Analisi di un caso pratico sull’esterovestizione societaria: come la presenza operativa in Italia può far prevalere la sostanza sulla forma, anche con amministratore iscritto all’AIRE.
L’iscrizione all’AIRE dell’amministratore e socio unico di una società esterovestita non costituisce automaticamente una garanzia contro l’accertamento di residenza fiscale. Un caso particolarmente rilevante, per far comprendere la portata degli accertamenti che vengono effettuati, ha dimostrato come la presenza di documentazione commerciale ed extracontabile presso una società italiana possa determinare la qualificazione di esterovestizione, di società estere, nonostante la formale residenza estera dell’amministratore.
La Commissione Tributaria Provinciale di Torino, con la sentenza n. 706/02/2021, ha affrontato un caso emblematico che illustra perfettamente i rischi connessi a strutture societarie apparentemente conformi alla normativa fiscale internazionale ma sostanzialmente radicate nel territorio italiano.
Indice degli argomenti
- Che cos’è l’esterovestizione societaria (cenni)
- Il caso pratico: documentazione extracontabile in Italia di società costituite all’estero (UK e San Marino)
- Gli elementi che hanno fatto scattare la contestazione di esterovestizione
- Le conseguenze fiscali e sanzionatorie
- Come strutturare correttamente una società estera
- Il ruolo dell’AIRE e i limiti della presunzione di non residenza
- La giurisprudenza consolidata in materia di esterovestizione
- L’approccio dell’Agenzia delle Entrate e i poteri istruttori
- Consulenza fiscale online
- Fonti
Che cos’è l’esterovestizione societaria (cenni)
L’esterovestizione è una fattispecie elusiva che si verifica quando una società risulta formalmente costituita e registrata all’estero, ma di fatto opera stabilmente in Italia, dove viene gestita e dove produce i suoi redditi. In sostanza, si tratta di una società che indossa un “vestito estero” per apparire non residente fiscalmente in Italia, mentre la realtà operativa racconta una storia completamente diversa.
Il fenomeno dell’esterovestizione non deve essere confuso con la legittima pianificazione fiscale internazionale. Mentre quest’ultima si basa su strutture reali e sostanziali che rispondono a logiche economiche genuine, l’esterovestizione è una costruzione artificiosa il cui unico scopo è sottrarsi alla tassazione italiana. La giurisprudenza italiana, allineandosi ai principi OCSE contro l’erosione della base imponibile, ha sviluppato negli anni criteri sempre più stringenti per individuare questi fenomeni.
La distinzione fondamentale risiede nel concetto di “sostanza economica effettiva“: una società è realmente estera quando dispone di mezzi, personale, locali e autonomia decisionale nel paese di costituzione. Al contrario, quando tutti gli elementi sostanziali dell’attività si trovano in Italia, la sede legale estera diventa irrilevante agli occhi del fisco italiano.
L’articolo 73 del TUIR
La disciplina trova il suo pilastro normativo nell’articolo 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Questo articolo stabilisce che ai fini dell’imposta sul reddito delle società sono considerati residenti in Italia i soggetti che per la maggior parte del periodo d’imposta (quindi almeno 183 giorni, o 184 negli anni bisestili) hanno alternativamente uno di questi tre requisiti: la sede legale in Italia, la sede dell’amministrazione in Italia, oppure la gestione ordinaria in via principale in Italia.
È fondamentale comprendere che questi tre criteri operano in alternativa, non in modo cumulativo. Ciò significa che è sufficiente la presenza di anche uno solo di questi elementi per far scattare la residenza fiscale italiana. Questo approccio riflette la volontà del legislatore di assicurare che la tassazione avvenga dove si trova la reale sostanza economica dell’attività.
La “sede legale” è il criterio più formale e si identifica facilmente con quanto risulta dall’atto costitutivo e dallo statuto sociale. La “sede dell’amministrazione“, invece, è un concetto sostanziale che fa riferimento al luogo dove vengono assunte le decisioni strategiche e dove si riuniscono effettivamente gli organi direttivi della società. Infine, “la gestione ordinaria in via principale” si riferisce al luogo dove si svolge concretamente l’attività economica prevalente dell’impresa.
