Il contratto a chiamata (o intermittente) e la disoccupazione sono compatibili, ma con alcune limitazioni. In generale, il lavoratore con un contratto di questo tipo può percepire la NASpI se non supera determinati limiti di reddito e ore lavorate. La compatibilità dipende da fattori come la frequenza delle chiamate, il reddito annuo e la tipologia del contratto (con o senza obbligo di risposta).
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Contratto a chiamata: come funziona
Il contratto a chiamata, anche noto come contratto intermittente, è una tipologia di rapporto di lavoro caratterizzata da una prestazione discontinua, attivata dal datore di lavoro solo quando necessario. Questa forma contrattuale è regolata dal Decreto Legislativo n. 81/15, che ne disciplina l’ambito di applicazione, i requisiti soggettivi e le modalità operative. L’obiettivo principale di questo strumento è offrire flessibilità alle aziende che hanno esigenze lavorative non continuative, garantendo al contempo tutele per il lavoratore.
Una delle peculiarità del contratto intermittente riguarda la possibilità di instaurare un rapporto subordinato in cui il dipendente viene convocato per svolgere attività lavorativa solo in caso di necessità, senza un impegno predeterminato su base giornaliera o settimanale. Per poter utilizzare questa tipologia contrattuale, il datore di lavoro deve attenersi a determinati vincoli normativi, tra cui il rispetto delle fasce d’età previste dalla legge.
Il contratto può essere stipulato con lavoratori di età inferiore ai 24 anni, purché la prestazione venga conclusa prima del compimento del venticinquesimo anno, oppure con soggetti di età superiore ai 55 anni, senza alcuna limitazione in merito alla cessazione del rapporto. In alternativa, il contratto può essere applicato nei settori previsti dalla contrattazione collettiva o per mansioni considerate a carattere discontinuo, secondo quanto stabilito dalla normativa vigente.
L’obbligo di risposta
Un elemento distintivo di questo contratto è la possibilità di prevedere o meno un obbligo di risposta alla chiamata del datore di lavoro. Se il lavoratore accetta un contratto con obbligo di disponibilità, è tenuto a rispondere alla convocazione ogni volta che viene richiesto. In cambio, riceve una indennità di disponibilità, ovvero un compenso riconosciuto anche nei periodi in cui non presta effettivamente attività lavorativa. Nel caso in cui rifiuti la chiamata senza una giustificazione valida, può incorrere in sanzioni, fino alla risoluzione del rapporto. Se, invece, il contratto non prevede tale obbligo, il lavoratore può scegliere liberamente se accettare o meno l’incarico senza subire penalizzazioni.
Compenso
Dal punto di vista della retribuzione, il lavoratore ha diritto a un compenso proporzionato alle ore effettivamente svolte, con un trattamento economico che non può essere inferiore a quello stabilito per le stesse mansioni dal contratto collettivo nazionale applicato in azienda. Durante i periodi in cui non viene chiamato a lavorare, il dipendente non matura né ferie né contributi previdenziali, salvo il caso in cui percepisca l’indennità di disponibilità. I contributi versati nei periodi di effettivo impiego vengono calcolati in base alle ore lavorate e possono influenzare la maturazione dei requisiti per l’accesso a misure di sostegno al reddito, come la NASpI.
Restrizioni antiabuso
L’utilizzo del contratto a intermittente è soggetto a specifiche restrizioni per evitare abusi. Non può essere impiegato per sostituire lavoratori in sciopero, in aziende che hanno effettuato licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti, né in contesti che non rispettano le norme sulla sicurezza sul lavoro. Inoltre, il numero massimo di giornate lavorative che un lavoratore può svolgere con il medesimo datore di lavoro è fissato a 400 giorni nell’arco di tre anni solari, ad eccezione del settore turistico, dello spettacolo e dei pubblici esercizi, per i quali non si applica tale limite.
