La Risposta n. 194/E/24 chiarisce il trattamento IVA (imponibilità in Italia) delle rimanenze di magazzino italiane cedute nell’ambito di operazioni straordinarie realizzate da società extra-UE.
Quando due società extra-UE realizzano una cessione di ramo d’azienda che include beni stoccati in un magazzino italiano, qual è il corretto trattamento IVA? La questione si complica ulteriormente se entrambe le società sono identificate ai fini IVA in Italia ma non hanno stabile organizzazione nel nostro Paese. L’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti con la Risposta all’interpello n. 194 dell’8 ottobre 2024, risolvendo dubbi ricorrenti per chi gestisce operazioni internazionali complesse.
Il caso concreto riguardava un gruppo multinazionale attivo nella produzione di prodotti per la cura personale, che aveva deciso di separare il business farmaceutico da quello consumer. Nell’ambito di questa riorganizzazione, una società extra-UE (chiamiamola Delta) ha trasferito a un’altra società del gruppo (Alpha, anch’essa extra-UE) un complesso aziendale che includeva rimanenze di magazzino fisicamente presenti in Italia. L’operazione è stata fatturata con IVA italiana, ma successivamente sono sorti dubbi sulla correttezza di questo approccio.
La cessione di beni situati in Italia tra società extra-UE, anche se parte di un’operazione straordinaria realizzata all’estero, è sempre soggetta a IVA italiana. Non può applicarsi il regime di neutralità previsto per le cessioni di azienda, perché manca in Italia un vero complesso aziendale territorialmente rilevante.
Questo principio, apparentemente semplice, nasconde importanti implicazioni operative che ogni commercialista deve conoscere quando assiste clienti con operazioni transfrontaliere. La distinzione tra cessione di meri beni e cessione di azienda diventa cruciale non solo per l’applicazione dell’imposta, ma anche per la gestione del plafond IVA e per gli adempimenti formali.
Indice degli argomenti
Il quadro normativo di riferimento
La normativa esclude dal campo di applicazione dell’IVA le cessioni di aziende o rami d’azienda attraverso l’articolo 2, comma 3, lettera b) del DPR n. 633/72. Questa disposizione recepisce quanto previsto dall’articolo 19 della Direttiva 2006/112/CE, che consente agli Stati membri di considerare come “non avvenuta” la cessione quando si trasferisce un’universalità di beni che costituisce un’impresa autonoma. L’obiettivo è evitare la tassazione di un passaggio meramente formale, che non genera consumo immediato.
La norma comunitaria concede una facoltà agli Stati membri, non impone un obbligo. L’Italia ha scelto di esercitare questa opzione, stabilendo che le cessioni di azienda restano fuori dal campo IVA. Il beneficiario subentra nella posizione del cedente senza soluzione di continuità, mantenendo tutti i diritti e gli obblighi IVA preesistenti. Questa continuità soggettiva rappresenta uno degli elementi caratterizzanti del regime di neutralità.
Tuttavia, la Corte di Giustizia Europea ha chiarito nella sentenza Zita Models (causa C-497/01) che per applicare l’esclusione IVA occorre verificare che oggetto del trasferimento sia effettivamente un’universalità di beni idonea a svolgere autonomamente un’attività economica. Non basta trasferire un insieme di beni materiali: serve un’organizzazione funzionale che consenta al cessionario di proseguire l’attività senza necessità di ricostruirla da zero. La mera cessione di stock di prodotti, senza gli altri elementi dell’impresa, non rientra in questo concetto.
Come identificare una cessione d’azienda
Prima di qualificare un’operazione come cessione d’azienda esclusa da IVA, verificate sempre che siano presenti almeno tre elementi: beni materiali/immateriali organizzati, capacità di generare ricavi autonomamente e intenzione del cessionario di proseguire l’attività (non solo liquidare lo stock).
