Con il termine esterovestizione societaria (“foreign dressed companies“) si fa riferimento ad una pratica che configura un’evasione fiscale internazionale. Si verifica quando una società, pur avendo la sua sede principale e l’amministrazione effettiva in Italia, si trasferisce fittiziamente all’estero per ottenere un regime fiscale più vantaggioso.
In parole semplici, l’azienda crea una “scatola vuota” all’estero, con sede legale e magari qualche ufficio secondario, mentre la vera attività economica e decisionale rimane in Italia. In questo modo, si cerca di evadere le tasse in Italia e di beneficiare di un sistema fiscale più favorevole nel paese di destinazione.
Attenzione! |
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L’esterovestizione societaria è una pratica illegale e può essere perseguita dalle autorità fiscali con severe sanzioni. |
Indice degli Argomenti
- La costituzione di società all’estero e la pianificazione fiscale aggressiva
- La fattispecie di esterovestizione societaria
- La residenza fiscale delle società
- Le contestazioni di esterovestizione in caso di accertamento
- Sanzioni legate alla contestazione di esterovestizione societaria
- Come difendersi dalla contestazione di esterovestizione societaria?
- Residenza estera fittizia: risposta ad interpello n. 27/E/2022
- Conclusioni e consulenza fiscale
- Domande frequenti
La costituzione di società all’estero e la pianificazione fiscale aggressiva
Costituire o trasferire un’azienda all’estero è l’idea di molti imprenditori. Stabilire la propria residenza o localizzare la struttura società in un Paese estero può portare diversi vantaggi. Primo tra tutti il fatto di sfuggire alla tassazione su base mondiale applicabile in Italia. Scegliendo un Paese a fiscalità privilegiata, infatti, il vantaggio fiscale che la società può ottenere è importante.
Guardando al passato, è quello che è accaduto anni fa con tantissime imprese italiane che si sono spostate nei Paesi dell’Europa dell’Est. Il fenomeno è stato davvero rilevante e nel tempo ha portato l’Amministrazione finanziaria ad approfondire i controlli per individuare quelli effettuati in modo non corretto. Infatti, costituire un’azienda all’estero non è vietato, ma deve essere effettuato rispettando criteri ben precisi, altrimenti, l’imprenditore rischia di incorrere nella fattispecie di residenza societaria fittizia all’estero. Tutte le volte in cui viene creata un’azienda all’estero senza una valida ragione economica e senza una reale attività svolta in loco siamo di fronte ad una fattispecie di pianificazione fiscale aggressiva, che è oggetto di violazione delle normative antielusive.
Non sono rari, infatti, gli accertamenti fiscali legati alla residenza fiscale estera societaria, e le info sull’argomento sono frammentarie non accurate. Inutile girarci intorno, oggi la residenza societaria fittizia all’estero è un fenomeno di evasione fiscale internazionale. Per questo motivo è opportuno conoscere questo fenomeno.
Gli elementi che possono far presumere l’esterovestizione
Di seguito, alcuni elementi che possono far presumere l’esterovestizione societaria:
- La società ha la sede legale all’estero, ma la sua attività economica è svolta principalmente in Italia;
- I soci, gli amministratori e i dipendenti della società risiedono tutti in Italia;
- La società utilizza beni strumentali e risorse umane situate in Italia;
- Le decisioni strategiche e/o quotidiane della società vengono prese in Italia;
Detto questo, andiamo ad approfondire i concetti principali legati all’esterovestizione, ovvero il concetto di residenza fiscale delle società.
La fattispecie di esterovestizione societaria
L’esterovestizione societaria è una fattispecie di violazione fiscale che si realizza quando un ente societario, presenta queste due caratteristiche principali:
- Risulta formalmente residente all’estero, con atto costitutivo e statuto societario esteri;
- Presenta determinati presupposti di collegamento (indicati dal TUIR) che collegano la società con il territorio italiano.
Questi criteri di collegamento devono essere talmente rilevanti da spostare la residenza societaria, di fatto, dall’estero all’Italia.
Esempio di esterovestizione societaria |
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Un imprenditore italiano decide di trasferire la sua società in un paradiso fiscale per pagare meno tasse. La società ha la sede legale nel paradiso fiscale, ma l’amministrazione e l’attività economica rimangono in Italia. L’amministrazione fiscale italiana, accertata l’esterovestizione, può contestare all’imprenditore il pagamento delle imposte non versate, con interessi e sanzioni. |
È importante sottolineare che la pianificazione fiscale internazionale è lecita, a patto che non si configuri come esterovestizione. Se un imprenditore sta pensando di trasferire la sua società all’estero, è fondamentale che si rivolga a un consulente esperto per evitare di incorrere in sanzioni.
