Regime impatriati: attività collaterali e dipendenti di istituzioni UE

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Interpelli n. 263 e 264/2025: il regime impatriati ammette attività collaterali, ma l’Agenzia applica il test del datore di lavoro. Chiarimenti su BERS e istituzioni UE in merito alla residenza fiscale.

Puoi rientrare in Italia con il regime impatriati e continuare a collaborare con il tuo precedente datore di lavoro estero? La risposta è sì, ma l’agevolazione fiscale del 50% non si applicherà a quei redditi. Con le risposte a interpello n. 263 e n. 264 del 2025, l’Agenzia delle Entrate traccia una linea chiara: il nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati non vieta lo svolgimento di attività collaterali, ma sottopone ciascun flusso reddituale a un controllo rigoroso sulla continuità con il periodo pre-espatrio.

Due casi concreti, un principio fondamentale: l’agevolazione si applica solo ai redditi che rispettano autonomamente tutti i requisiti previsti dall’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209. Non è più sufficiente rientrare in Italia e svolgere un’attività qualificata. Occorre dimostrare che quella specifica attività rappresenta un genuino rientro di competenze dall’estero, senza legami di continuità con il passato lavorativo italiano.

Regime impatriati: test del datore di lavoro

Il nuovo regime impatriati, operativo dal 2024, introduce un meccanismo di verifica più selettivo rispetto alla disciplina precedente. L’agevolazione fiscale del 50% sui redditi fino a 600.000 euro annui si applica solo se sussistono tutti i requisiti previsti dalla norma, tra cui la residenza fiscale estera per almeno tre anni consecutivi. Ma attenzione: questo periodo si allunga a sei o sette anni quando esiste continuità con il precedente datore di lavoro.

La novità principale emersa dagli interpelli riguarda la possibilità di svolgere più attività contemporaneamente al rientro in Italia. Il regime non impone l’esclusività lavorativa, ma valuta ogni singola posizione separatamente. Se un lavoratore rientra per una nuova occupazione presso un’azienda diversa e mantiene anche una collaborazione con il suo precedente datore estero, potrà beneficiare dell’agevolazione solo sui redditi della nuova attività, mentre l’altra rimarrà interamente tassabile (in mancanza degli anni di residenza estera previsti in misura prolungata).

Questo approccio selettivo rappresenta una differenza sostanziale rispetto al passato e richiede una pianificazione accurata da parte dei professionisti che assistono i lavoratori nel rientro. Non basta più verificare i requisiti generali: serve analizzare ogni rapporto di lavoro previsto e valutarne l’ammissibilità specifica all’agevolazione.

Interpello n. 263: università e doppio binario contrattuale

Il primo caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda un cittadino italiano che si è trasferito all’estero nel gennaio 2023 per lavorare come dipendente presso una società estera. Durante l’espatrio ha mantenuto attiva una collaborazione coordinata e continuativa con un’università italiana, svolgendo attività di insegnamento sia in remoto che in presenza sul territorio nazionale.

Nel 2026 questo contribuente intende rientrare fiscalmente in Italia per assumere una posizione da dipendente presso una società italiana completamente diversa e non collegata al suo datore di lavoro estero. Contemporaneamente, desidera proseguire la collaborazione con l’università italiana. La domanda è diretta: può applicare il regime impatriati a entrambi i redditi?

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 263 del 2025, fornisce una soluzione articolata. Il contribuente potrà accedere al nuovo regime agevolativo, ma solo con riferimento al reddito da lavoro dipendente prodotto per la nuova società italiana. Questo perché si tratta di un datore di lavoro completamente nuovo, senza alcun legame con il periodo di espatrio o con il precedente periodo italiano.

Diversa è la situazione per i compensi derivanti dalla collaborazione con l’università. Secondo l’interpretazione dell’Agenzia, questa attività presenta elementi di continuità sia rispetto al periodo di espatrio sia rispetto a un precedente periodo lavorativo in Italia. L’università risulta essere lo stesso datore di lavoro per cui il contribuente aveva iniziato a lavorare già nel novembre 2022, quando era ancora fiscalmente residente in Italia, e con cui ha continuato a collaborare anche durante l’espatrio.

Continuità con il datore di lavoro italiano: test di residenza estera prolungato

In presenza di questa continuità, il periodo minimo di residenza fiscale estera richiesto per accedere all’agevolazione si estende da tre a sette anni. Poiché nel caso specifico l’interessato sarà stato residente all’estero solo per tre anni, non potrà applicare il regime agevolativo ai redditi derivanti dall’attività universitaria. Questi compensi concorreranno integralmente alla formazione del reddito imponibile, senza alcuna riduzione.

