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Associazione in partecipazione: il contratto

Fisco NazionaleDiritto societarioAssociazione in partecipazione: il contratto

È un contratto attraverso il quale un imprenditore (chiamato associante) concede a una o più persone (gli associati) il diritto di partecipare agli utili della sua impresa, o di uno specifico affare, in cambio di un determinato apporto.

L’associazione in partecipazione è un contratto (a prestazioni corrispettive) disciplinato dall’art. 2549 c.c. con il quale l’imprenditore (associante) si accorda con uno o più soggetti (associati) ai quali attribuisce una partecipazione agli utili dell’impresa in cambio di un apporto. Il D.Lgs. n. 81/15 ha previsto il divieto di poter stipulare contratti di associazione in partecipazione il cui apporto sia costituito, anche solo in parte, da opere o servizi. L’obiettivo è quello di evitare che l’associato apporti una prestazione di lavoro. Pertanto, oggi questo tipo di accordo è possibile:

  • Per le persone fisiche con il solo apporto di capitale;
  • Per i soggetti diversi dalle persone fisiche con apporto di solo lavoro, solo capitale o miste.

Il contratto di associazione in partecipazione

Il contratto di associazione in partecipazione è un contratto a prestazioni corrispettive dove vi è l’obbligo in capo all’associato di effettuare un apporto (di beni o denaro) all’associante. Questi, invece, ha l’obbligo di attribuire all’associato una quota di utili derivanti dall’impresa. Nel caso di perdite l’associato risponde soltanto nei limiti del suo apporto.

Si può stipulare un accordo di questo tipo tra due società oppure tra una società e una persona fisica, o tra impresa individuale e società. All’attività svolta dall’associante possono partecipare più associati, sia all’atto della costituzione sia successivamente, allargando la compagine con il consenso degli associati.

La finalità del contratto è di realizzare una collaborazione tra più soggetti per l’esercizio di una attività economica a scopo di lucro, senza la creazione di un nuovo soggetto giuridico e la costituzione di un patrimonio autonomo, ne la comunione dell’affare e dell’impresa, che restano di esclusiva pertinenza dell’associante.

Come si costituisce?

Il contratto di associazione non necessita di forma particolare e può perfezionarsi con il semplice consenso delle parti (anche tacito). La forma scritta può essere necessaria in relazione all’esigenza di accordarsi sull’apporto e sulla misura della partecipazione dell’associato agli utili o alle perdite o alla natura dell’apporto. Il contratto deve indicare:

  1. L’oggetto, che consiste nel compimento di un’attività economica a scopo di lucro;
  2. L’apporto dell’associato in favore dell’impresa associante;
  3. La quota di partecipazione agli utili dell’associato;
  4. La titolarità piena e il potere di gestione dell’impresa in capo all’associante.

La durata del contratto può essere determinata o indeterminata. L’associazione non ha un nome che la identifichi. Non è prescritta alcuna forma di pubblicità, tanto che spesso la sua esistenza non è conosciuta dai terzi.

Il ruolo dell’associante

La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante, che ne assume la responsabilità (art. 2552 c.c.). I terzi che hanno contratto con l’associante non possono fare valere diritti nei confronti dell’associato. L’associante svolge tale incarico personalmente per tutto il tempo di durata dell’associazione. Nella gestione dell’impresa l’associante deve:

  • Chiedere il consenso agli associati prima di fare entrare nuovi associati. Ciò vale soltanto quando la nuova partecipazione è successiva al primo contratto di associazione, comportando una modifica delle quote di partecipazione agli utili;
  • Chiedere il consenso agli associati quando vuole modificare l’oggetto dell’impresa o dell’affare;
  • Osservare la diligenza del mandatario negli atti di gestione;
  • Consentire agli associati di effettuare controlli e fornire loro il rendiconto nell’affare o il rendiconto annuale se la gestione si protrae per più di un anno.

La mancata tenuta della contabilità può costituire inadempimento grave dell’associante, anche quando, per la natura e le dimensioni dell’impresa o dell’affare, non sussiste l’obbligo legale della tenuta della contabilità. Tuttavia, il mancato rendimento dei conti non comporta la risoluzione del contratto di associazione per grave inadempimento.

L’associante non può apportare modifiche al contratto senza il consenso dell’associato. Di conseguenza, egli non deve porre in essere attività concorrenti nei confronti degli affari con riferimento ai quali ha stipulato l’associazione in partecipazione, cessare arbitrariamente dall’esercizio dell’impresa i dell’affare.