La residenza fiscale delle società
Per arrivare a definire la fattispecie di esterovestizione societaria è necessario, preliminarmente, partire dal concetto di residenza fiscale. Questi due aspetti sono tra loro strettamente correlati. La definizione di residenza fiscale delle società è contenuta nell’articolo 73, comma 3, del DPR n. 917/86. Questa norma prevede che:
Art. 73, co. 3, del TUIR |
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“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o la gestione ordinaria in via principale nel territorio dello Stato” |
Per stabilire se una società può essere considerata residente in Italia occorre valutare congiuntamente due aspetti:
- Da un lato la localizzazione o meno nel territorio italiano di uno dei seguenti elementi:
- La sede legale;
- La sede amministrativa;
- La gestione ordinaria in via principale;
- Dall’altro la durata della presenza di tali elementi nell’arco del periodo di imposta. Ovvero, la sussistenza degli stessi per la maggior parte del medesimo.
Questi elementi sono alternativi tra di loro. Quindi al verificarsi anche di uno solo la società si considera fiscalmente residente in Italia. Possiamo dire, quindi, che se l’atto costitutivo o lo statuto stabiliscono in Italia la sede legale di una società, questa sarà da considerarsi residente nel territorio dello Stato.
Se la sede è all’estero, è necessario andare oltre, ed individuare la genuinità della sede legale estera, verificando l’eventuale presenza in Italia della sede amministrativa e/o il luogo dove avviene la gestione ordinaria (c.d. “day of effective management“). Pertanto, è necessario fare riferimento alla situazione di fatto e, quindi, individuare il luogo dove effettivamente gli amministratori della società esercitano l’attività amministrativa in modo stabile.
La sede effettiva di una società
Che cosa si deve intendere per sede effettiva di una società? Per capirlo ci vengono incontro sia l’articolo 4 del Modello OCSE che la sentenza n. 136/1998 della Corte di cassazione. Secondo questi documenti la sede effettiva della società deve considerarsi:
Sede effettiva di una società |
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“il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa. Cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali“ |
Il comma 4 dell’articolo 73 del DPR n 917/86 stabilisce che l’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.
Individuazione della sede effettiva di aziende estere
In relazione ai soggetti non residenti occorre poi considerare il successivo comma 5 dell’articolo 73. Questa norma è molto importante, in quanto stabilisce la residenza in relazione all’attività effettivamente esercitata. Questa norma stabilisce che:
Art. 73, co. 5 TUIR – Residenza in relazione all’attività esercitata |
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“in mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente residente è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato. Tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti“ |
In conclusione, quindi, per stabilire se una società estera è fiscalmente residente in Italia, occorre analizzare i criteri di collegamento con il territorio italiano. Questi criteri devono essere visti da un punto di vista sostanziale come sede dell’amministrazione e svolgimento della gestione ordinaria in via principale dell’attività.
Da considerare che il criterio della sede legale ha natura prettamente formale. Quindi, da solo non è affatto sintomatico dell’effettivo collegamento di natura economica e sociale con lo Stato di residenza effettiva. Tuttavia, l’onere della prova grava sull’Amministrazione finanziaria. Devono essere i verificatori, nell’ambito della propria attività ispettiva, a dover dimostrare che la società è fittiziamente estera. La residenza fittizia si riscontra quando, nella realtà, la società ha un radicamento con il territorio italiano tale da farla considerare fiscalmente residente nello stesso a tutti gli effetti.
Ho approfondito gli aspetti legati alla residenza fiscale delle società in questo articolo: “La residenza fiscale delle società: guida“.
Presunzione legale di residenza fiscale in Italia di società estere che controllano società residenti
Accanto all’art. 73, co. 3 del TUIR, il legislatore ha previsto una particolare disciplina legata all’esterovestizione per le società holding, ovvero, società estere che detengono partecipazioni in società di capitali residenti. In questi casi, la nozione di residenza societaria estera fittizia è disciplinata dall’articolo 73, comma 5-bis, del TUIR.