Dal 2016, il legislatore ha introdotto il comma 5-bis dell’articolo 73, che stabilisce una presunzione legale relativa: si considera esistente in Italia la sede dell’amministrazione di società che detengono partecipazioni di controllo in soggetti italiani quando sono controllate da residenti italiani oppure quando il consiglio di amministrazione è composto in prevalenza da amministratori residenti in Italia. Questa presunzione può essere vinta fornendo prova contraria, ma rappresenta un importante strumento di contrasto all’esterovestizione nei gruppi societari.
Il caso pratico: documentazione extracontabile in Italia di società costituite all’estero (UK e San Marino)
Passiamo ora all’analisi del caso concreto che ha dato origine alla sentenza in commento, un esempio paradigmatico di come si materializza l’esterovestizione nella pratica imprenditoriale quotidiana. La vicenda riguarda un imprenditore operante nel settore della cartellonistica pubblicitaria che aveva strutturato la propria attività attraverso tre società distinte: una con sede in Piemonte, una costituita nel Regno Unito e una nella Repubblica di San Marino.
Nel corso di una verifica fiscale presso la società piemontese, la Guardia di Finanza ha rinvenuto abbondante documentazione commerciale ed extracontabile riferibile anche alle altre due società formalmente estere. Questa documentazione comprendeva contratti, corrispondenza commerciale, documenti operativi e altre carte che dimostravano come le decisioni di natura gestionale e commerciale venissero assunte presso la sede italiana.
L’elemento che potrebbe sembrare dirimente a prima vista è che l’amministratore unico di tutte e tre le società risultava iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, con residenza ufficiale nel Regno Unito. L’iscrizione all’AIRE è infatti lo strumento attraverso cui i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza all’estero cessano formalmente di essere considerati residenti fiscali in Italia. Tuttavia, come vedremo, questo elemento formale non è stato sufficiente a dimostrare l’effettività del trasferimento all’estero della sede operativa delle società.
Prevalenza della sostanza sulla forma
Gli accertatori hanno ricostruito un quadro fattuale inequivocabile: nonostante la sede legale estera e l’iscrizione AIRE dell’amministratore, l’attività sostanziale delle due società formalmente non residenti si svolgeva interamente in Italia. I contratti venivano negoziati in Italia, i fornitori erano italiani, i clienti venivano gestiti dall’Italia, e soprattutto tutta la documentazione operativa si trovava fisicamente presso la sede della società piemontese.
La Commissione Tributaria, nell’accogliere le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, ha affermato con chiarezza che nel caso di specie sussistevano sia il requisito della “sede dell’amministrazione effettiva” sia quello dell'”oggetto principale” (gestione ordinaria in via principale) in Italia. Di conseguenza, le due società formalmente costituite all’estero sono state riqualificate come soggetti fiscalmente residenti in Italia, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di obblighi dichiarativi e imposizione fiscale.
Gli elementi che hanno fatto scattare la contestazione di esterovestizione
Analizzando in profondità la motivazione della sentenza e la prassi dell’Agenzia delle Entrate in materia, possiamo identificare alcuni elementi decisivi che hanno portato alla qualificazione delle società come esterovestite. La comprensione di questi fattori è essenziale per chi opera o intende operare con strutture societarie internazionali.
Documentazione extracontabile
Primo elemento fondamentale è la presenza fisica della documentazione in Italia. Il fatto che presso la sede della società piemontese fossero custoditi non solo documenti commerciali, ma anche materiale extracontabile relativo alle società estere, dimostra che il centro operativo dell’attività si trovava effettivamente in Italia. Questo aspetto va oltre la mera conservazione di copie: si trattava di documentazione originale e corrente, utilizzata quotidianamente per la gestione dell’attività.
Unicità della direzione
Il secondo elemento è l’unicità della direzione e del controllo. Tutte e tre le società erano amministrate dalla medesima persona fisica, il che di per sé non costituisce illecito, ma diventa significativo quando questa persona, pur formalmente residente all’estero, opera di fatto stabilmente in Italia. L’iscrizione all’AIRE, infatti, è un elemento formale che può essere superato dalla dimostrazione della presenza fisica continuativa sul territorio italiano.
