Branch exemption: quando conviene rispetto al credito estero

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La scelta tra branch exemption e credito d’imposta estero rappresenta una decisione strategica irrevocabile per le imprese con stabili organizzazioni estere. L’articolo 168-ter del TUIR offre un regime di esenzione alternativo al tradizionale meccanismo di credito ex articolo 165, ma con implicazioni fiscali profondamente diverse.

Le imprese italiane con stabili organizzazioni all’estero si trovano davanti a un bivio fiscale che condizionerà la tassazione dei redditi esteri per tutta la vita dell’impresa. Da un lato il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero previsto dall’articolo 165 TUIR, strumento tradizionale che evita la doppia imposizione giuridica. Dall’altro la branch exemption disciplinata dall’art. 168-ter TUIR, regime opzionale introdotto dal D.Lgs. n. 147/15 che esclude completamente dalla base imponibile italiana i redditi prodotti dalla stabile organizzazione estera.

La scelta branch exemption

La scelta non è mai neutrale. Optare per la branch exemption significa rinunciare definitivamente alla possibilità di recuperare tramite credito d’imposta le imposte pagate all’estero, ma anche escludere dalla tassazione italiana gli utili esteri. Il credito d’imposta mantiene invece la tassazione in Italia con compensazione delle imposte estere, preservando la possibilità di utilizzare perdite fiscali italiane e beneficiare di regimi agevolativi nazionali. Quale soluzione conviene dipende da variabili precise: livello di tassazione estera, redditività attesa della stabile organizzazione, presenza di perdite pregresse, struttura del gruppo e orizzonte temporale dell’investimento.

Il regime di esenzione si applica integralmente ai redditi prodotti dalla stabile organizzazione estera, escludendoli dalla formazione del reddito complessivo italiano. Significa che gli utili esteri non concorrono alla determinazione dell’IRES, eliminando il rischio di doppie imposizioni e semplificando gli adempimenti dichiarativi. Tuttavia, specularmente, anche le perdite della stabile organizzazione non sono deducibili dal reddito italiano. Il meccanismo funziona come una vera e propria esenzione: i proventi e gli oneri della branch estera vengono sterilizzati ai fini della tassazione in Italia.

Il regime si basa sul principio “all in-all out: l’opzione deve riguardare tutte le stabili organizzazioni estere dell’impresa, senza possibilità di scegliere selettivamente quali branch esentare. Se un’impresa italiana ha una stabile organizzazione in Germania e una in Spagna, l’opzione per l’esenzione copre obbligatoriamente entrambe. Non è possibile applicare l’esenzione alla branch tedesca e il credito d’imposta a quella spagnola. Questa regola evita comportamenti opportunistici ma richiede un’analisi complessiva della struttura estera.

Come funziona il credito d’imposta ex art. 165 TUIR

Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero rappresenta il meccanismo tradizionale di eliminazione della doppia imposizione giuridica. L’impresa italiana tassa in Italia il reddito mondiale, includendo quindi anche i redditi prodotti dalle stabili organizzazioni estere. Per evitare che lo stesso reddito venga tassato due volte, una volta nello Stato estero e una volta in Italia, l’articolo 165 TUIR riconosce un credito d’imposta pari alle imposte pagate all’estero.

Il credito opera con un meccanismo per confronto (credit limit): l’imposta estera è ammessa in detrazione fino a concorrenza dell’imposta italiana corrispondente al reddito prodotto all’estero. In pratica, si calcola l’IRES teorica sul reddito estero applicando l’aliquota italiana (24%), e si confronta con l’imposta effettivamente pagata all’estero. Il credito spetta nella misura minore tra le due. Se l’imposta estera è inferiore a quella italiana, l’impresa recupera integralmente l’imposta estera ma paga la differenza in Italia. Se l’imposta estera è superiore, il credito è limitato all’imposta italiana teorica, con conseguente eccedenza non recuperabile.

Facciamo un esempio concreto. Un’impresa italiana ha una stabile organizzazione in Francia che produce un reddito di â‚¬ 100.000. In Francia paga un’imposta societaria del 25%, pari a â‚¬ 25.000. In Italia il reddito di € 100.000 concorre alla formazione del reddito complessivo. L’IRES teorica su questo reddito sarebbe del 24%, pari a â‚¬ 24.000. Il credito d’imposta spetta quindi nel limite di € 24.000. L’impresa recupera € 24.000 ma l’eccedenza di â‚¬ 1.000 (25.000 – 24.000) rappresenta un costo fiscale definitivo.

