Quando si vuole determinare la residenza fiscale di un società controllata estera, di un gruppo multinazionale è opportuno tenere in considerazione tutti gli elementi utili a questo scopo. Molto spesso, in questi termini, si tende a dare una non adeguata considerazione alla legittima attività di direzione e coordinamento esercitata dalla controllante/capogruppo che, inevitabilmente, porterebbe a gravare il soggetto di una obbligazione tributaria non dovuta (in Italia). In tal senso, il criterio più idoneo a perseguire lo scopo è il c.d. “day to day management“, ossia ove si pone in essere la gestione ordinaria dell’attività.

In buona sostanza, al fine di andare a determinare la residenza fiscale di una società in un gruppo multinazionale significa identificare correttamente la sede dell’amministrazione della società, come definita dai criteri di cui all’articolo 73, comma 3 del DPR n 917/86 (TUIR). In particolare, per riuscire in questo intento occorre distinguere tra due attività importanti, ma diverse, come:

  • La legittima attività di “direzione e coordinamento“. Si tratta dell’attività di cui all’articolo 2497 c.c., esercitata dalla società capogruppo, in modo lecito, sulle proprie controllate;
  • L’attività di etero-direzione. Si tratta dell’attività di gestione ed indirizzo del managent della società effettuata dalla capogruppo. Questo tipo di attività, tuttavia, quando è determinata da ragioni di mero risparmio fiscale, dà luogo al c.d. fenomeno dell’Esterovestizione societaria.

L’esigenza di scrivere questo articolo nasce dal fatto che, da un punto di vista pratico, l’esigenza dei gruppi societari di ampliare i mercati esteri in cui operare, con strutture organizzative sempre più complesse ed articolate complica l’individuazione della sede della società. Infatti, in questi casi è necessario confrontarsi con la corretta ripartizione dell’esercizio della potestà impositiva di ciascuno degli Stati interessati (ovvero, lo Stato di insediamento e l’Italia).Per questo motivo diventa importante conoscere l’individuazione del luogo di day to day management della società. Vediamo, quindi, di approfondire meglio questo aspetto per individuare la residenza fiscale delle società controllate estere di un gruppo multinazionale.

Il day to day management

Il criterio principale per individuare lo Stato di residenza fiscale di una società all’interno di un gruppo multinazionale è individuare il luogo ove è posta la gestione ordinaria della società controllata. Individuato il luogo si determina, automaticamente, la potestà impositiva territoriale sulla stessa società. Il luogo fisico in commento, è quello ove comunemente si colloca il c.d. “day to day management“.

Si tratta di un criterio di collegamento capace di individuare la sede dell’amministrazione ovvero il “place of effective management” (PEM), ovvero il luogo nel quale si realizza effettivamente l’attività principale e sostanziale dell’impresa. Tale luogo non deve essere confuso con il luogo ove si esercita il potere di direzione e coordinamento della controllante/capogruppo.

Quanto detto sinora può apparire banale, ma nella realtà quotidiana, si rischia spesso di interpretare erroneamente questi concetti, andando ad individuare fenomeni di esterovestizione societaria con comportamenti che riguardano, invece, la consapevole scelta di localizzare all’estero, la sede di società controllate (nel rispetto del principio di libertà di stabilimento). Solo nel caso in cui la scelta della localizzazione all’estero, non fosse supportata da valide ragioni economiche e laddove le scelte di gestione quotidiana dell’impresa locata all’estero vengano determinate dalla controllante/capogruppo ci si trova di fronte a fenomeni sanzionabili.

Naturalmente, tutti questi aspetti, non possono essere determinati con una visione esterna della società e del gruppo, ma è necessaria una più completa e puntuale disamina delle dinamiche aziendali e delle modalità organizzative con cui si struttura un gruppo multinazionale.

La residenza fiscale di una società ex art. 73 del TUIR

Come anticipato, i criteri per identificare la residenza fiscale di una società sono indicati dall’art. 73, comma 3, del TUIR. Questa disposizione prevede che un ente si considera fiscalmente residente in Italia quando, per la maggior parte del periodo di imposta, disponga, nel territorio dello Stato, di (anche) uno solo dei requisiti di seguito indicati, ossia:

  • La sede legale. Quale requisito di carattere formale che, facendo implicito riferimento all’articolo 2328 c.c., prevede che la sede sociale debba essere indicata nell’atto costitutivo o nello statuto;
  • La sede dell’amministrazione. Quale requisito di carattere sostanziale, inteso come luogo ove, genericamente, viene svolta l’attività di gestione;
  • L’oggetto esclusivo o principale sociale. Quale requisito di carattere sostanziale, inteso quale attività essenziale posta in essere per realizzare gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.