Identità dell’attività svolta
Un terzo fattore determinante riguarda l’identità dell’attività svolta. Le tre società operavano tutte nel medesimo settore della cartellonistica pubblicitaria, con clienti e fornitori sostanzialmente sovrapponibili. Questa coincidenza ha rafforzato la convinzione dei giudici che si trattasse in realtà di un’unica attività imprenditoriale artificiosamente frammentata su più veicoli societari, alcuni dei quali formalmente esteri.
Assenza di struttura e personale all’estero
La giurisprudenza valorizza inoltre altri indizi significativi che nel caso specifico potrebbero essere stati presenti: l’assenza di una reale struttura operativa nei paesi esteri di costituzione, la mancanza di personale dipendente all’estero, l’assenza di locali ad uso esclusivo, il compimento di tutti gli atti rilevanti in Italia. Quando questi elementi si sommano, il quadro indiziario diventa schiacciante.
È importante sottolineare che non è necessaria la presenza di tutti questi elementi contemporaneamente. La valutazione dell’esterovestizione si basa su un giudizio complessivo e sintetico che considera l’insieme degli indizi. Anche pochi elementi, se particolarmente significativi, possono essere sufficienti a fondare la contestazione.
Le conseguenze fiscali e sanzionatorie
Una volta accertata l’esterovestizione, le conseguenze per il contribuente sono particolarmente gravose e si articolano su diversi livelli. La prima e più immediata conseguenza è la riqualificazione retroattiva della società come fiscalmente residente in Italia. Questo comporta che tutti i redditi prodotti dalla società, ovunque generati nel mondo, diventano imponibili in Italia secondo le regole dell’IRES.
Dal punto di vista degli obblighi formali, la società avrebbe dovuto presentare tutte le dichiarazioni fiscali italiane per gli anni in cui è stata operativa. L’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi costituisce di per sé una violazione sanzionata (al tempo) dal 120% al 240% dell’imposta dovuta, con un minimo di 250 euro. A questa sanzione si aggiungono quelle per l’omesso versamento delle imposte, che variavano al tempo dal 30% al 100% dell’imposta non versata.
Sul piano delle imposte dirette, la società dovrà versare l’IRES (attualmente al 24%) calcolata sul reddito complessivo prodotto. Inoltre, qualora applicabile, potrebbero emergere anche obblighi relativi all’IRAP, l’imposta regionale sulle attività produttive. Non vanno dimenticati gli obblighi IVA: se la società ha effettuato operazioni rilevanti ai fini IVA in Italia, dovrebbe aver aperto una partita IVA italiana e applicato l’imposta secondo le regole nazionali.
Gli interessi moratori si applicano dal momento in cui l’imposta avrebbe dovuto essere versata fino al momento dell’effettivo pagamento, con un tasso che negli ultimi anni si è aggirato intorno all’1% annuo. Anche se questo tasso può sembrare modesto, su importi rilevanti e periodi pluriennali l’incidenza degli interessi diventa significativa.
Profili penali
Dal punto di vista penale, nei casi più gravi in cui l’ammontare delle imposte evase superi le soglie previste dal Decreto Legislativo n. 74/2000, possono configurarsi reati tributari. In particolare, la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti o mediante altri artifici è punita con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, quando l’imposta evasa è superiore a 100.000 euro. L’omessa dichiarazione diventa reato quando l’imposta evasa supera i 50.000 euro per ciascuna imposta.
Nel caso specifico della sentenza commentata, l’Agenzia delle Entrate ha contestato proprio l’omessa presentazione delle dichiarazioni e l’evasione d’imposta conseguente. La Commissione Tributaria ha confermato integralmente le pretese erariali, riconoscendo la piena legittimità dell’accertamento.
Come strutturare correttamente una società estera
Dopo aver illustrato cosa non fare, è fondamentale fornire indicazioni costruttive su come strutturare correttamente una presenza societaria all’estero che sia reale, sostanziale e quindi non contestabile. La chiave di volta è il principio di sostanza economica, che richiede la presenza di elementi concreti e verificabili che dimostrino l’effettività della localizzazione estera.