Questa norma è di fondamentale importanza per tutti gli imprenditori che costituiscono imprese all’estero. Essa, infatti, prevede una presunzione legale relativa di residenza fiscale italiana di società costituite all’estero. Naturalmente, al verificarsi di alcuni presupposti previsti dalla norma. Vediamo cosa prevede l’articolo 73, comma 5-bis del TUIR:
Art. 73, co. 5-bis TUIR – Presunzione legale relativa di residenza fiscale in Italia di società estera |
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“Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1. Questo se, in alternativa: – sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; – sono amministrati da un Consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato“. |
Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono solo astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione della società estera.
Inversione dell’onere della prova
La norma introduce una sostanziale inversione dell’onere della prova nella disciplina della residenza fiscale delle società estere. Questo, nel caso in cui controllo risulti riconducibile, anche in via indiretta, a soggetti italiani. L’imprenditore ha la possibilità di superare tale presunzione, dimostrando che non si tratti di una collocazione puramente formale. È bene, infine, evidenziare che il controllo operato dalle società estere nei confronti delle società residenti nel territorio dello Stato può consistere soltanto nell’ipotesi di controllo diretto (non anche indiretto), a differenza di quello operato sulle società estere da parte di società italiane che può essere anche indiretto.
Questa disciplina, come confermato dalla stessa Amministrazione finanziaria con la risposta ad interpello n. 164/E/2023, riguarda le società holding non residenti che detengono partecipazioni di controllo in società residenti. Una società estera operativa, invece, non può rientrare in questa disciplina, potendo, invece, rientrare nel più generale art. 73, co. 3, del TUIR.
La fattispecie di controllo indiretto dall’Italia
Come detto, il controllo operatore sulle società estere da parte di società italiane può essere anche indiretto e provocare comunque la fattispecie di residenza estera fittizia. Sul punto è particolarmente interessante la sentenza della CTR Lombardia n. 7078/16.
Il caso è quello di una società considerata esterovestita con sede legale in Lussemburgo, ma ritenuta entità fittiziamente collocata all’estero. Infatti, la compagine societaria della stessa società è posseduta da due holding di diritto olandese, a loro volta facenti capo ad un soggetto residente fiscalmente in Italia. Una delle due holding olandesi ha una sede secondaria in Italia e controlla una SRL italiana (le due società hanno lo stesso indirizzo di sede). Ora la società lussemburghese oggetto di contestazione, ha una partecipazione inferiore al 50% nella SRL italiana.
In questo caso, la partecipazione a controllo indiretto, rispecchia la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5-bis del TUIR, in quanto vi è il richiamo all’art. 2359 c.c., in merito all’influenza dominante, che non necessariamente deve evincersi in una partecipazione di controllo diretta. In questa sentenza la CTR arriva a definire l’esistenza di un controllo di fatto di soggetti italiani nella società lussemburghese, confermando la fattispecie di residenza estera fittizia.
Conseguenze sulle imposte indirette
La fattispecie di residenza estera fittizia di una società è configurabile ed ha conseguenze non solo ai fini delle imposte dirette, ma anche per quelle indirette. Non è sufficiente la residenza estera di una società senza l’esercizio di attività economica in loco.
Il caso è quello di una società conferitaria residente UE a cui sono stati apportati beni immobili situati in Italia, da parte di soci Italia. I beni risultano essere utilizzati da soci in Italia, ed il veicolo estero appare costruito al solo fine di ridurre la tassazione indiretta italiana sul conferimento. Questo per dire che, oltre all’impatto sulle imposte dirette la residenza estera fittizia impatta anche su quelle indirette. Vi è, infatti, una sentenza della commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, la numero 861 del 18 agosto 2020 che ridetermina la tassazione indiretta legata ad un conferimento immobiliare in una società considerata esterovestita.
Per approfondire: “Società esterovestite con conseguenze sulle imposte indirette“.
Le contestazioni di esterovestizione in caso di accertamento
Le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria nell’ambito degli accertamenti in tema di esterovestizione sono le stesse che possono sorgere nell’ambito dell’accertamento della residenza effettiva di un soggetto estero. Come detto, tuttavia, in caso di contestazione della fattispecie di residenza estera fittizia l’onere della prova è a carico del contribuente.