Vantaggi e limiti del credito d’imposta

Il credito d’imposta presenta alcuni vantaggi operativi significativi. Consente di dedurre le perdite della stabile organizzazione estera dal reddito italiano, riducendo immediatamente il carico fiscale complessivo. Questo risulta particolarmente vantaggioso nella fase di start-up della branch, quando i costi di avviamento generano perdite iniziali. Il credito permette inoltre di beneficiare di tutti i regimi agevolativi italiani applicabili al reddito complessivo, come il patent box, calcolati sull’intero reddito d’impresa inclusi i proventi esteri.

limiti del credito d’imposta emergono invece in presenza di elevata tassazione estera. L’eccedenza di imposta pagata all’estero rispetto a quella italiana teorica rappresenta un costo definitivo non recuperabile. Se la stabile organizzazione opera in un Paese con aliquote significativamente superiori al 24%, come alcuni Stati USA con tassazione federale e statale cumulata oltre il 30%, l’impresa subisce una perdita fiscale strutturale. Il credito richiede inoltre adempimenti dichiarativi complessi: occorre determinare analiticamente il reddito della stabile organizzazione secondo le regole italiane, calcolare l’imposta estera creditable, gestire le eventuali eccedenze di credito riportabili.

Un altro limite pratico riguarda la valorizzazione del credito in presenza di perdite italiane. Se l’impresa chiude l’esercizio in perdita fiscale complessiva, il credito d’imposta estero non trova capienza e si perde. Non è possibile riportare il credito agli esercizi successivi se non nei limiti previsti dalle convenzioni contro le doppie imposizioni. Questo scenario penalizza le imprese con andamenti economici discontinui o in fase di ristrutturazione.

Il credito d’imposta funziona ottimamente quando la tassazione estera è inferiore o allineata a quella italiana e la stabile organizzazione è stabilmente profittevole. Diventa inefficiente in presenza di alta tassazione estera o volatilità dei risultati.

Quando la branch exemption diventa conveniente

L’esenzione dei redditi della stabile organizzazione all’estero si rivela vantaggiosa in scenari precisi, dove il risparmio fiscale complessivo supera i vincoli operativi del regime. Il primo scenario favorevole riguarda le stabili organizzazioni in Paesi ad alta tassazione. Se la branch opera in uno Stato con aliquote superiori al 24%, l’esenzione elimina definitivamente il problema dell’eccedenza di imposta estera non recuperabile. L’utile estero viene tassato solo nello Stato estero e non concorre alla formazione del reddito italiano, evitando qualsiasi integrazione fiscale.

Un secondo scenario favorevole coinvolge le stabili organizzazioni stabilmente profittevoli con utili significativi. Se la branch genera utili costanti e non si prevedono perdite future, l’esenzione consente di escludere definitivamente dalla tassazione italiana masse reddituali rilevanti. L’impresa beneficia dell’aliquota estera (se inferiore o simile a quella italiana) senza dover gestire meccanismi di credito d’imposta, semplificando gli adempimenti dichiarativi e la pianificazione fiscale.

La branch exemption conviene inoltre quando l’impresa non ha perdite fiscali italiane da compensare e non beneficia significativamente di regimi agevolativi nazionali calcolati sul reddito complessivo. Se l’impresa italiana è già ampiamente profittevole e non utilizza agevolazioni come l’ACE, l’esclusione del reddito estero non comporta perdita di vantaggi fiscali. Al contrario, riduce la base imponibile complessiva con effetti positivi anche sull’IRAP, poiché il valore della produzione della stabile organizzazione viene determinato analiticamente ed escluso dalla base imponibile italiana.

Il recupero delle perdite pregresse

Un aspetto critico del regime di tassazione territoriale della branch riguarda il trattamento delle perdite pregresse maturate dalla stabile organizzazione prima dell’opzione per il regime. L’articolo 168-ter, comma 6, TUIR prevede un meccanismo di recupero a tassazione: le perdite della branch dedotte negli esercizi precedenti vengono recuperate in cinque quote costanti a partire dall’esercizio di efficacia dell’opzione.