Sede operativa reale
In primo luogo, la società estera deve disporre di una sede operativa reale e autonoma nel paese di costituzione. Non è sufficiente un indirizzo presso uno studio professionale o una sede virtuale: occorre un ufficio effettivo, dotato di arredi, strumenti di lavoro e presidiato da personale. Questo elemento viene sempre verificato dalle autorità fiscali attraverso sopralluoghi o richieste di documentazione fotografica e contratti di locazione.
Dipendenti e collaboratori
Il personale dipendente o collaboratori stabili nel paese estero rappresentano un secondo elemento essenziale. Una società che non ha alcun dipendente all’estero difficilmente può sostenere di avere lì il proprio centro operativo. Il personale deve essere adeguato alla dimensione e alla complessità dell’attività svolta, e deve effettivamente operare dalla sede estera con continuità.
Gestione ordinaria all’estero
La gestione effettiva dall’estero richiede che le decisioni strategiche vengano realmente assunte nel paese di costituzione. Questo significa che le riunioni del consiglio di amministrazione devono tenersi all’estero, con verbali redatti e conservati secondo le modalità previste dalla legge locale. La prassi di redigere verbali datati all’estero per decisioni assunte in Italia è facilmente smascherabile attraverso l’analisi dei tabulati telefonici, delle email e dei movimenti aerei degli amministratori.
Autonomia bancaria
L’autonomia bancaria e finanziaria costituisce un ulteriore indicatore significativo. La società estera deve avere conti correnti locali attraverso i quali vengono regolate le proprie operazioni. L’assenza di conti bancari nel paese di costituzione o la gestione di tutti i movimenti finanziari attraverso conti italiani rappresenta un forte indizio di esterovestizione.
Relazioni commerciali
Le relazioni commerciali devono essere coerenti con la localizzazione estera. Se una società costituita a Londra o a San Marino ha come unici clienti e fornitori soggetti italiani, senza alcuna ragione economica che giustifichi questa struttura, emerge chiaramente l’artificiosità dell’operazione. Al contrario, se la società estera serve effettivamente mercati internazionali o svolge funzioni logiche rispetto a quei mercati, la struttura acquista credibilità.
Corporate governance
Un aspetto spesso trascurato ma molto importante riguarda la cosiddetta “corporate governance“. Gli amministratori devono risiedere effettivamente all’estero, e questa residenza deve essere reale e non solo formale. L’iscrizione all’AIRE, come dimostra il caso in esame, non è sufficiente se poi la persona fisica continua a vivere e operare stabilmente in Italia. Le autorità fiscali incrociano dati sui consumi (utenze, carte di credito), sulla presenza di immobili intestati o in uso in Italia, sulle iscrizioni scolastiche dei figli, e così via.
Infine, è essenziale mantenere una documentazione completa e ordinata che dimostri tutti questi elementi di sostanza. In caso di verifica, il contribuente ha l’onere di provare l’effettività della propria struttura estera. Una documentazione lacunosa o contraddittoria rafforza i sospetti di esterovestizione.
Il ruolo dell’AIRE e i limiti della presunzione di non residenza
L’iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero rappresenta un tema centrale nella vicenda esaminata e merita un approfondimento specifico. L’AIRE è il registro dei cittadini italiani che hanno trasferito la propria residenza all’estero per un periodo superiore ai dodici mesi. L’iscrizione è obbligatoria e comporta la cancellazione dall’anagrafe del comune italiano di provenienza.
Dal punto di vista fiscale, l’iscrizione all’AIRE ha un’importanza significativa perché rappresenta un elemento presuntivo di non residenza in Italia. Secondo l’articolo 2 del TUIR, infatti, le persone fisiche sono considerate residenti in Italia se per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio italiano il domicilio o la residenza secondo il Codice Civile.