Il ruolo dell’associato

L’associato conferisce l’apporto che entra a fare parte del patrimonio dell’associante. Egli partecipa alla gestione dell’associazione se delegato o consultato dall’associante ed ha un potere di controllo dell’operato dell’associante. Una disciplina particolare regolamenta la sua partecipazione agli utili e alle perdite dell’associazione. Egli non è tenuto al divieto di concorrenza nei confronti dell’impresa o degli affari con riferimento ai quali ha stipulato l’associazione in partecipazione.

L’apporto è elemento indispensabile al fine dell’esistenza dell’accordo. Esso può essere di qualsiasi natura, purché suscettibile di valutazione economica e strumentale per l’affare e per l’impresa dell’associante. L’apporto dell’associato può essere costituito da:

  • denaro, che incrementa il patrimonio dell’associante;
  • beni in natura, mobili o immobili, anche solo in godimento, con l’obbligo di destinarli allo scopo convenuto per poi restituirli al momento in cui si estingue il rapporto di associazione;
  • crediti, compresi quelli nei confronti dell’associante;
  • liberazione dell’associante da un debito verso terzi;
  • prestazione di garanzie, reali o personali, che permettono all’associato di utilizzare nuovi mezzi finanziari;
  • attività di intermediazione nella conclusione di determinati affari.

L’associato deve corrispondere il suo apporto dopo la costituzione dell’associazione ed in modo integrale, salvo diverse pattuizioni tra le parti. La valutazione dell’apporto è essenziale per determinare la misura della partecipazione agli utili e alle perdite e l’entità della restituzione. L’associato deve essere consultato dall’associante per le decisioni rilevanti, può ottenere una delega per il compimento di atti di gestione.

Divieto di prestazioni lavorative

Il D.Lgs. n. 81/15 ha previsto (modificando l’art. 2549 c.c.) il divieto di poter stipulare contratti di associazione il cui apporto sia costituito, anche solo in parte, da opere o servizi. L’obiettivo è quello di evitare che l’associato apporti una prestazione di lavoro.

L’apporto di solo capitale

Attualmente è possibile stipulare associazioni in partecipazione con apporto di solo capitale sia per le persone fisiche che per le persone giuridiche. In questo caso gli utili derivanti da associazioni in partecipazione si considerano redditi di capitale (salvo che l’apporto dell’associato sia di solo lavoro).

La partecipazione agli utili e alle perdite

L’associato partecipa agli utili nella percentuale stabilita dal contratto. Se non è determinata, spetta al giudice valutarla in proporzione all’apporto effettuato. La partecipazione agli utili da parte dell’associato può tradursi nella partecipazione al complesso degli utili dell’impresa o a quelli di singoli affari: non rileva il riferimento delle parti contrattuali agli utili dell’impresa o viceversa ai ricavi per i singoli affari. Se l’associazione riguarda solo un determinato affare, essa si calcola sulla differenza tra ricavi e costi dell’affare.

Gli utili possono consistere in una somma fissa di denaro o in una percentuale sul prezzo di vendita del prodotto oggetto dell’affare. Il diritto agli utili matura, salvo diversa previsione contrattuale, alla scadenza dell’affare o, se il rapporto è pluriennale, con cadenza annuale. Tale diritto diviene liquido ed esigibile all’approvazione dei singoli bilanci, e si riferisce agli utili risultanti dal conto dei profitti e delle perdite.

Salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa percentuale in cui partecipa agli utili. In ogni caso non risponde delle perdite aventi un importo superiore al valore del suo apporto. E’ in genere ammessa la clausola che esclude l’associato dalle perdite.

Lo scioglimento del contratto

L’associazione in partecipazione può sciogliersi nei seguenti casi:

  • Decorrenza del termine previsto contrattualmente;
  • Compimento dell’affare o realizzazione dell’oggetto dell’accordo;
  • Risoluzione legata all’impossibilità della prestazione da parte di una delle parti;
  • Risoluzione per inadempimento;
  • Mutuo consenso;
  • Clausola risolutiva espressa;
  • Recesso di una delle parti;
  • Nullità o annullamento del contratto.

Il regime fiscale

Il contratto di associazione in partecipazione è soggetto all’imposta di registro in misura diversa a seconda del tipo di apporto, come per i conferimenti. Ai fini delle imposte dirette, se l’apporto è di solo capitale o di capitale e lavoro, la relativa remunerazione a titolo di partecipazione agli utili è indeducibile, per l’associante indipendentemente dalla natura giuridica dell’associato (persona fisica non imprenditore, imprenditore individuale, società di persone o società di capitali).