Quindi, sostanzialmente, i criteri che identificano la residenza fiscale sono degli elementi che “formalmente” o “di fatto” portano in un luogo elementi rilevanti dell’attività, come la sede legale, dell’amministrazione o lo svolgimento dell’oggetto principale dell’attività.

Tali criteri si applicano per esclusione: se non è possibile impiegare il criterio della sede legale, si passa alla sede dell’amministrazione e qualora anche questa non sia riscontrabile, si guarda all’oggetto principale.

Per approfondire: “Come si determina la residenza fiscale delle società?“.

Come di inserisce la fattispecie di esterovestizione nell’individuazione della residenza di una società?

Secondo la Corte di cassazione (sentenza 7 febbraio 2013, n. 2869), la definizione di esterovestizione societaria, di cui all’articolo 73 del TUIR, si compone di due elementi principali, che possiamo così riassumere:

  • La natura fittizia della localizzazione all’estero della società;
  • L’indebito (e collegato) risparmio di imposta.

Detto questo, possiamo dire che, sostanzialmente, l’esterovestizione societaria consiste nella:

fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale”.

Per approfondire: “Il reato di esterovestizione societaria“.

Per approfondire: “Esterovestizione societaria: le tecniche di accertamento“.

La residenza fiscale delle società secondo la normativa Convenzionale

A livello internazionale il concetto di residenza fiscale di una società è disciplinato l’articolo 4 del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni. Tale articolo, ideato al fine di risolvere eventuali questioni di doppia residenza fiscale societaria, enuncia il criterio del “the place of effective management“. Questo criterio rappresenta l’unica tie breaker rule in grado di individuare se la residenza fiscale di una società sia in uno Stato piuttosto che in un altro.

Questo, essenzialmente, si traduce nel fatto che qualora l’Italia abbia stipulato con lo Stato estero di riferimento una Convenzione, l’Amministrazione finanziaria, per risolvere il conflitto di residenza fiscale di una società, è chiamata ad applicare, in via preferenziale, l’anzidetto criterio.

Nello specifico il Commentario al modello OCSE, con riferimento all’art. 4, sottolinea che, di volta in volta, allo scopo di individuare “the place of effective management“, bisogna considerare il luogo in cui le decisioni di tipo gestionale e commerciale vengono assunte. In generale, al fine di poter individuare la corretta allocazione della sede dell’amministrazione di una società, per determinare la residenza fiscale e, dunque, stabilire il luogo ove quest’ultima debba adempiere agli obblighi dichiarativi (oltre che di versamento delle relative imposte), occorre operare preliminarmente alcune valutazioni. In particolare, con riferimento ai gruppi societari multinazionali, la sede dell’amministrazione può coincidere (soprattutto per le società controllate) con il luogo ove si pone in essere la gestione ordinaria/operativa. In tali ipotesi, infatti, è necessario distinguere nettamente tra il (legittimo) esercizio dei poteri di direzione e coordinamento e la conduzione del day by day management” della ordinaria attività aziendale. La sovrapposizione di tali concetti, infatti, non potrebbe che indurre a risultati incoerenti con le corrette modalità di ripartizione della capacità impositiva tra i vari Stati.

Vediamo, quindi, questi due aspetti, con maggiore dettaglio.

Come si esercita il potere di direzione e coordinamento della controllante/capogruppo?

Per attività di direzione e coordinamento deve intendersi l’esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, ovvero sulle scelte strategiche e operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali.

La giurisprudenza, poi, ha evidenziato come “l’attività di direzione e coordinamento è un quid pluris rispetto al mero esercizio del controllo, in quanto espressione di un potere di ingerenza più intenso, consistente nel flusso costante di istruzioni impartite dalla società controllante e trasposte all’interno delle decisioni assunte dagli organi della controllata, involgenti momenti significativi della vita della società, quali, a titolo di esempio, le scelte imprenditoriali, il reperimento dei mezzi finanziari, le politiche di bilancio, la conclusione di contratti importanti ed altro”.

In sintesi, dalle considerazioni sopra sviluppate, pare possibile sostenere che una accusa in termini di esterovestizione può essere mossa solo nei casi nei quali la scelta di costituire una società di diritto estero:

  • Si basa (pressoché esclusivamente) sulla volontà di conseguire un vantaggio di tipo fiscale;
  • Si riduce alla creazione di una organizzazione non dotata di strutture in grado di realizzare le normali scelte inerenti la gestione ordinaria e quotidiana della operatività aziendale.