Tuttavia, come dimostra chiaramente il caso della sentenza torinese, l’iscrizione all’AIRE non è una patente di immunità fiscale. Si tratta di una presunzione relativa che può essere superata dalla prova contraria. Se l’Agenzia delle Entrate dimostra che, nonostante l’iscrizione all’AIRE, il contribuente ha mantenuto in Italia il centro dei propri interessi vitali o vi dimora abitualmente, la residenza fiscale italiana viene comunque riconosciuta.
Elementi fattuali della fittizia residenza estera
Gli elementi che possono far cadere la presunzione derivante dall’iscrizione AIRE sono molteplici. La disponibilità di un’abitazione in Italia, specialmente se di proprietà o in locazione a lungo termine, costituisce un indizio rilevante. La presenza della famiglia in Italia, soprattutto del coniuge e dei figli minori, rappresenta un altro fattore decisivo, poiché si presume che il nucleo familiare costituisca il centro degli interessi affettivi della persona.
L’attività lavorativa o imprenditoriale svolta prevalentemente in Italia, anche se formalmente intestata a soggetti esteri, dimostra che il centro degli interessi economici si trova nel nostro paese. La gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare dall’Italia, con investimenti, conti correnti e proprietà prevalentemente italiane, rafforza ulteriormente questa conclusione.
Nel caso specifico analizzato, l’amministratore era iscritto all’AIRE dal 2013, ma questo non è stato sufficiente a evitare la contestazione. Il motivo è che l’esterovestizione riguardava le società, non la persona fisica dell’amministratore. Tuttavia, indirettamente, la presenza continuativa dell’amministratore in Italia per gestire le società è stata uno degli elementi che hanno dimostrato che anche le società erano di fatto localizzate in Italia.
È importante comprendere che AIRE e residenza fiscale, pur essendo concetti correlati, non coincidono automaticamente. La residenza ai fini anagrafici è un elemento formale che si basa su dichiarazioni e registrazioni amministrative. La residenza fiscale, invece, è un concetto sostanziale che prescinde dalle formalità e guarda alla realtà effettiva della vita della persona o dell’attività dell’impresa.
La giurisprudenza consolidata in materia di esterovestizione
Il caso della CTP Torino si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato che ha progressivamente definito i contorni del fenomeno dell’esterovestizione. La Corte di Cassazione, con numerose sentenze negli ultimi anni, ha chiarito i principi fondamentali che guidano l’individuazione della residenza fiscale effettiva delle società.
Una sentenza particolarmente rilevante è la Cassazione n. 16697 del 2019, espressamente richiamata nella decisione torinese, che ha affermato il principio secondo cui la sede dell’amministrazione effettiva va individuata nel luogo dove si svolge stabilmente e concretamente l’attività amministrativa e direttiva della società. Questo concetto va tenuto distinto dalla sede legale, che è un elemento puramente formale.
La Cassazione ha anche chiarito, con la sentenza 19000 del 2021, che l’onere della prova in materia di esterovestizione segue regole specifiche. Spetta all’Amministrazione finanziaria fornire gli elementi indiziari che fanno presumere la localizzazione italiana della sede effettiva. Una volta assolto questo onere iniziale, spetta al contribuente dimostrare, con prove contrarie concrete e documentate, che la sede effettiva si trova realmente all’estero.
La giurisprudenza ha anche affrontato casi celebri nel settore della moda, dove stilisti e imprenditori italiani avevano costituito società in paesi a fiscalità privilegiata pur continuando a operare dall’Italia. In questi casi, spesso caratterizzati da grande risonanza mediatica, i giudici hanno sempre privilegiato la sostanza sulla forma, riconoscendo la residenza fiscale italiana nonostante le apparenze estere.
Trattamento dei gruppi societari
Un elemento interessante emerso dalla giurisprudenza riguarda il trattamento dei gruppi societari. Quando più società, alcune italiane e altre estere, fanno capo allo stesso imprenditore o gruppo familiare, e condividono locali, personale, clienti e fornitori, la presunzione di esterovestizione si rafforza notevolmente. Il caso torinese rientra perfettamente in questa casistica.