Questo vuol dire che deve essere il contribuente ha portare prove a proprio carico per dimostrare la sua effettiva attività svolta all’estero. Per quanto riguarda le possibili contestazioni dei verificatori è stato chiarito che:
- In sede ispettiva l’attenzione dei verificatori deve essere incentrata su: sede legale, sede dell’amministrazione e oggetto sociale. Questo al fine di dimostrare che la veste giuridica formale della società non trova riscontro con il dato fattuale;
- Particolare attenzione dove essere posta sia nelle ipotesi in cui il controllo della residenza ai fini fiscali avviene in modo mirato. Sulla base cioè di un’analisi preliminare e ragionata della struttura e dell’operatività della società sia nei casi in cui, nella fase di accesso presso una società residente, sia casualmente rinvenuta documentazione di varia natura attinente l’operatività di una società formalmente costituita all’estero, che, in quanto tale, non avrebbe titolo per essere custodita nel territorio dello Stato. Di conseguenza, dei criteri di collegamento citati (sede legale, sede dell’amministrazione, svolgimento dell’attività ordinaria in via principale), il meno rilevante in sede di controllo è quello della sede legale, dal momento che questa, pur ricorrendo nell’atto costitutivo o nello statuto della società, può, in concreto esaurirsi in una indicazione meramente formale.
Controlli in sede dell’Amministrazione finanziaria
In relazione al controllo della sede dell’amministrazione, i verificatori possono seguire due orientamenti:
- L’uno formale, volto ad accertare il luogo nel quale si riunisce il Consiglio di amministrazione ovvero l’assemblea dei soci (presumibilmente il luogo in cui vengono assunte le decisioni fondamentali della società).
- L’altro sostanziale, finalizzato ad individuare i seguenti elementi sintomatici della presenza in Italia della sede dell’amministrazione:
- La residenza degli amministratori, avendo principale riguardo agli amministratori di fatto e non a quelli di diritto;
- Il potere effettivo di gestione dei conti bancari della società e, più in genere, delle sue disponibilità finanziarie;
- L’affidamento di poteri decisionali in capo all’assemblea dei soci residenti in Italia in relazione agli aspetti fondamentali e vitali della gestione societaria;
- La struttura organizzativa della società, da intendersi come il luogo in cui è presente un apparato organizzato di beni e persone, dove viene esercitata l’impresa e da dove promanano le attività di direzione dell’ente.
In sede ispettiva l’attenzione dei verificatori andrà posta sul reperimento di tutti gli elementi utili a comprovare, nel loro insieme, che le attività amministrative e gestionali della società formalmente residente all’estero sono di fatto svolte sul territorio nazionale.
Luogo di svolgimento dell’oggetto dell’attività
Per quanto riguarda, invece, l’individuazione dell’oggetto principale dell’attività svolta dalla società, occorre svolgere indagini in merito ai seguenti aspetti:
- Il luogo di svolgimento delle attività che hanno consentito la conclusione di atti e negozi.
- L’identità e residenza delle controparti contrattuali;
- L’individuazione dei mercati sui quali sono stati negoziati i titoli di eventuali società partecipate, nonché l’ubicazione di tali società;
- La localizzazione dell’effettiva gestione dei conti correnti e delle disponibilità finanziarie della società;
- L’assoggettamento effettivo alle imposte estere (come logica conseguenza della residenza nel Paese estero).
- Il possesso di idonee autorizzazioni amministrative per l’esercizio di attività concesse dalle autorità locali.
Sanzioni legate alla contestazione di esterovestizione societaria
Il rischio di effettuare pianificazioni fiscali internazionali, è di incappare nel reato di esterovestizione e di conseguenza si può essere puniti per:
- Dichiarazione omessa;
- Dichiarazione infedele;
- Omessa effettuazione di ritenute alla fonte;
- Omessa tenuta delle scritture contabili;
- Fino ad essere puniti per frode fiscale e ulteriori reati.
Sanzioni amministrative
In caso di accertamento della residenza fiscale estera fittizia, la società può essere imputata, a livello amministrativo, per l’omissione dei seguenti aspetti:
- Istituzione delle scritture contabili obbligatorie ai fini Iva e delle imposte sui redditi;
- Richiesta di attribuzione del numero di codice fiscale;
- Presentazione della dichiarazione di inizio attività e del luogo di tenuta e conservazione dei libri, registri, le scritture ed i documenti obbligatori;
- Presentazione della dichiarazione annuale dei redditi ai fini Ires;
- Dichiarazione annuale ai fini Iva;
- Ed infine della presentazione della dichiarazione annuale ai fini Irap.