NASpI e contratto a chiamata: compatibilità
La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego rappresenta un’indennità di disoccupazione destinata ai lavoratori subordinati che abbiano perso involontariamente il proprio impiego. Il contratto a chiamata, sebbene caratterizzato da una prestazione discontinua, può essere compatibile con il mantenimento della NASpI, a condizione che vengano rispettati determinati limiti normativi relativi al reddito e alla durata dell’impiego.
La compatibilità dipende principalmente dal reddito annuo derivante da quest’ultimo. Se il lavoratore percepisce una retribuzione inferiore a una soglia prestabilita, può continuare a beneficiare dell’indennità di disoccupazione, sebbene con alcune riduzioni proporzionali all’introito generato. Per mantenere il sussidio, è essenziale comunicare all’INPS l’inizio dell’attività lavorativa e i relativi guadagni stimati, evitando così il rischio di sospensione o decadenza del beneficio.
Requisiti per ottenere la NASpI
Per accedere alla NASpI, il lavoratore deve aver perso il lavoro in modo involontario e soddisfare alcuni requisiti contributivi e lavorativi. È necessario aver accumulato almeno 13 settimane di contributi nei quattro anni precedenti la cessazione del rapporto di lavoro e aver svolto almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei dodici mesi antecedenti la disoccupazione.
Nel caso di un lavoratore con contratto intermittente, questi requisiti vengono calcolati considerando esclusivamente i periodi in cui sono stati effettivamente versati i contributi. Se il lavoratore ha avuto più rapporti intermittenti, si sommano le settimane in cui ha percepito una retribuzione utile ai fini contributivi. È importante sottolineare che, in presenza di un contratto intermittente con obbligo di disponibilità, l’indennità di disponibilità percepita nei periodi di inattività viene considerata ai fini del calcolo contributivo, incidendo sul diritto all’accesso alla disoccupazione.
Limiti di reddito per mantenere la disoccupazione
Un lavoratore che percepisce la NASpI può svolgere attività lavorativa, inclusa quella intermittente, a patto che il reddito derivante dall’impiego non superi i limiti stabiliti dalla normativa. Per il contratto a chiamata, il principale riferimento è la soglia dei 8.500 euro annui per i contratti subordinati a tempo determinato o indeterminato. Se il lavoratore prevede di non superare tale soglia, può continuare a percepire la disoccupazione, ma l’importo dell’indennità verrà ridotto in misura proporzionale al reddito derivante dall’attività lavorativa.
Se il reddito annuale supera il limite di 8.500 euro, l’indennità di disoccupazione viene revocata, poiché il lavoratore non è più considerato disoccupato. Un altro aspetto rilevante riguarda il limite di 400 giornate lavorate in tre anni con il medesimo datore di lavoro. Se il lavoratore supera questo tetto, il contratto intermittente diventa automaticamente un rapporto a tempo pieno, con conseguente perdita della NASpI.
Per evitare la decadenza dal sussidio, il lavoratore è tenuto a comunicare all’INPS il proprio reddito presunto entro 30 giorni dall’inizio dell’attività lavorativa. Tale comunicazione permette all’ente previdenziale di ricalcolare l’indennità e applicare le eventuali riduzioni senza interrompere l’erogazione del sussidio.
Differenza tra compatibilità e cumulabilità
Il concetto di compatibilità riguarda la possibilità di percepire contemporaneamente la NASpI e il reddito derivante da un contratto a chiamata, purché vengano rispettati i limiti reddituali e contributivi previsti dalla normativa. La compatibilità, quindi, si riferisce alla coesistenza dei due redditi senza che uno escluda automaticamente l’altro.
La cumulabilità, invece, si riferisce alla possibilità di sommare integralmente i due redditi senza subire alcuna decurtazione dell’indennità di disoccupazione. Nel caso della NASpI, il reddito da lavoro intermittente non è cumulabile in misura piena, poiché il suo ammontare incide sulla riduzione della prestazione assistenziale. Infatti, l’INPS applica una riduzione pari all’80% del reddito percepito, riducendo così l’importo della disoccupazione in base ai guadagni ottenuti dal lavoratore.