Facciamo un esempio numerico. Un’impresa italiana ha dedotto negli anni 2020-2023 perdite della stabile organizzazione tedesca per complessivi â‚¬ 500.000. Nel 2024 opta per la branch exemption. A partire dal 2024, l’impresa deve recuperare a tassazione € 500.000 in cinque quote annuali di â‚¬ 100.000 ciascuna. Questi importi concorrono alla formazione del reddito italiano come variazioni in aumento, aumentando l’IRES dovuta di â‚¬ 24.000 annui (24% di € 100.000) per cinque anni.

Il recupero quinquennale rappresenta un costo fiscale differito che va attentamente valutato nella scelta tra i due regimi. Se le perdite pregresse sono significative, il recupero può erodere il vantaggio dell’esenzione nei primi cinque anni di applicazione. La convenienza si manifesta solo nel medio-lungo periodo, quando il recupero è completato e l’esenzione opera a pieno regime. Occorre quindi proiettare i flussi fiscali su un orizzonte temporale adeguato, tipicamente 7-10 anni, per apprezzare il vantaggio netto del regime di esenzione.

Il recupero delle perdite pregresse è obbligatorio e non modulabile. Non è possibile rinunciare alla deduzione pregressa per evitare il recupero. L’unica eccezione riguarda le perdite “neutrali” mai effettivamente dedotte perché l’impresa era in perdita fiscale complessiva.

L’irrevocabilità della scelta

La caratteristica più vincolante della branch exemption è la sua irrevocabilità assoluta. L’articolo 168-ter, comma 4, TUIR stabilisce che l’opzione, una volta esercitata, è vincolante per l’impresa. Non è possibile revocarla, nemmeno in presenza di mutate condizioni economiche o normative. Questa rigidità contrasta con la prassi italiana che prevede generalmente opzioni revocabili o rinnovabili periodicamente.

L’irrevocabilità della branch exemption è stata confermata dalla Circolare Agenzia delle Entrate n. 9/E del 2016 e riaffermata dalla giurisprudenza. Con la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia n. 2847/2019, i giudici hanno ribadito che non esistono margini per revocare l’opzione, nemmeno in presenza di errori valutativi dell’impresa. La scelta per l’esenzione è definitiva e irreversibile.

Le conseguenze pratiche sono rilevanti. Un’impresa che opta per la branch exemption e successivamente realizza che il credito d’imposta sarebbe stato più conveniente non può tornare indietro. Se la stabile organizzazione inizia a generare perdite che sarebbero deducibili col credito d’imposta, l’impresa non può recuperare tali perdite. Se la tassazione estera si riduce significativamente (ad esempio per riforme fiscali dello Stato estero), l’impresa resta comunque vincolata all’esenzione anche se il credito d’imposta diventerebbe più vantaggioso.

Pianificazione della scelta iniziale

Data l’irrevocabilità, la scelta tra branch exemption e credito d’imposta richiede una pianificazione accurata basata su proiezioni di medio-lungo termine. Non è sufficiente valutare la convenienza nell’esercizio corrente: occorre stimare i risultati attesi della stabile organizzazione per almeno 7-10 anni, considerando variabili come crescita del fatturato, marginalità, evoluzione del contesto normativo estero, stabilità politica e fiscale del Paese ospitante.

Gli elementi da analizzare includono il differenziale di tassazione tra Italia e Stato estero (attuale e prospettico), la redditività attesa della stabile organizzazione con analisi di sensitività su scenari ottimistici e pessimistici, la presenza di perdite pregresse da recuperare e il loro impatto fiscale differito, l’applicabilità di regimi agevolativi italiani al reddito complessivo (ACE, patent box, super-ammortamenti), la struttura del gruppo e l’eventuale presenza di altre stabili organizzazioni estere soggette al principio all in-all out.

Un errore frequente consiste nel valutare la convenienza solo sulla base dei risultati storici della branch. La stabilità dei risultati passati non garantisce la redditività futura, specialmente in settori volatili o mercati esteri con elevata incertezza. Un’analisi professionale richiede modelli di simulazione fiscale che proiettino l’impatto dei due regimi su scenari multipli, quantificando il break-even point e identificando le variabili critiche che determinano la convenienza.

