In diverse situazioni può accadere che non vengano correttamente versati i contributi INPS necessari per accedere alla pensione. I contributi sono delle quote della retribuzione (nel caso didi lavoro subordinato) o del reddito di lavoro (nel caso del lavoro autonomo) destinate al finanziamento delle prestazioni previdenziali ed assistenziali previste dalla legge. Il loro versamento è, di norma, obbligatorio. L’onere contributivo nasce al momento di inizio di una qualunque attività lavorativa.


Può accadere di trovarsi nella spiacevole situazione in cui il datore di lavoro non abbia versato i dovuti contributi INPS per i propri lavoratori dipendenti: in questo caso il datore di lavoro è sanzionabile dalla legge, tuttavia può accadere che il lavoratore riscontri non poche problematiche a causa di queste mancanze.

Un altro caso possibile è quello per cui il lavoratore autonomo, che è tenuto a versare i contributi per la propria pensione, non proceda poi effettivamente al versamento degli importi dovuti all’ente previdenziale per poter accedere alla pensione. Anche in questo caso le conseguenze non sono indifferenti.

Infine esiste la circostanza per cui il cittadino non riesca effettivamente ad accumulare abbastanza contributi per poter accedere al periodo di pensione: questo può essere causato da un’instabilità lavorativa, da disoccupazione oppure da casistiche specifiche. Vediamo in questo articolo quali sono le conseguenze del mancato versamento dei contributi in tutte queste circostanze, e com’è possibile rimediarvi.

Contributi non versati: il lavoratore dipendente

Prendendo in considerazione un lavoratore dipendente, il pagamento dell’onere contributivo è in parte a capo del dipendente, che avviene mediante una trattenuta in busta paga, mentre il residuo è dovuto dall’azienda. Il datore di lavoro versa questi contributi mediante Modello F24.

Ma cosa accade ai lavoratori per cui i datori di lavoro non effettuino il versamento? I contributi previdenziali consistono in una somma di denaro che il datore di lavoro deve obbligatoriamente versare, secondo quanto disposto dalla legge, altrimenti possono essere applicate sanzioni, per ogni dipendente per cui è mancato il versamento.

Nel caso in cui quest’obbligo non viene rispettato, l’azienda si trova in una situazione di evasione contributiva. I contributi obbligatori in totale riguardano il 33% della retribuzione del dipendente, in base a tutti i giorni lavorativi svolti.

Sono considerati sostituti d’imposta tali datori di lavoro, ma anche chi provvede al pagamento di lavoratori domestici, come colf oppure badanti. Quando il datore di lavoro non versa questi contributi si parla di sanzioni sotto forma di denaro per il datore.

Puoi verificare la tua posizione contributiva mediante il Sito INPS accedendo con le tue credenziali SPID, ovvero con la carta nazionale dei servizi (CNS) ed accedere all’Estratto conto contributivo, il quale è un documento riepilogativo di tutti gli anni contributivi accreditati a tuo nome.

Nel prospetto vengono elencati i versamenti da lavoro; figurativi; e da riscatto.

A questo punto una volta accertata la mancanza, il lavoratore può chiedere all’azienda il versamento, e se continua a mancare è possibile recuperare questi contributi rivolgendosi direttamente all’INPS denunciando ciò che sta accadendo. L’ente previdenziale può provvedere al recupero di questi importi entro 10 anni dalla data effettiva presupposta per il versamento. In molti casi si può arrivare alla richiesta di risarcimento di danni. 

Va ricordato che la mancanza di contributi versati all’ente previdenziale può comportare anche un allontanamento di diversi anni dal momento in cui si può accedere alla pensione, situazione comunque spiacevole per i lavoratori.

Il lavoratore dipendente preserva comunque il diritto alla pensione anche qualora il datore di lavoro non versi i contributi dovuti, fino a che non si verifichi la prescrizione (quinquennale). La Corte di Cassazione si è espressa in tal senso con la sentenza n. 2164/2021. L’art. 2116 c.c., co.1 , prevede che:

Le prestazioni indicate nell’art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme corporative.

Contributi non versati: che fare?

Per prima cosa occorre verificare se i contributi non versati si riferiscono a un periodo inferiore o superiore a 5 anni. Qualora si riferiscono ad un periodo inferiore a 5 anni, è sufficiente informare immediatamente l’INPS che, insieme all’Agenzia delle entrate, provvederà a effettuare la verifica dei versamenti del datore di lavoro. Invece, qualora l’inadempienza si riferisca ad un periodo superiore a 5 anni, si verifica la prescrizione, pertanto decade l’obbligo di versare i contributi. In quest’ultimo caso, l’INPS non può agire nei confronti del datore di lavoro per ottenere il debito contributo. Tuttavia, il lavoratore ha la facoltà di riscattarli mediante la “costituzione di rendita vitalizia”. Questo istituto vale nell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e anche per i superstiti. Per poter agire occorre avere idonea documentazione che provi:

  • l’esistenza del rapporto di lavoro;
  • la durata del rapporto di lavoro;
  • l’ammontare della retribuzione corrisposta.