La principale implicazione di questa distinzione è che un lavoratore con un contratto a chiamata può continuare a percepire la NASpI solo se il suo reddito rimane al di sotto della soglia prevista e a condizione che comunichi tempestivamente all’INPS ogni variazione della propria situazione lavorativa. In caso contrario, potrebbe andare incontro alla sospensione o alla perdita definitiva del sussidio.
Comunicazione all’INPS
Uno degli obblighi fondamentali per chi percepisce la NASpI e inizia un rapporto di lavoro intermittente è la comunicazione all’INPS dell’attività lavorativa e del reddito presunto. Tale comunicazione deve avvenire entro 30 giorni dall’inizio dell’attività e può essere effettuata tramite il portale INPS, utilizzando il servizio dedicato, oppure attraverso un patronato o il proprio commercialista.
L’importanza di questa comunicazione risiede nel fatto che l’INPS deve valutare se il reddito derivante dal lavoro a chiamata rientra nei limiti previsti dalla normativa per il mantenimento della disoccupazione. L’omissione o il ritardo nella comunicazione possono comportare la sospensione dell’erogazione del sussidio o, nei casi più gravi, la richiesta di restituzione delle somme già percepite.
Se nel corso dell’anno il reddito effettivo si discosta da quello inizialmente comunicato, il lavoratore è tenuto ad aggiornare l’INPS, segnalando eventuali variazioni per evitare sanzioni o indebiti accumuli di somme che dovranno essere restituite in un secondo momento.
Rischi di sospensione o decadenza
Se il lavoratore con NASpI e contratto a chiamata non rispetta i limiti previsti o non comunica correttamente il proprio reddito, può incorrere in due principali conseguenze: la sospensione temporanea del sussidio o la sua decadenza definitiva.
La sospensione avviene nel momento in cui il lavoratore percepisce un reddito da lavoro intermittente che supera i limiti mensili previsti, ma non oltrepassa la soglia di 8.500 euro annui. In questo caso, l’indennità viene interrotta temporaneamente nei mesi in cui il reddito è troppo elevato e riprende automaticamente nei periodi in cui il guadagno torna sotto la soglia consentita.
La decadenza, invece, si verifica quando il lavoratore supera il limite annuale di reddito di 8.500 euro, non comunica l’inizio dell’attività lavorativa, o raggiunge il limite di 400 giornate lavorate con lo stesso datore di lavoro nei tre anni solari. In questi casi, l’INPS interrompe definitivamente l’erogazione del sussidio, con possibile richiesta di restituzione delle somme percepite in maniera indebita.
Esempi pratici e simulazioni
Per comprendere meglio come funziona la compatibilità tra disoccupazione e contratto intermittente è utile analizzare alcune situazioni concrete. Le seguenti simulazioni aiutano a chiarire le implicazioni in termini di reddito, obblighi e possibili conseguenze sulla percezione dell’indennità di disoccupazione.
Caso 1: Lavoratore con contratto a intermittente occasionale
Marco è un ex dipendente di un’azienda del settore turistico, licenziato per riduzione del personale. Ha maturato i requisiti per la NASpI e percepisce un’indennità mensile di 1.000 euro. Dopo alcuni mesi di disoccupazione, riceve un’offerta di lavoro intermittente in un ristorante, senza obbligo di disponibilità. Marco accetta e, nell’arco dell’anno, lavora 80 giornate, percependo un reddito complessivo di 6.500 euro.
Poiché il suo reddito annuale è inferiore alla soglia di 8.500 euro, Marco ha diritto a mantenere la NASpI, che tuttavia subisce una riduzione proporzionale. L’INPS applica una decurtazione dell’80% del reddito percepito, determinando una riduzione dell’indennità di circa 5.200 euro nell’anno. Marco ha comunicato tempestivamente il reddito presunto all’INPS, quindi continua a ricevere l’indennità senza interruzioni.