La risposta conferma un principio già emerso in precedenti interpelli: il nuovo regime impatriati applica un doppio test di verifica. Il primo riguarda l’identità soggettiva del datore di lavoro, verificando se si tratta dello stesso soggetto o di un’entità appartenente al medesimo gruppo. Il secondo test valuta la continuità funzionale dell’attività svolta, indipendentemente dalla forma contrattuale utilizzata.

Nel caso esaminato, la collaborazione universitaria risulta penalizzante non solo perché proseguita durante l’espatrio, ma anche perché era già iniziata quando il contribuente risiedeva in Italia. Questa doppia continuità attiva il requisito più stringente dei sette anni di residenza estera, rendendo di fatto inaccessibile l’agevolazione per quella specifica fonte reddituale.

Interpello n. 264: BERS e presunzione di residenza fiscale

Il secondo interpello affronta una questione tecnica di grande rilevanza per i dipendenti di istituzioni finanziarie internazionali. Un cittadino italiano, regolarmente iscritto all’AIRE dal gennaio 2021, ha lavorato inizialmente presso la Banca Europea degli Investimenti a Lussemburgo e successivamente, dall’ottobre 2022, presso la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo con sede a Londra.

Il nodo interpretativo riguarda l’applicazione dell’articolo 13 del Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione Europea, allegato al Trattato sull’Unione Europea e al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Questa disposizione stabilisce una presunzione di residenza fiscale italiana per i funzionari e gli agenti dell’Unione Europea che si trasferiscono in un altro Stato membro per ragioni di servizio.

In pratica, un cittadino italiano che lavora per un’istituzione dell’Unione Europea all’estero viene considerato comunque fiscalmente residente in Italia, anche se formalmente iscritto all’AIRE. Questa presunzione legale comporta l’impossibilità di maturare il requisito della residenza fiscale estera necessario per accedere al regime impatriati al momento del rientro effettivo in Italia.

La Circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020 aveva già chiarito che i cittadini italiani ai quali si applica questa disposizione sono considerati ex lege fiscalmente residenti in Italia, con la conseguenza che l’accesso al regime agevolativo risulta precluso per mancanza di uno dei presupposti fondamentali richiesti dalla norma.

La BERS non rientra tra le istituzioni UE

La questione specifica sollevata nell’interpello n. 264 del 2025 riguarda l’estensione di questa presunzione ai dipendenti della BERS. L’Agenzia delle Entrate fornisce un chiarimento definitivo: la BERS non rientra tra le istituzioni dell’Unione Europea e pertanto ai suoi dipendenti non si applica l’articolo 13 del Protocollo n. 7.

Questa distinzione ha un fondamento oggettivo. La BERS è un’istituzione finanziaria internazionale costituita nel 1991 per favorire la transizione economica dei Paesi dell’Europa centrale e orientale e dell’ex Unione Sovietica. Tra i suoi 71 Paesi azionisti figurano anche l’Unione Europea e la Banca Europea degli Investimenti, ma la BERS stessa non è un’istituzione dell’Unione.

Il Protocollo n. 7 prevede espressamente l’applicazione delle sue disposizioni alla Banca Centrale Europea e alla Banca Europea degli Investimenti, ma non menziona altre istituzioni. Di conseguenza, il dipendente della BERS che rientra in Italia dopo un periodo di lavoro all’estero può validamente maturare il requisito della residenza fiscale estera necessario per accedere al regime impatriati.

Nel caso specifico, il periodo dal 2023 al 2025 durante il quale l’interessato ha lavorato per la BERS viene riconosciuto come valido ai fini del calcolo dei tre anni di residenza estera richiesti. Il contribuente potrà quindi accedere al nuovo regime agevolativo a partire dal periodo d’imposta 2026, naturalmente nel rispetto di tutte le altre condizioni previste dalla disciplina.

Tracciabilità del percorso lavorativo da monitorare

Entrambi gli interpelli mettono in luce un elemento comune: il nuovo regime impatriati richiede una tracciabilità precisa del percorso lavorativo del contribuente. Non è sufficiente dimostrare di essere stati all’estero per il periodo minimo richiesto. Occorre ricostruire l’intera storia professionale, individuando ogni rapporto di lavoro e verificando se esistono elementi di continuità con l’attività che si intende svolgere in Italia.

Tre livelli temporali di controllo

Questa verifica si articola su tre livelli temporali. Il primo riguarda il periodo precedente all’espatrio: il lavoratore svolgeva già in Italia un’attività per lo stesso datore di lavoro o per un soggetto appartenente al medesimo gruppo? Il secondo livello riguarda il periodo di espatrio: durante la residenza fiscale estera il contribuente ha mantenuto rapporti lavorativi con soggetti italiani? Il terzo livello riguarda il periodo post-rientro: l’attività che si intende svolgere in Italia presenta elementi di continuità con i rapporti di lavoro precedenti?