A nulla rileverebbe, in questa prospettiva, l’esercizio, da parte della controllante (italiana) degli ordinari poteri di direzione e coordinamento che, necessariamente, incidono sulle principali fasi della vita aziendale delle società controllata. In proposito, si rappresenta che, la stessa Corte di cassazione (sentenza 24 ottobre 2014, n. 43809, c.d. sentenza Dolce & Gabbana) ha affermato che:

il fenomeno dell’esterovestizione inquadra un abuso del principio di libertà di stabilimento, che può essere sussunto, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nel reato di omessa dichiarazione, solo laddove sia comprovato che si siano adottate strutture di puro artifizio, e non già nei casi dove la creazione di veicoli societari esteri risponda a significative regioni extrafiscali (…). A tali fini non rileva da dove promanino gli impulsi volitivi, né l’esercizio del potere di direzione e coordinamento, naturalmente radicato in capo agli organi della capogruppo, contando solamente l’attività effettivamente svolta nel territorio estero

Di contro, può essere opportuno anche ribadire che la mera circostanza che una società sia stata costituita in uno Stato membro per fruire di una legislazione fiscale più favorevole non costituisce, di per se stessa, un abuso di tale libertà. Tuttavia, detta scelta deve essere sorretta dall’esercizio effettivo di un’attività economica, all’interno dello Stato estero, la quale configuri una gestione stabile, continua ed effettiva. Assieme a questo, deve esserci, l’effettiva valida ragione economica alla base di questa scelta di localizzazione.

Localizzazione all’estero del day to day management della controllata

L’indagine circa la residenza fiscale di una società deve tener conto, quindi, del confine che sussiste tra:

  • L’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento posto in essere dalla controllante e
  • La c.d. etero-direzione.

Questo confine risulta di non sempre agevole individuazione nei gruppi che operano a livello internazionale. Tuttavia, possiamo affermare che si ricade apertamente nell’ambito dell’etero-direzione solo se si verifica l’integrale ingerenza dei poteri degli organi della controllata e non la (normale) compressione dei poteri degli stessi.

Per tale ragione, stante quando indicato sinora, la residenza fiscale delle società non può che collocarsi nel luogo in cui gli executive officers realizzano, con stabilità e continuità, la gestione aziendale ordinaria (“day to day management“). Non bisogna, infatti, commettere l’errore di confondere l’attività che rileva ai fini dell’individuazione della residenza con la fisiologica attività di “direzione e coordinamento” che la società controllante esercita (in modo legittimo) verso la propria controllata.

In questa prospettiva, la residenza (fiscale) deve necessariamente coincidere, non con il luogo di assunzione delle decisioni generali (di interesse del gruppo), ma con il luogo del c.d. “day to day management” e ciò soprattutto con riferimento a gruppi di società multinazionali. Questo, infatti, appare l’unico criterio di collegamento idoneo a individuare il luogo nel quale si realizza effettivamente l’attività principale e sostanziale dell’impresa.

Principio della libertà di stabilimento e day to day management

Detto questo occorre ribadire il fatto che deve essere rispettato il principio della libertà di stabilimento, ogni qualvolta che l’allocazione di una società controllata all’estero, avviene con un day to day management, concreto. Detto questo, paradossalmente, si arriverebbe a conseguenze del tutto negative laddove si pretendesse di sottrarre materia imponibile a uno Stato, nel quale viene svolta autenticamente e genuinamente l’attività economica, per attrarre a tassazione tale ricchezza in un ordinamento nel quale vengono unicamente prese decisioni di carattere generale, nell’intesse, peraltro, dell’intero gruppo (di cui le società estere costituiscono solo una parte).

In questi casi si deve valutare, caso per caso, l’operatività del soggetto estero, considerando sempre che le restrizioni alla libertà di stabilimento possono essere previste solo per contrastare le fittizie localizzazioni e non per impedire l’esercizio effettivo di attività economiche in altri Stati, anche se la collocazione in detti Stati comporta l’acquisizione di vantaggi fiscali.

La dimensione delle imprese che operano a livello internazionale rende complessa, talvolta, come detto, la corretta individuazione della residenza fiscale delle singole società e, in alcuni casi, induce (erroneamente) a ricomprendere, all’interno della nozione di esterovestizione, attività che sono riconducibili a fenomeni diversi, quali, ad esempio quello del c.d. transfer pricing. Infatti, la circostanza che una società controllata estera riceva un servizio dalla società capogruppo italiana (o da altre società residenti nel territorio dello Stato appartenenti al medesimo gruppo) non è in ogni caso ascrivibile al fenomeno dell’esterovestizione. Questo, infatti, non implica necessariamente che la controllata estera subisca una ingerenza da parte della controllante italiana tale da determinare una situazione di etero-direzione, con la conseguenza di considerare il soggetto estero fiscalmente residente in Italia.