Territorialità dell’operazione
Sul piano della territorialità, l’articolo 7-bis del DPR n. 633/72 stabilisce che le cessioni di beni mobili si considerano effettuate in Italia quando i beni esistono fisicamente nel territorio nazionale al momento della consegna o spedizione. Questo criterio oggettivo, basato sulla localizzazione fisica dei beni, prevale su altri elementi come la residenza delle parti o il luogo di stipula del contratto. Ne consegue che qualsiasi cessione di beni situati in un magazzino italiano rileva territorialmente in Italia, a prescindere dalla nazionalità dei soggetti coinvolti.
La combinazione di queste norme determina il seguente principio: se i beni ceduti si trovano fisicamente in Italia, l’operazione è territorialmente rilevante nel nostro Paese. Per evitare l’applicazione dell’IVA occorre dimostrare che non si tratta di una semplice cessione di beni, ma del trasferimento di un’azienda o ramo d’azienda localizzato in Italia. Quando questa dimostrazione non riesce, l’IVA diventa dovuta secondo le regole ordinarie.
La Risposta n. 194/E/24: analisi del caso pratico
L’interpello presentato all’Agenzia delle Entrate descriveva una situazione tipica delle riorganizzazioni societarie internazionali. Un gruppo multinazionale aveva deciso di separare due linee di business gestite da società diverse, tutte stabilite in uno Stato extra-UE. Per formalizzare questa separazione, era stato stipulato all’estero un atto di “separazione” (non qualificabile come scissione secondo la normativa italiana) attraverso il quale Delta trasferiva ad Alpha il complesso di beni relativo al ramo consumer.
Tra i beni oggetto di trasferimento figurava uno stock di prodotti finiti situato in un magazzino italiano, frutto di precedenti importazioni e operazioni commerciali del gruppo. Entrambe le società erano identificate ai fini IVA in Italia (quindi in possesso di partita IVA italiana) ma nessuna delle due aveva una stabile organizzazione nel nostro territorio. Delta aveva fatturato il trasferimento delle giacenze applicando l’IVA italiana ordinaria, che Alpha aveva poi portato in detrazione nella propria liquidazione periodica.
Successivamente alla conclusione dell’operazione, Alpha si è interrogata sulla correttezza di questo trattamento. La tesi sostenuta era che le rimanenze in Italia rappresentassero solo una componente di un più ampio trasferimento d’azienda realizzato all’estero, quindi dovessero beneficiare del regime di neutralità IVA previsto per le cessioni di azienda. In questa prospettiva, Delta avrebbe erroneamente applicato l’imposta e il versamento effettuato andrebbe recuperato. Si poneva inoltre il problema del plafond IVA maturato da Delta come esportatore abituale: poteva trasferirsi ad Alpha insieme al ramo ceduto?
La posizione dell’Agenzia delle Entrate
L’Amministrazione finanziaria ha analizzato la questione partendo dall’articolo 19 della Direttiva IVA, che consente agli Stati di escludere dall’imposta i trasferimenti di universalità di beni. La norma europea presuppone però che il complesso aziendale oggetto del trasferimento sia situato nel territorio di uno Stato membro che abbia optato per l’introduzione del regime di esclusione. Quando il “baricentro” dell’operazione straordinaria si trova in uno Stato extra-UE, questa condizione non può realizzarsi.
Nel caso specifico, l’azienda trasferita aveva la propria sede e il proprio centro operativo fuori dall’Unione Europea. In Italia esisteva solamente uno stock di magazzino, cioè una mera disponibilità di beni senza altri elementi costitutivi di un’organizzazione d’impresa. Mancavano in Italia strutture produttive, forza lavoro, know-how, clientela, rapporti contrattuali e tutti gli altri elementi che caratterizzano un’azienda funzionante. Le giacenze rappresentavano semplicemente una scorta di prodotti destinati alla successiva commercializzazione.
Attenzione: La presenza di una partita IVA italiana non equivale all’esistenza di una stabile organizzazione o di un complesso aziendale in Italia. Molti operatori extra-UE si identificano ai fini IVA solo per gestire operazioni territorialmente rilevanti, senza avere alcuna struttura fisica nel territorio.
