La UE e la sua lotta alla pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali deve fare riferimento ad una sentenza del Tribunale Europeo (ECG) che ha identificato il regime fiscale irlandese di Apple non come “aiuto di Stato“.

Apple ed il governo irlandese sono riusciti a ribaltare la controversa decisione della UE del 2016, secondo la quale il sistema fiscale utilizzato da Apple in Irlanda è da considerarsi aiuto di Stato. Secondo la prima decisione UE Apple avrebbe dovuto versare 13 miliardi di euro, oltre ad ulteriori 1,2 miliardi di euro di interessi.

La Corte di Giustizia Europea (ECG) ha annullato la decisione della Comunità Europea del 2016 affermando che la Commissione non è riuscita a dimostrare ai requisiti giuridici necessari che sussisteva un vantaggio ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1. del TFUE.

Apple

Facendo riferimento all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato di un funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il tribunale ha dichiarato che la Commissione della concorrenza della CE aveva torto nel dichiarare che alle entità irlandesi di Apple era stato concesso un vantaggio economico attraverso aiuti di Stato. Inoltre, ha affermato che la Commissione non ha dimostrato che le norme fiscali contestate erano il risultato della discrezionalità esercitata dalle autorità fiscali irlandesi che ha portato a un vantaggio selettivo per le operazioni irlandesi di Apple (ovvero ASI e AOE).

La decisione della Corte di Giustizia UE sul caso Apple ed aiuti di stato in Irlanda

Secondo il Tribunale, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che le entrate rappresentavano il valore delle attività effettivamente svolte dalle filiali irlandesi stesse, in vista, tra l’altro, delle attività e delle funzioni effettivamente svolte dalle filiali irlandesi dell’ASI e AOE, da un lato, e le decisioni strategiche prese e attuate al di fuori di quelle filiali, dall’altro.

Se, tuttavia, la Commissione avesse dimostrato che le entrate delle entità irlandesi di Apple rappresentavano il valore delle attività effettivamente svolte dalle filiali irlandesi stesse, la decisione avrebbe potuto essere diversa. In questo caso, infatti, sarebbe stata opportuna una tassazione effettiva di quel reddito.

Tuttavia, il tribunale ha espresso rammarico per la natura incompleta e talvolta incoerente dei ruling fiscali contestati, ma ho sottolineato che nel caso Apple i difetti identificati dalla Commissione europea non erano sufficienti a provare l’esistenza di un vantaggio fiscale.

La decisione del 2016 nel caso Apple ha sorpreso quasi tutti e la decisione della Corte di Giustizia UE non è diversa. Ai tempi gli Stati Uniti affermarono che quella della UE era soltanto discriminazione verso le imprese USA. Allo stesso tempo il governo irlandese cercava di difendere la propria posizione con queste particolari agevolazioni legate alle multinazionali.

Il risultato è stato un dibattito mondiale sul fatto che l’Irlanda avesse concesso alla società benefici fiscali illegali e sua quale linea di demarcazione tra incentivi fiscali e aiuti di Stato. Questa decisione potrebbe non aver risolto questo dibattito, soprattutto per il fatto che adesso la Corte di Giustizia UE ha stabilito un precedente importante nel diritto tributario internazionale.

La questione controversa degli aiuti di Stato alle multinazionali

Sia le autorità irlandesi che la Apple hanno negato con forza qualsiasi illecito da quando la Commissione della concorrenza dell’UE ha avviato la sua indagine sugli aiuti di Stato e si è conclusa sotto la guida di Margrethe Vestager. Il punto controverso era se le decisioni fiscali irlandesi concesse ad Apple nel 1991 e nel 2007 violassero o meno la legge dell’UE sugli aiuti di Stato.

La Commissione europea ha sostenuto che queste sentenze hanno concesso ad Apple un vantaggio sleale rispetto ad altre società. Questi aspetti hanno permesso alla società americana di indirizzare i suoi profitti derivanti dalle vendite europee attraverso la sua filiale irlandese a una sede situata in un paradiso fiscale.

Questo è il modo in cui la società ha registrato profitti per 22 miliardi di euro nel 2011 e ha pagato tasse per soli 50 milioni di euro in Irlanda, secondo le audizioni del Senato degli Stati Uniti. La Commissione europea della concorrenza ha sostenuto che l’aliquota fiscale effettiva di Apple in Irlanda è scesa al minimo storico dello 0,005% nel 2014.