Il reato di esterovestizione
Ai fini penali tributari occorre invece valutare attentamente l’eventuale rilevanza della fattispecie delittuosa punita dall’articolo 5 D.Lgs. n. 74/2000, qualora l’esterovestizione venga qualificata come un fenomeno evasivo. In caso di elusione fiscale o di abuso del diritto è prevista l’irrilevanza penale delle situazioni constatate ai fini fiscali.
L’antigiuridicità del comportamento, in caso di residenza fiscale estera fittizia, sotto il profilo fiscale, riguarda la mancata effettuazione degli adempimenti richiesti dalla legislazione Italiana.
Attenzione! |
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La localizzazione della dimensione soggettiva si fonda su elementi dichiarativi falsi, e quindi i fenomeni di esterovestizione non possono essere ricondotti nell’ambito delle fattispecie elusive, ma rappresentano casi di evasione. |
Di conseguenza, seguendo la linea interpretativa riconducibile all’evasione fiscale, potrebbero anche essere applicate le sanzioni penali previste in tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
L’art. 5 D.Lgs. n. 74/2000, prevede che è punito con la reclusione da due a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. Non si considera omessa la dichiarazione presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
Come evitare le sanzioni?
I reati di esterovestizione riguardano sia casi di omissioni dichiarative sia casi di mancato pagamento di imposte. Non è necessario alcun avviso di accertamento definitivo per avviare il procedimento penale, il quale prosegue parallelamente al contenzioso tributario, o anche dopo la sua chiusura. Al contribuente a cui è stato contestato il reato di esterovestizione, deve dimostrare e fornire la prova contraria con elementi, situazioni od atti, idonei a dimostrare il radicamento effettivo, della società, all’estero. Secondo quanto stabilito dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E/2006, dovrà provare:
- Che gli insediamenti produttivi e commerciali all’estero sono effettivi;
- La società estera ha una specializzazione, non solo in senso geografico, ma anche strategico ed economico rispetto alla capogruppo ed alle altre consociate;
- Che dai flussi informativi e contrattuali si desume la totale indipendenza economica delle partecipate estere rispetto alla holding;
- Sussistono sistemi di tesoreria centralizzata, che possano testimoniare l’autonomia finanziaria della società estera rispetto all’ente controllante;
- Esiste autonomia gestionale dei soggetti preposti all’attività di impresa all’estero, in termini di organizzazione del personale, di poteri di spesa (in ottica finanziaria), di approvvigionamento (acquisti) e di negoziazione di contratti con i clienti esteri.
Come difendersi dalla contestazione di esterovestizione societaria?
A questo punto può essere utile effettuare alcune considerazioni sugli elementi che puoi utilizzare in tua difesa per uscire dalla contestazione. In questi casi l’imprenditore si trova in una situazione che lo colloca in una condizione di partenza estremamente svantaggiosa rispetto all’accertamento condotto sulla base della residenza fiscale effettiva. La Circolare n. 28/E/2006 dell’Agenzia delle Entrate afferma che il contribuente potrà fornire la prova contraria richiamando:
- Elementi di fatto;
- Situazioni od atti,
idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero. Quindi, sotto il profilo sostanziale, dovrà essere provato ad esempio che:
- Gli insediamenti produttivi/commerciali all’estero sono effettivi ed esistono delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi;
- In linea con il modello organizzativo e funzionale di gruppo, le società estere si caratterizzano per una specializzazione, non solo in senso geografico, ma anche strategico ed economico rispetto alla capogruppo ed alle altre consociate;
- Dai flussi informativi e contrattuali intercompany si desume la totale indipendenza economica delle partecipate estere rispetto alla holding;
- Sussistono sistemi di tesoreria centralizzata (c.d. cash pooling), che testimoniano l’autonomia finanziaria delle società estere rispetto all’ente controllante;
- Esiste autonomia gestionale dei soggetti preposti all’attività di impresa all’estero (c.d. country manager), in termini di organizzazione del personale, di poteri di spesa (in ottica finanziaria), di approvvigionamento (acquisti) e di negoziazione di contratti con i clienti esteri.
Corte di cassazione
La Corte di cassazione ha chiarito che: “ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell’ipotesi di esterovestizione, ossia di fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, non è necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale. Ma, invece, occorre verificare se il trasferimento in realtà vi è stato, o no, cioè se l’operazione sia meramente artificiosa, consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica“.