La risposta a interpello n. 53 del 2025, richiamata anche nell’interpello n. 263, aveva già chiarito che il periodo minimo di permanenza all’estero si allunga a sei o sette anni in tutte le ipotesi in cui il contribuente, al rientro in Italia, presta l’attività lavorativa per il medesimo soggetto per il quale ha lavorato all’estero. Questo principio si applica indipendentemente dalla tipologia di rapporto contrattuale: vale sia per il lavoro dipendente sia per il lavoro autonomo o le collaborazioni coordinate e continuative.

Quando la continuità funzionale preclude l’agevolazione

Il concetto di continuità funzionale introdotto dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate rappresenta l’elemento più insidioso nella valutazione dell’accesso al regime impatriati. Non si tratta solo di verificare se il datore di lavoro italiano è formalmente lo stesso soggetto per cui il contribuente ha lavorato all’estero. Occorre valutare anche se l’attività svolta presenta elementi di sostanziale continuità con il percorso professionale precedente.

Per approfondire:

Esempio pratico

Un esempio pratico aiuta a comprendere la portata di questa disposizione. Un professionista che rientra in Italia e avvia un proprio studio può applicare il regime impatriati ai redditi derivanti dalla sua attività professionale. Tuttavia, se tra i suoi clienti figura anche il precedente datore di lavoro estero per cui ha lavorato durante l’espatrio, i compensi derivanti specificamente da quella collaborazione richiederebbero un periodo minimo di residenza estera di sei anni invece di tre.

Questa lettura estensiva della norma impone una pianificazione accurata del rientro. Prima di trasferire la residenza fiscale in Italia, il lavoratore deve mappare tutti i rapporti professionali che intende mantenere o avviare e verificare se esistono collegamenti con il suo percorso pregresso. Solo così potrà determinare con certezza quali redditi potranno beneficiare dell’agevolazione e quali rimarranno integralmente imponibili.

Implicazioni operative per pianificare il rientro in Italia

Le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate con gli interpelli n. 263 e n. 264 del 2025 richiedono un approccio più strutturato nella gestione dei rientri agevolati. La prima conseguenza pratica riguarda la fase di valutazione preliminare: prima di decidere il rientro in Italia, il lavoratore deve analizzare non solo la propria posizione attuale ma l’intero percorso professionale degli ultimi anni.

Questa analisi deve includere tutti i rapporti di lavoro attivi, anche quelli secondari o occasionali. Una collaborazione sporadica con un’università italiana, come nel caso dell’interpello n. 263, può sembrare marginale rispetto all’attività principale svolta all’estero, ma ai fini dell’accesso al regime impatriati assume un rilievo determinante.

La seconda implicazione riguarda la gestione dei rapporti contrattuali esistenti. Un lavoratore che intende rientrare in Italia e desidera beneficiare pienamente del regime impatriati dovrebbe valutare se mantenere o interrompere eventuali collaborazioni con datori di lavoro italiani attive durante l’espatrio. Nel caso specifico dell’interpello n. 263, se l’interessato avesse interrotto la collaborazione con l’università prima del rientro, avrebbe potuto eventualmente riavviarla dopo alcuni anni, senza preclusioni all’accesso al regime per il nuovo rapporto principale.

Una terza considerazione riguarda la scelta del datore di lavoro italiano. L’accesso al regime risulta più lineare quando il rientro avviene per lavorare presso un soggetto completamente nuovo, senza alcun legame con i precedenti datori di lavoro esteri o italiani. Quando invece il rientro prevede la continuazione di un rapporto già esistente, occorre verificare attentamente il rispetto del requisito temporale esteso dei sei o sette anni di residenza estera.

Per i dipendenti di istituzioni internazionali, l’interpello n. 264 offre un criterio chiaro di distinzione. Chi lavora per istituzioni dell’Unione Europea come la Banca Centrale Europea o la Banca Europea degli Investimenti deve considerare che il periodo di servizio non matura ai fini del requisito della residenza fiscale estera. Chi invece lavora per organizzazioni internazionali diverse, come la BERS, può validamente computare quel periodo per l’accesso al regime impatriati.

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Il regime impatriati rappresenta un’opportunità fiscale significativa per chi decide di trasferire competenze e professionalità in Italia, ma gli ultimi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate dimostrano che l’accesso all’agevolazione richiede una pianificazione accurata e una conoscenza approfondita dei meccanismi applicativi.

La verifica preventiva del tuo percorso professionale, l’analisi dei rapporti di lavoro esistenti e la programmazione delle attività da svolgere al rientro sono elementi essenziali per evitare contestazioni future e massimizzare il beneficio fiscale effettivamente ottenibile. Ogni situazione presenta caratteristiche specifiche che influenzano l’applicabilità del regime.

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Federico Migliorini
Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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