Tuttavia, la società americana sostiene che questa aliquota è fuorviante perché include le entrate globali di Apple e l’aliquota fiscale effettiva globale è stata del 24,6%. La disputa su dove Apple dovrebbe pagare le imposte fa comunque parte di un quadro economico più ampio.

Apple ha operato nei mercati europei attraverso l’Irlanda per decenni. L’azienda ha avviato per la prima volta l’attività irlandese a Cork nel 1980 e oggi conta oltre 6.200 dipendenti nel Paese, ma l’operazione ha avuto una doppia struttura: una sede operativa parallela allo stabilimento di produzione.

L’Irlanda come porta di accesso all’Europa per le imprese USA

A quel tempo, il governo irlandese stava cercando di riposizionalre la sua economia come il miglior punto di accesso in Europa per le imprese statunitensi e ridisegnò il suo sistema fiscale per attirare investimenti diretti esteri (IDE). Ad oggi, invece, possiamo dire che il modello fiscale irlandese è riuscito ad attirare sia investimenti che controversie.

Il governo irlandese ha approvato la doppia struttura di Apple e ha consentito alla società di operare a un costo fiscale molto basso. La società ha a lungo sottolineato che le sue azioni erano al di sopra del limite e in linea con la normativa fiscale. Tuttavia, questa ha sempre ribadito che avrebbe spostato le proprie attività negli Stati Uniti se il livello di tassazione delle società fosse stato ivi ridotto.

Infatti, dopo che nel 2017 è stato approvato negli USA il Tax Cuts and Jobs Act (TCJA), Apple ha ampliato le sue operazioni negli Stati Uniti e trasferito 250 miliardi di dollari nel suo Paese d’origine perché l’imposta sul reddito societario è stata ridotta dal 21% e perché è stata introdotta un’aliquota speciale (ridotta) per i rimpatrii.

La situazione attuale di Apple

La decisione della Corte di Giustizia UE è una grande vittoria per Apple e il governo irlandese, ma il mondo delle imprese è cambiato radicalmente dall’inizio di questo caso. Questa decisione del tribunale può essere di conforto per i contribuenti, ma la situazione internazionale è ancora complessa.

Molte aziende tecnologiche si sono ristrutturate prima del verdetto finale, inclusa Google, proprio perché gli accordi europei non sono più quelli di una volta. Basti pensare alla situazione del sistema fiscale conosciuto come “the double-irish“. Questa struttura, valida per molti anni, adesso ha perso il proprio appeal, mentre gli Stati Uniti hanno trasformato il proprio sistema tributario per convincere le società americane a riportare i propri investimenti “a casa“. La combinazione di scandali fiscali e controversie ha accelerato i cambiamenti nella politica fiscale globale.

Nello stesso periodo l’OCSE e l’UE hanno perseguito una serie di misure di elusione fiscale per ridurre lo spostamento degli utili e l’erosione delle basi imponibili (progetto BEPS UE). Il mondo delle imposte è cambiato radicalmente da quando la UE ha avviato le sue indagini su Apple nel 2013.

Le imprese hanno dovuto adeguarsi al nuovo ambiente fiscale internazionale. Tuttavia, questo non significa che non ci siano più opportunità per le aziende di ridurre il loro tax rate, tuttavia, con modalità diverse rispetto a quelle del passato.

Il nuovo dibattito è dove le imprese dovrebbero pagare le imposte (vedi il caso delle imprese digitali), non tanto se pagano abbastanza. Tuttavia, a comunità imprenditoriale sarà ansiosa di trovare modi più convenienti per adeguarsi nonostante sappia da diversi anni che il test sulle sostanze ha alzato il livello.

Pianificazione fiscale in ambito internazionale

La sentenza sopra citata, come anticipato, rappresenta un precedente importante in una situazione internazionale incerta. Situazione dove ancora oggi molte multinazionali continuano a sfruttare i regimi fiscali di favore attuati da alcuni Stati con l’intento di promuovere attività e sedi di multinazionali, raggiungendo accordi fiscali vantaggiosi per queste imprese.

Per alcuni Stati, infatti, essere considerati come “porta di ingresso” in Europa di multinazionali estere è più importante (a livello economico) dei possibili introiti fiscali diretti che possono ottenere. E’ in questo contesto che, in questi ultimi mesi, si sta facendo più stringente il dibattito internazionale sulla tassazione dell’economia digitale.

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