L’Agenzia ha quindi concluso che il trasferimento delle giacenze stock doveva considerarsi un’operazione autonoma, territorialmente rilevante in Italia ai sensi dell’articolo 7-bis del DPR n. 633/72. Non poteva applicarsi l’esclusione prevista dall’articolo 2, comma 3, lettera b) per le cessioni d’azienda, né quella della lettera f) relativa alle operazioni straordinarie (fusioni, scissioni), perché mancava in Italia un complesso aziendale riconoscibile. Il trasferimento di beni situati in territorio italiano assumeva quindi la configurazione di cessione imponibile soggetta ad aliquota ordinaria.
Questa interpretazione produce conseguenze pratiche immediate. Delta ha correttamente fatturato con addebito di IVA e ha regolarmente versato l’imposta all’Erario. Alpha ha legittimamente portato l’IVA in detrazione nella propria liquidazione periodica, compensandola con l’imposta dovuta sulle proprie operazioni attive. Non sussistono margini per rettifiche, note di variazione o istanze di rimborso, perché l’operazione era effettivamente imponibile sin dall’origine.
Impossibilità di trasferire il plafond IVA
Un aspetto spesso trascurato nelle operazioni internazionali riguarda il trattamento del plafond IVA accumulato dal cedente. Il plafond rappresenta la possibilità per gli esportatori abituali di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’IVA, nei limiti dell’ammontare delle operazioni non imponibili realizzate nell’anno precedente. Si tratta di un beneficio significativo che migliora notevolmente la liquidità aziendale, evitando l’anticipazione dell’imposta.
Quando si verifica una cessione di azienda o ramo d’azienda che genera esportazioni, il plafond può trasferirsi dal cedente al cessionario per effetto della continuità soggettiva. Il subentrante eredita non solo i beni e i rapporti giuridici, ma anche le posizioni IVA attive, compresa la qualifica di esportatore abituale con il relativo plafond residuo. Questa successione avviene automaticamente, senza necessità di comunicazioni preventive, e consente al cessionario di utilizzare immediatamente il plafond nelle proprie operazioni.
Nel caso analizzato dalla Risposta n. 194/E/24, però, questa successione non può realizzarsi. Delta aveva maturato un plafond derivante dalle proprie cessioni all’esportazione e dalle operazioni intracomunitarie non imponibili. Alpha sperava di poter utilizzare questo plafond per i propri acquisti futuri, considerando di aver acquisito il ramo d’azienda che generava le operazioni non imponibili. L’Agenzia ha escluso categoricamente questa possibilità.
Il motivo è semplice ma fondamentale: il plafond può trasferirsi solo quando si verifica un subentro in un ramo d’azienda riconosciuto dalla disciplina italiana. Nel caso specifico, l’operazione era stata riqualificata come mera cessione di beni, non come cessione di ramo d’azienda. Mancando questa qualificazione, non si produce alcuna successione nelle posizioni soggettive IVA. Delta conserva integralmente il proprio plafond e la propria qualifica di esportatore abituale, mentre Alpha dovrà costruire autonomamente il proprio plafond attraverso le proprie future operazioni non imponibili.
Nelle operazioni di acquisizione internazionali, quantificate sempre il valore del plafond IVA come elemento patrimoniale. Un plafond consistente può valere centinaia di migliaia di euro in termini di minori esborsi finanziari, ma il suo trasferimento richiede il riconoscimento formale della cessione d’azienda.
Questa conclusione ha impatti rilevanti sulla pianificazione delle operazioni straordinarie. Quando si struttura un’acquisizione che coinvolge società extra-UE con beni in Italia, occorre valutare attentamente se esiste la possibilità di configurare un trasferimento di ramo d’azienda italiano. In caso negativo, il plafond resta inutilizzabile per l’acquirente, che dovrà gestire diversamente i propri flussi di cassa IVA. Potrebbe essere opportuno considerare strutture alternative, come la costituzione di una stabile organizzazione italiana prima dell’acquisizione, per preservare il beneficio del plafond.
Fatturazione e registrazione contabile
Quando una società extra-UE identificata ai fini IVA in Italia cede beni situati nel territorio nazionale a un’altra società extra-UE anch’essa identificata, l’operazione segue le regole ordinarie delle cessioni interne. Il cedente emette fattura elettronica tramite Sistema di Interscambio (se obbligato) o cartacea (se ancora consentito), indicando l’IVA con aliquota ordinaria, attualmente al 22% per la maggior parte dei beni.