Viceversa, se il contratto prevede l’apporto di solo lavoro, l’associante può dedurre dal reddito d’impresa, come costo, gli utili spettanti agli utili associati in partecipazione. Devono, però, verificarsi le seguenti condizioni:

  • il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata e registrata;
  • il contratto deve specificare il tipo di apporto e le quote di utili spettanti all’associato che devono essere proporzionate all’entità dell’apporto;
  • gli associati non devono essere familiari dell’associante se l’apporto è dato da prestazioni di lavoro.

Ai fini Irap, se l’apporto dell’associato è circoscritto alla sola prestazione di lavoro, gli utili spettanti agli associati sono indeducibili per l’associante a meno che l’associato non produca reddito d’impresa. Se, invece, l’associato apporta lavoro e capitale, o solo il capitale, il trattamento della quota attribuita dipende alla classificazione contabile della stessa.

Imposte dirette

Le quote di utile attribuite all’associato costituiscono reddito imponibile per lo stesso: se l’apporto è di solo capitale o di capitale e lavoro, gli utili percepiti sono equiparati a quelli derivanti dalla partecipazione in società di capitali e sono, pertanto, tassati in base al principio di cassa; se l’apporto è di solo lavoro, e l’associato non è imprenditore, gli utili percepiti si qualificano come reddito di lavoro autonomo; viceversa, rientrano nell’ambito del reddito d’impresa. Anche ai fini IRAP la rilevanza degli utili varia in funzione della natura dell’apporto effettuato.

Associato non residente

Se l’associato non è fiscalmente residente in Italia è necessario tenere in considerazione che opera:

  • In linea generale, la ritenuta del 26% prevista dall’art. 27 co. 3 del DPR n. 600/73;
  • La ritenuta dell’1,20% ex art. 27 co. 3-bis del DPR n. 600/73, se il percipiente è una società di capitali soggetta ad imposta in uno Stato comunitario (salva l’applicazione delle Convenzioni internazionali qualora maggiormente favorevoli);
  • L’esenzione prevista dall’art. 27-bis co. 1-bis del DPR n. 600/73, se il percipiente è una società di capitali comunitaria e sussiste un rapporto partecipativo almeno pari al 10% (nella misura corrispondente alla quota non deducibile nella determinazione del reddito del soggetto erogante).

Certificazione per le remunerazioni corrisposte

Le remunerazioni corrisposte all’associato sono rendicontate ai percipienti con il modello CUPE (“Certificazione relativa agli utili ed agli altri proventi equiparati corrisposti“). Tale certificazione non deve essere effettuata per quanto riguarda gli utili assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, ai sensi dell’art. 27 del DPR n. 600/73. Al contrario, la certificazione deve essere effettuata nei confronti dei soggetti non residenti (tassati con ritenuta a titolo di imposta), in modo che possano avere un documento utili per andare a scomputare l’imposta nel proprio Paese di residenza). Nel modello, il campo “Codice del soggetto che rilascia la certificazione“, l’associante deve indicare:

  • il codice “A”, se è una società di capitali;
  • il codice “G”, se è un imprenditore individuale o una società di persone.

La registrazione del contratto

Per registrare all’Agenzia delle Entrate un contratto di associazione in partecipazione ci sono due possibili modalità:

  • Se si è stipulato con atto pubblico, o scrittura privata autenticata, è compito del notaio registrare il contratto entro il termine di 20 giorni;
  • Se si è stipulato con scrittura privata non autenticata, il contratto deve essere registrato presso l’Agenzia delle Entrate necessariamente, se è previsto un impegno pecuniario dell’associato.

In sostanza, come avrai potuto notare, quello analizzato è un contratto che potrebbe rivelarsi molto utile negli affari per la mancanza del vincolo societario e di un tempo preciso correlato a tale vincolo.

Conclusioni

Il contratto di associazione in partecipazione è un contratto che oggi trova applicazione pratica in relazione agli apporti di solo capitale da parte dell’associato. Tale forma, può rivelarsi molto utile per determinate tipologie di affari ove non è richiesta o necessaria la costituzione di un vicolo societario, ma si intende comunque raggiungere un obiettivo comune attraverso un apporto di capitale. Tuttavia, considerati i limiti imposti dal legislatore è opportuno valutare con attenzione la stipulazione di questa forma contrattuale particolare.

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