I giudici hanno anche precisato che non è necessario che tutti gli elementi dell’attività si trovino in Italia: è sufficiente che vi si trovi il centro decisionale o l’oggetto principale dell’attività. Anche una società che abbia alcuni elementi all’estero può essere considerata esterovestita se i processi decisionali fondamentali avvengono in Italia.
L’approccio dell’Agenzia delle Entrate e i poteri istruttori
L’Agenzia delle Entrate ha sviluppato negli anni tecniche sofisticate per individuare i casi di esterovestizione. La collaborazione con la Guardia di Finanza consente di effettuare verifiche approfondite che incrociano banche dati nazionali e internazionali, analizzano flussi finanziari, e ricostruiscono la reale operatività delle società.
Controlli sulla società
Gli strumenti istruttori a disposizione dell’Amministrazione finanziaria sono molteplici e particolarmente incisivi. Gli accessi presso le sedi delle società italiane, come avvenuto nel caso torinese, permettono di acquisire documentazione che spesso rivela l’esistenza di collegamenti con società formalmente estere. L’analisi della corrispondenza commerciale, dei contratti, delle email e degli altri documenti operativi fornisce un quadro preciso dell’effettiva gestione dell’attività.
Lo scambio di informazioni internazionale, notevolmente potenziato dopo l’introduzione dello standard Common Reporting Standard dell’OCSE, consente all’Agenzia delle Entrate di ottenere dati dalle autorità fiscali estere. Questo include informazioni sui conti correnti, sugli amministratori, sui bilanci e su ogni altro elemento rilevante delle società costituite all’estero.
Le indagini finanziarie rappresentano uno strumento particolarmente efficace. Attraverso l’analisi dei movimenti bancari, l’Amministrazione può ricostruire dove vengono effettivamente gestite le società, chi dispone dei fondi, come vengono regolati i rapporti con clienti e fornitori. L’utilizzo prevalente di conti italiani per operazioni riferibili a società estere costituisce un fortissimo indizio di esterovestizione.
Controlli sugli amministratori
Anche le verifiche sulla presenza fisica degli amministratori sono diventate sempre più sofisticate. L’incrocio dei dati sui movimenti aerei, sull’utilizzo delle carte di credito, sulle utenze telefoniche e sulla localizzazione degli apparecchi mobili consente di ricostruire dove una persona trascorre effettivamente il proprio tempo. Se un amministratore risulta presente in Italia per la maggior parte dell’anno, nonostante l’iscrizione AIRE, questo elemento assume rilevanza probatoria.
In caso di accertamento per esterovestizione, il contribuente ha diritto di difendersi presentando documentazione ed elementi di prova contrari. Tuttavia, come già accennato, l’onere probatorio è particolarmente gravoso: non basta dimostrare che la società esiste formalmente all’estero, occorre provare che lì si svolge l’effettiva attività amministrativa e operativa.
Consulenza fiscale online
Operare con strutture societarie internazionali richiede una competenza specialistica che va ben oltre la conoscenza delle norme fiscali nazionali. La consulenza di professionisti esperti in fiscalità internazionale e tax planning non è un lusso ma una necessità per evitare contestazioni che potrebbero avere conseguenze economiche devastanti.
La fase più delicata è quella della progettazione iniziale della struttura. Prima di costituire una società all’estero, è essenziale effettuare un’analisi approfondita che consideri non solo gli aspetti fiscali ma anche quelli operativi, legali e di governance. Un professionista esperto può valutare se la struttura proposta ha reali elementi di sostanza o rischia di essere qualificata come esterovestita.
La documentazione rappresenta un aspetto cruciale spesso sottovalutato. È necessario predisporre e conservare tutta la documentazione che dimostri l’effettività della struttura estera: verbali di riunioni tenutesi all’estero, contratti di locazione degli uffici, contratti di lavoro del personale locale, corrispondenza con clienti e fornitori esteri, documentazione bancaria. Questa documentazione deve essere coerente, continuativa e verificabile.
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Fonti
- Articolo 73 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)
- Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74
- Commissione Tributaria Provinciale di Torino, sentenza n. 706/02/2021
- Corte di Cassazione, sentenza n. 16697/2019
- orte di Cassazione, sentenza n. 19000/2021