Quando ci troviamo di fronte ad operazioni infragruppo, tuttavia, non è possibile imputare una contestazione in termini di esterovestizione, ma, differente mente, una ridefinizione della base imponibile della controllante italiana, in applicazione dei criteri contenuti nell’articolo 110 del DPR n. 917/1986. In sostanza, si tratta di compiere una valutazione approfondita sulle dinamiche di gruppo, in quanto, in questi casi, il fenomeno appena descritto, più verosimilmente, potrebbe essere riferibile unicamente alla problematica della gestione dei prezzi di trasferimento.

Considerazioni conclusive sul day to day management

In questo articolo ho cercato, senza alcuna pretesa di esaustività, di evidenziare come il concetto di etero-direzione di una società controllata estera sia diverso dal concetto di direzione e coordinamento. Infatti, l’esercizio del potere di direzione e coordinamento lascia aperta la possibilità di lasciare nello Stato estero di collocamento della controllata la concreta attività di day to day management da parte degli amministratori. In questo contesto non è possibile configurare come esterovestizione l’erogazione di servizi generali di carattere amministrativo, finanziario, legate, etc, dalla capogruppo alle controllate.

Volendo schematizzare e concludere, possiamo dire che la residenza fiscale estera non può essere messa in discussione nel caso in cui gli organi sociali della società controllata:

  • Non subiscano una integrale ingerenza, bensì una semplice compressione dei poteri, in virtù del superiore coordinamento effettuato dalla controllante, il quale risponde agli interessi e scopi dell’intero gruppo e che, altresì,
  • Conservino all’estero lo svolgimento del day to day management, inteso come capacità di gestire la quotidiana e ordinaria operatività aziendale. In conclusione, per corroborare una ipotetica contestazione in termini di esterovestizione societaria, risulta necessario orientare l’indagine verso quei soggetti giuridici che, per sfuggire all’Amministrazione finanziaria italiana e per fruire di regimi di favore di altri Stati, abbiano costituito strutture societarie di puro artificio o comunque inidonee a perseguire le rispettive mission aziendali.

Conseguentemente, risulta priva di fondamento una contestazione che poggi unicamente sulla circostanza del riscontro di una presenza/influenza della capogruppo italiana nella individuazione di scelte di carattere generale (politica aziendale) della società controllata estera. Si tratta di una fattispecie che, difficilmente, possono essere considerate quali prove dell’esterovestizione societaria, di cui all’art. 73, comma 3, del DPR n. 917/86. Quello che deve rilevare, come sempre, è la corretta interpretazione dei fatti aziendali, evitando visioni non coerenti con le normali dinamiche di gestione di un gruppo multinazionale. Per questo motivo lo svolgimento del day to day management, inteso come capacità di gestire la quotidiana e ordinaria operatività aziendale, deve essere considerato un criterio fondamentale per determinare la residenza fiscale di una società controllata, all’interno di un gruppo multinazionale.

La dimostrazione della residenza fiscale della controllata estera

L’aspetto più importante, se vogliamo, di questi ragionamenti è come dimostrare, in caso di accertamento, la residenza fiscale estera della società controllata localizzata in altro Paese. Come detto, nell’ordinario accertamento effettuato ai sensi dell’art. 73 del TUIR, è l’Amministrazione finanziaria chiamata a raccogliere prove della residenza fiscale italiana della società. Al contrario, invece, una contestazione effettuata ai sensi dell’art. 73,comma 5-bis, comporta l’inversione dell’onere della prova sul contribuente. Questo significa dover precostituire un fascicolo documentale utile a dimostrare l’effettiva e quotidiana attività gestoria svolta all’estero da parte del management della società controllata. Naturalmente, sono utili a questo scopo tutti i documenti che possono dimostrare che le decisioni quotidiane da un punto di vista gestorio vengono prese ed applicate direttamente dal mangement in loco. Mentre, di converso, si deve dimostrare che l’attività della controllante italiana si limita all’attività di direzione e coordinamento sulle decisioni strategiche del gruppo. Naturalmente, tutto questo non può prescindere dalla concreta analisi delle dinamiche organizzative del gruppo multinazionale.

Per approfondire: “Esterovestizione societaria: come evitarla?“.

Day to day management: consulenza fiscale

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