Costituzione rendita vitalizia

La costituzione della rendita vitalizia ha la finalità di sanare un’omissione contributiva nell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti in relazione alla quale si sia verificata la prescrizione e, quindi, ha come presupposto l’inadempimento di un obbligo contributivo da parte del soggetto tenuto al pagamento dei contributi.

Per la domanda di rendita vitalizia non è previsto alcun termine di prescrizione. La richiesta di costituzione della rendita vitalizia può essere fatta dal lavoratore, in qualsiasi momento, ma anche:

  • Dal datore di lavoro che ha intenzione di sanare la sua situazione;
  • Dagli eredi del lavoratore.

Successivamente è stata riconosciuta anche in favore di:

  • familiari coadiuvanti e coadiutori dei titolari di imprese artigiane e commerciali;
  • collaboratori del nucleo diretto coltivatore diverso dal titolare;
  • coloro che, essendo soggetti al regime di assicurazione obbligatoria nella Gestione Separata di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, non siano però obbligati al versamento diretto della contribuzione, essendo la propria quota trattenuta dal committente/associante e versata direttamente da quest’ultimo.

La costituzione della rendita vitalizia riguarda i contributi che non possono essere più versati in quanto è intervenuta la prescrizione. Inoltre, il riscatto può essere richiesto anche per omissioni parziali, come il mancato versamento di qualche mese di contribuzione da parte del datore di lavoro, o il versamento di contributi di importo inferiore a quelli realmente spettanti.

L’onere di riscatto è a carico del richiedente, pertanto è suo onere dimostrare che effettivamente questi contributi erano spettanti al lavoratore, mediante ogni documento che attesti il rapporto di lavoro nel periodo in cui i contributi sarebbero dovuti essere versati, buste paga, contratti di assunzione. La domanda va presentata all’INPS.

Ricapitolando:

  • contributi non versati e non prescritti (contributi si riferiscono ad un periodo inferiore a 5 anni): il lavoratore può comunicare la situazione all’INPS in modo che possa agire in giudizio contro il datore di lavoro;
  • contributi si riferiscono ad un periodo superiore a 5 anni, pertanto è intervenuta la prescrizione quinquennale: il lavoratore ha la facoltà di riscattarli mediante “costituzione di rendita vitalizia”. Il lavoratore può anche agire comunque contro il datore di lavoro per il risarcimento del danno “poichè tale situazione determina l’attualizzarsi per il lavoratore del danno patrimoniale risarcibile, consistente nella perdita totale del trattamento pensionistico ovvero nella percezione di un trattamento inferiore a quello altrimenti spettante (Cass. n. 3790 del 1988; n. 27660 del 2018)”.

Contributi non versati: il lavoratore autonomo

Un altro caso è quello dei lavoratori autonomi, che non hanno di fatto un sostituto d’imposta, ovvero un datore di lavoro che provvede al versamento dei contributi periodicamente. Nonostante non sia presente un sostituto di imposta, anche chi lavora con Partita IVA deve versare i propri contributi all’ente previdenziale INPS, o in alternativa ad una cassa specifica per la professione svolta.

Il lavoratore autonomo allo stesso modo di quello dipendente versa i propri contributi INPS per poter accedere alla pensione e ricevere un importo ogni mese dall’ente previdenziale. Quando il lavoratore autonomo non provvede al pagamento dei contributi INPS, calcolati sulla base del guadagno effettivo dell’anno, anche questo soggetto può essere punibile con sanzioni.

Nel caso in cui l’ente previdenziale si accorge di mancanze nei versamenti può fare richiesta al lavoratore autonomo di pagare le cifre dovute, con un’aggiunta di sanzioni ed eventuali interessi. In questo caso si deve procedere velocemente al pagamento degli importi, al massimo entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, in alternativa le sanzioni saranno molto più alte, rispetto al 10% degli importi previsti con la prima comunicazione.

Al pari di come succede con le imposte non pagate, anche per i contributi INPS è possibile procedere con un ravvedimento operoso nel caso di mancato pagamento dei contributi, in base a quei periodi che sono stati scoperti dalla contribuzione. 

Va ricordato anche che i lavoratori con Partita IVA spesso hanno con sé dei collaboratori che lavorano come dipendenti, per cui devono anche provvedere al versamento dei contributi. La situazione si aggrava a livello di sanzioni nel momento in cui il lavoratore con Partita IVA omette il versamento dei contributi sia per sé stesso che per i propri lavoratori.

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