territoriale. Questo approccio trasformerebbe i neo-residenti da semplici consumatori di beni di lusso a potenziali catalizzatori di sviluppo economico.

L’Italia potrebbe evolvere in questa direzione. Ad esempio: mantenere la flat tax a 300.000 euro, ma ridurla a 200.000 per chi investe almeno un milione in startup innovative italiane o in progetti di sviluppo del Sud. Oppure prevedere crediti d’imposta per chi crea occupazione qualificata. Questo cambierebbe la narrazione del regime, trasformandolo da “privilegio per ricchi” a “strumento di attrazione di capitali produttivi“.

Il confronto europeo

Mettiamo i numeri in prospettiva comparata. La Svizzera, con il suo forfait fiscale, prevede una tassazione che può aggirarsi intorno ai 455.000 euro o più, basata sulle spese del contribuente. Cifra più alta di quella italiana. Ma il sistema svizzero offre stabilità normativa da decenni e assenza di limiti temporali. Paghi di più, ma hai certezza assoluta.

L’Italia, con i suoi 300.000 euro, si posiziona in una fascia intermedia: più accessibile della Svizzera, più stabile del Regno Unito post-abolizione, potenzialmente più conveniente di molte altre giurisdizioni. Non è la destinazione più economica in assoluto, ma nemmeno la più cara. È un’opzione “premium-accessibile” con qualità della vita eccellente.

Il vero vantaggio italiano rispetto a molti competitor è la flessibilità del regime: puoi escludere specifici paesi dall’applicazione della flat tax se conviene tassarli ordinariamente; puoi svolgere attività lavorativa in Italia; non ci sono imposte di successione sui beni esteri. Questa flessibilità operativa conta, a volte, più dell’importo nominale.

Consulenza fiscale online

Se stai valutando il trasferimento della tua residenza fiscale in Italia o hai già aderito al regime e vuoi capire come proteggerti da eventuali evoluzioni normative future, una consulenza specializzata può fare la differenza. Il tema non è solo fiscale, ma strategico: implica pianificazione patrimoniale, analisi dei rischi normativi, valutazione comparata delle alternative internazionali e strutturazione ottimale della tua posizione.

Ogni situazione patrimoniale e personale è unica: redditi, composizione del patrimonio, nucleo familiare, obiettivi di vita e mobilità sono variabili che richiedono un’analisi personalizzata. Contattaci per una consulenza approfondita: valutiamo insieme se il regime italiano è conveniente per il tuo caso specifico, come strutturare al meglio l’adesione, e quali alternative esistono nel panorama internazionale. In un contesto normativo dinamico, l’unica vera certezza è che decisioni informate valgono molto più dell’improvvisazione.

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