Come superare la presunzione di residenza in Italia della società estera
In particolare, vi sono alcuni elementi utilizzabili dal contribuente per superare la presunzione relativa introdotta dalla norma nelle seguenti ipotesi:
- Quella di una holding mista. Vale a dire una società che, oltre a detenere partecipazioni di controllo, svolge prevalentemente all’estero attività industriale, commerciale o finanziaria. In questa ipotesi il superamento della presunzione potrà avvenire invocando validamente l’effettiva localizzazione dell’attività principale all’estero. La quale è connessa, nella maggior parte dei casi, all’assunzione in loco delle decisioni gestionali;
- Quella di una holding di gestione. Ovvero una società che svolge anche attività ausiliarie (finanziamento, amministrazione) oltre alla direzione e al coordinamento delle partecipate. In questo caso, la prova di residenza all’estero dovrà essere fornita rilevando che l’attività svolta dalla holding è un’attività economica autonoma rispetto a quella delle partecipate e che il luogo in cui tale attività si svolge è all’estero;
- Quella di una holding passiva. Ovvero di una società che non è dotata all’estero di una struttura organizzativa apprezzabile di cui possa essere verificata la localizzazione in quanto si limita a detenere partecipazioni in società residenti in Italia senza svolgere alcuna attività economica di rilievo all’estero. La possibilità di fornire la prova in questo caso è meno agevole. Potrebbe essere di aiuto la composizione del patrimonio della holding estera, laddove la parte prevalente delle partecipazioni possedute sia relativa a società estere o ad altri investimenti all’estero e, quindi, la partecipazione di controllo nella società italiana rappresenta una parte solo residuale del patrimonio.
Esterovestizione societaria e giurisprudenza di legittimità
In tema di contestazione di residenza estera fittizia sono interessanti le conclusioni pervenute dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 43809/2015, relativa alla contestazione di residenza estera fittizia di una struttura societaria di gruppo collocata in Lussemburgo titolare di alcuni marchi. I giudici hanno evidenziato che, in una naturale dinamica di gruppo, esiste un’attività di direzione e coordinamento della società controllante sulla società controllata estera.
Ratio della decisione dei giudici
In particolare, i giudici hanno sottolineato tre concetti:
- La costruzione di puro artificio,
- La finalità prevalente di elusione,
- Infine la libertà di scelta fra carichi fiscali diversi,
La corte ha evidenziato il principio in base al quale se non sussiste costruzione artificiosa non può esistere abuso. Secondo i Giudici di legittimità nel caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, c.c., per stabilire ove è posta la sede amministrativa della società, si deve guardare al concetto della direzione e coordinamento. Infatti, la sede di direzione effettiva non può essere individuata semplicemente con il luogo da cui partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative laddove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana.
La Cassazione prosegue evidenziando che a tal fine bisogna appurare che la società estera non sia una costruzione di puro artificio. La società deve essere un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità all’atto costitutivo o allo statuto. Per stabilire, dunque, la natura artificiosa o meno della società estera si può fare riferimento ai criteri indicati a livello interno dall’articolo 162 del DPR n. 917/86. Infatti, se un ufficio ha i connotati per configurare una stabile organizzazione esso potrà essere valutato anche come luogo di effettivo esercizio di attività di impresa.
Il principio della libertà di stabilimento
Ciò in quanto il giudice non può adottare una interpretazione che vada a limitare la libertà di stabilimento, in quanto nel principio costituzionale che la disciplina l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni. Occorre solo valutare se l’ufficio corrisponde ad una costruzione di puro artificio volta a lucrare benefici fiscali oppure no.
Secondo i giudici, infatti, il vantaggio fiscale è indebito non perché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale, ma lo è solo se è ottenuto mediante costruzioni non aderenti alla realtà. In conclusione, quindi, il contribuente in sede contenziosa potrà far valere il principio secondo cui, in ipotesi di controllo ex articolo 2359 c.c., l’esterovestizione non dipende da impulsi gestionali o direttive amministrative impartite dalla controllante italiana alla controllata estera, ma dal fatto che quest’ultima non sia una costruzione di puro artificio. In tal senso il contribuente potrà fare riferimento alla semplice nozione di stabile organizzazione contenuta nell’articolo 162 del DPR n. 917/86.