La fattura deve contenere tutti gli elementi previsti dall’articolo 21 del DPR n. 633/72: numero progressivo, data di emissione, dati identificativi delle parti (comprese le partite IVA italiane), descrizione della natura e quantità dei beni ceduti, corrispettivo e IVA distinta per aliquota. Non deve essere indicata alcuna dicitura particolare relativa alla territorialità, perché si tratta di una cessione interna. L’unico elemento distintivo potrebbe essere l’indirizzo estero delle parti, ma questo non modifica il trattamento IVA.
Il cedente registra la fattura nel registro delle fatture emesse entro i termini ordinari e liquida l’IVA a debito nella liquidazione periodica del mese (o trimestre) di effettuazione dell’operazione. L’imposta confluisce nel versamento mensile o trimestrale, senza particolarità. Dal lato dell’acquirente, la fattura viene registrata nel registro degli acquisti e l’IVA diventa detraibile nei limiti e con le modalità previste dall’articolo 19 del DPR n. 633/72, sempre che l’acquisto sia inerente all’attività e non rientri nelle ipotesi di indetraibilità oggettiva.
Documentazione da conservare
La corretta qualificazione di queste operazioni richiede un’attenta documentazione di supporto, da conservare ed esibire in caso di verifica. L’onere della prova ricade sempre sul contribuente che intende beneficiare di un regime agevolato o di un’esclusione dall’imposta. Nel caso delle cessioni d’azienda, spetta al cedente e al cessionario dimostrare che l’operazione riguardava effettivamente un complesso organizzato di beni idoneo a svolgere autonomamente un’attività d’impresa.
La documentazione essenziale comprende innanzitutto il contratto di cessione, che deve descrivere analiticamente i beni oggetto di trasferimento. Un generico riferimento a “stock di magazzino” potrebbe non essere sufficiente: serve l’elenco dettagliato dei prodotti con quantità, valori e ubicazione. Se la cessione fa parte di un’operazione straordinaria più ampia realizzata all’estero, vanno acquisiti anche gli atti societari esteri tradotti e legalizzati, per dimostrare il contesto complessivo dell’operazione.
Altri documenti rilevanti includono: DDT o documenti di trasporto che attestino la localizzazione fisica della merce in Italia, contratti di deposito o affitto del magazzino italiano, inventari fisici dello stock alla data di trasferimento, valutazioni di perizia se presenti, comunicazioni infragruppo che spiegano le ragioni economiche dell’operazione. Nelle verifiche fiscali, l’Agenzia delle Entrate analizza attentamente la sostanza economica delle operazioni, non fermandosi agli aspetti formali.
Consulenza fiscale online
La gestione delle operazioni transfrontaliere richiede competenze specialistiche che vanno oltre la normale pratica fiscale. La combinazione tra normativa italiana, diritto comunitario e principi internazionali crea un quadro complesso dove gli errori possono costare molto caro.
Ogni operazione internazionale presenta caratteristiche uniche che richiedono soluzioni personalizzate. Non esistono schemi standardizzati applicabili a tutti i casi. L’approccio corretto parte dall’analisi della sostanza economica dell’operazione, per poi individuare la qualificazione fiscale più appropriata e pianificare gli adempimenti necessari. Questa metodologia previene errori costosi e garantisce la piena compliance con gli obblighi tributari.
Contatta lo studio per una consulenza mirata sulla tua specifica situazione. La pianificazione preventiva rappresenta sempre l’investimento più redditizio, evitando correzioni tardive, sanzioni e contenziosi che assorbono tempo e risorse aziendali preziose.
Fonti
- DPR 26 ottobre 1972, n. 633 (Decreto IVA) – artt. 2, 7-bis, 17
- Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 – art. 19
- DL 30 agosto 1993, n. 331
- Agenzia delle Entrate, Risposta interpello n. 194 dell’8 ottobre 2024
- Agenzia delle Entrate, Risposta interpello n. 637 del 2021
- Corte di Giustizia UE, sentenza 27 novembre 2003, causa C-497/01 (Zita Models)