Prima di esercitare l’opzione per la branch exemption, chiedi al tuo consulente un’analisi di convenienza su almeno tre scenari (base, ottimistico, pessimistico) con orizzonte temporale minimo 10 anni. Valuta anche scenari di discontinuità (cessione branch, crisi settoriale, riforme fiscali).

Confronto operativo: quale regime scegliere

La scelta ottimale tra regime di esenzione territoriale e credito d’imposta dipende dalla combinazione di fattori economici, fiscali e strategici specifici di ciascuna impresa. Per sintetizzare i criteri decisionali, analizziamo una tabella comparativa che evidenzia i trade-off fondamentali.

Fattore decisionaleBranch exemption favorevoleCredito d’imposta favorevole
Tassazione esteraSuperiore al 24%Inferiore o uguale al 24%
Redditività branchUtili elevati e costantiPerdite iniziali o volatilità
Perdite pregresseAssenti o limitateSignificative (recupero oneroso)
Perdite fiscali italianeAssenti (impresa profittevole)Presenti (compensabili)
Regimi agevolativi italianiNon applicabili o marginaliPatent box
Complessità gestionalePreferenza per semplicitàCapacità di gestire crediti
Orizzonte temporaleMedio-lungo (oltre 7 anni)Breve-medio (sotto 5 anni)
Altre branch estereTutte in Paesi alta tassazioneMix aliquote (flessibilità)

Questa matrice evidenzia come la branch exemption convenga tipicamente quando la stabile organizzazione opera in un Paese ad alta tassazione (Germania, Francia, USA con tassazione statale) con redditività stabile e significativa, l’impresa italiana non ha perdite fiscali da compensare né beneficia sostanzialmente di agevolazioni nazionali, e l’orizzonte dell’investimento estero è di lungo periodo. In queste condizioni, l’esenzione elimina il costo fiscale dell’eccedenza di imposta estera e semplifica la gestione amministrativa.

Il credito d’imposta resta invece preferibile quando la tassazione estera è inferiore o allineata a quella italiana (Paesi dell’Est Europa, Irlanda, alcuni Stati asiatici con aliquote competitive), la branch è in fase di start-up o presenta risultati volatili con possibili perdite, l’impresa italiana ha perdite fiscali pregresse o correnti che beneficiano della deducibilità delle perdite estere, oppure utilizza significativamente regimi agevolativi come l’ACE calcolati sul reddito complessivo. La flessibilità del credito d’imposta, unita alla deducibilità delle perdite estere, offre maggiore adattabilità a situazioni dinamiche.

Consulenza fiscalità internazionale

La scelta tra branch exemption e credito d’imposta rappresenta una decisione strategica con impatto fiscale permanente e irrevocabile sulla tua impresa. Un errore valutativo può costare decine o centinaia di migliaia di euro nel corso degli anni, senza possibilità di correzione.

Come posso aiutarti:

  • Analisi di convenienza comparativa tra i due regimi con proiezioni su 10 anni e scenari multipli.
  • Quantificazione dell’impatto del recupero delle perdite pregresse e calcolo del break-even temporale.
  • Valutazione dell’interazione con regimi agevolativi italiani (patent box) e ottimizzazione fiscale complessiva.
  • Supporto nell’esercizio dell’opzione con verifica della corretta compilazione dichiarativa e timing ottimale.
  • Assistenza continuativa nella gestione degli adempimenti dichiarativi delle stabili organizzazioni estere.

Se stai valutando l’espansione internazionale tramite stabile organizzazione o hai già una branch estera e vuoi verificare la convenienza di un’opzione per l’esenzione, contattami per un’analisi professionale approfondita. Ti fornirò un modello di simulazione fiscale personalizzato che ti consentirà di prendere la decisione più vantaggiosa per la tua situazione specifica, con la sicurezza di una valutazione basata su dati verificati e proiezioni realistiche.

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    Fonti e riferimenti normativi

    • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), art. 165
    • D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (TUIR), art. 168-ter
    • D.Lgs. 14 settembre 2015 n. 147, art. 1
    • Circolare Agenzia delle Entrate n. 9/E del 1° aprile 2016
    • Provvedimento del Direttore Agenzia delle Entrate del 28 novembre 2016
    • Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 119/E del 2018
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    Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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