Residenza estera fittizia: risposta ad interpello n. 27/E/2022
L’Agenzia delle Entrate è intervenuta sul tema della residenza estera fittizia in relazione alla Risposta ad interpello n. 27/E/2022. L’Amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti sulla presunzione relativa della residenza fiscale delle società. In particolare, l’applicazione dell’esterovestizione, ex art. 73, co. 5-bis del TUIR non applicabile nel caso in cui la società estera non sia holding e non detenga direttamente partecipazioni societarie in società italiane. Il caso oggetto di analisi riguarda una società non residente, controllata al 51% da parte di una società italiana. Uno dei componenti del Consiglio di Amministrazione (CdA), composto da due amministratori, uno dei quali ha residenza italiana. Come indicato nell’articolo, ai sensi dell’art. 73, co. 5-bis del TUIR, una società estera ha residenza in Italia quando:
- La società estera è controllata, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia, ai sensi dell’art. 2359 del Codice Civile;
- La società estera è amministrata da un CdA, o da altro organo equivalente competente nella gestione societaria, la cui composizione prevalente è data da consiglieri residenti in Italia.
Quella appena illustrata è una presunzione relativa, che è superabile mediante prova contraria. L’Agenzia delle Entrate nella sua risposta delimita chiaramente la portata di applicazione di questa presunzione legale relativa, ammettendo che l’Amministrazione finanziaria non può considerare esterovestita una società estera controllata da società italiana se la stessa non è a sua volta controllata da amministratori italiani o da società italiana. Questo significa che l’applicazione dell’art. 73, co. 5-bis del TUIR avviene quando la società estera detiene partecipazioni di controllo in società fiscalmente residenti in Italia (fattispecie non oggetto di analisi).
Esterovestizione non limita la libertà di stabilimento
Particolarmente interessante è, quindi, la portata di tale chiarimento, in quanto pone dei limiti ad una presunzione che rischierebbe di incidere su quella che può essere una normale esigenza di localizzazione di impresa. Tuttavia, l’Agenzia prosegue l’analisi evidenziando le differenze tra esterovestizione e la residenza fiscale di una società (ex art. 73, co. 3 del TUIR), determinata da questi elementi:
- Sede legale in Italia;
- Oggetto principale in Italia;
- Sede amministrativa in Italia
per la maggior parte del periodo di imposta. Fatte queste considerazioni, pare altrettanto utile precisare che, quand’anche la società estera non fosse considerata esterovestita, non è detto che non sia da considerarsi italiana, se l’Amministrazione finanziaria riesce a prova (la prova è a suo carico) la fittizia localizzazione all’estero, e l’effettiva localizzazione in Italia, dettata dall’intento di un indebito vantaggio fiscale. È opportuna, dunque, una valutazione per singolo caso di specie al fine di inquadrare la qualificazione fiscale della società stabilita all’estero, ed evitare l’applicazione di importanti sanzioni.
Conclusioni e consulenza fiscale
In questo articolo ho voluto riepilogare i principali aspetti da conoscere in tema di esterovestizione. Si tratta di una fattispecie molto comune negli accertamenti fiscali, ma poco conosciuta da parte degli imprenditori. Molto spesso, l’Agenzia delle Entrate non notifica direttamente un accertamento per residenza estera fittizia. Concretamente è molto difficile portare un’azienda estera a pagare imposte in Italia.
Tuttavia, questo tipo di accertamenti può portare a conseguenze molto pesanti per l’impresa e per l’imprenditore che ha posto in essere impropriamente attività di pianificazione fiscale aggressiva. La cosa importante per evitare problemi è individuare in anticipo eventuali criticità della propria struttura societaria. Solo in questo modo è possibile evitare noiosi e lunghi accertamenti fiscali.
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Domande frequenti
L’esterovestizione societaria è una pratica illegale che configura un’evasione fiscale internazionale. Si verifica quando una società, pur avendo la sua sede principale e l’amministrazione effettiva in Italia, si trasferisce fittiziamente all’estero per ottenere un regime fiscale più vantaggioso.
L’esterovestizione societaria è una pratica rischiosa che può comportare severe sanzioni da parte dell’amministrazione fiscale italiana. Le sanzioni possono includere il pagamento delle imposte non versate, con interessi e sanzioni amministrative, ma in alcuni casi possono essere valutate fattispecie penalmente rilevanti.
Se un imprenditore sta pensando di trasferire la sua società all’estero, è fondamentale che si rivolga a un consulente esperto per evitare di incorrere in sanzioni. Il consulente potrà valutare la situazione specifica dell’azienda e consigliare la migliore soluzione per trasferire la società all’estero in modo legale e sicuro.