Caso 2: Lavoratore con obbligo di disponibilità
Giulia ha un contratto a chiamata con obbligo di risposta nel settore dello spettacolo. Il suo datore di lavoro le garantisce un’indennità di disponibilità di 250 euro al mese, oltre alla retribuzione per le giornate effettivamente lavorate. Nel corso dell’anno, Giulia percepisce un reddito complessivo di 9.000 euro.
Superando la soglia di 8.500 euro, Giulia perde il diritto alla NASpI. Tuttavia, l’INPS le chiede la restituzione solo delle mensilità percepite dopo il superamento del limite. Se avesse comunicato tempestivamente il rischio di superamento del reddito, avrebbe potuto sospendere l’indennità prima di incorrere nella decadenza definitiva.
Caso 3: Superamento delle 400 giornate lavorative
Andrea ha un contratto a chiamata con lo stesso datore di lavoro da diversi anni. Nei tre anni solari, accumula complessivamente 420 giornate lavorate. Senza rendersene conto, Andrea supera il limite di 400 giorni, e il suo contratto si trasforma automaticamente in un contratto a tempo indeterminato.
L’INPS revoca immediatamente l’indennità, in quanto il lavoratore non è più considerato disoccupato. Inoltre, Andrea potrebbe dover restituire alcune mensilità del sussidio percepite dopo il superamento del limite. Se avesse monitorato il numero di giornate lavorate, avrebbe potuto organizzarsi per non oltrepassare il tetto massimo consentito.
Normativa di riferimento
La regolamentazione della compatibilità tra NASpI e contratto a chiamata è disciplinata da diverse fonti normative e circolari INPS, che stabiliscono le condizioni di accesso e mantenimento del sussidio di disoccupazione in presenza di attività lavorativa intermittente.
D.Lgs. n. 81/15
Il Decreto Legislativo n. 81/15, che ha riordinato la disciplina dei contratti di lavoro, regola il contratto intermittente definendone le caratteristiche, i limiti di applicazione e le modalità di utilizzo. Questo provvedimento stabilisce che il contratto a chiamata può essere utilizzato per determinate categorie di lavoratori (sotto i 24 anni o sopra i 55 anni) o per mansioni a carattere discontinuo, individuate dalla contrattazione collettiva o dalla normativa di settore. Inoltre, prevede il limite massimo di 400 giornate lavorate in tre anni solari con lo stesso datore di lavoro, oltre il quale il rapporto si trasforma automaticamente in un contratto a tempo indeterminato.
D.Lgs. n. 22/15
Per quanto riguarda la NASpI, il Decreto Legislativo n. 22/15 disciplina i criteri di accesso all’indennità di disoccupazione e le regole di compatibilità con l’attività lavorativa. Secondo questa normativa, l’indennità è compatibile con il lavoro intermittente a condizione che il reddito annuo derivante dall’attività subordinata non superi 8.500 euro e che il lavoratore comunichi tempestivamente all’INPS l’inizio della nuova occupazione.
Chiarimenti INPS
Oltre alla normativa primaria, l’INPS ha chiarito alcuni aspetti applicativi attraverso circolari e messaggi operativi. Tra i documenti di riferimento più importanti si segnalano:
- Circolare INPS n. 94/2015, che fornisce istruzioni dettagliate sui requisiti di accesso e sulle modalità di compatibilità della disoccupazione e altre forme di reddito;
- Messaggio INPS n. 1162/2019, che chiarisce l’obbligo di comunicazione del reddito presunto da parte dei lavoratori disoccupati e contratto a chiamata;
- Circolare INPS n. 174/2017, che disciplina la sospensione, riduzione o decadenza della NASpI in caso di superamento delle soglie reddituali.