La successione nelle quote societarie è un fenomeno che si lega alla morte del titolare delle partecipazioni. A fronte di un regime legale di continuazione previsto solo per le società di capitali, in ogni tipo di società è oggi lasciato ampio spazio all’autonomia statutaria. Vediamo i diversi regimi legali previsti per le società di persone e di capitali e lo spazio lasciato all’autonomia statutaria.
Conoscere la disciplina giuridica relativa alla successione delle quote societarie è fondamentale per diverse ragioni, sia per i soci che per la società stessa. Infatti, la disciplina successoria può avere un’impatto significativo sulla continuità dell’attività aziendale. Per questo, sovente, i soci decidono di regolamentare pattiziamente queste disposizioni all’interno dello statuto sociale, al fine di evitare problematiche ed indebolimento della stabilità aziendale. Allo stesso tempo è importante che i soci ed i loro eredi sappiano i propri doveri a cui doversi attenere in caso di successione. Questa certezza giuridica è fondamentale per prevenire dispute che possono avere effetti deleteri sull’impresa, soprattutto nelle imprese familiari.
Sotto il profilo fiscale, inoltre, la successione delle quote societarie può avere implicazioni significative, inclusi potenziali obblighi tributari per gli eredi. Una pianificazione attenta può minimizzare l’onere fiscale e facilitare il passaggio delle quote. Detto questo, di seguito andiamo ad analizzare i principali aspetti giuridici e fiscali che impattano con la successione di quote societarie.
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Cosa si intende con successione di quote societarie?
La disciplina legata alla successione di quote societarie deve essere inquadrata all’interno delle successioni. In particolare, nel disciplinare l’evento della morte del socio, il Codice civile distingue le società di persone da quelle di capitali, per quanto riguarda la trasmissibilità della quota di partecipazione. Infatti, solo per le società di capitali si prevede, come effetto immediato della morte del de cuius, la successione degli eredi nella titolarità della quota. Al tempo stesso, però, il Codice civile consente all’ordinamento statutario di regolare diversamente la morte del socio ogni forma di società.
Gli spazi di autonomia statutaria sono in quest’ambito notevolissimi, tanto che il contratto societario diventa il necessario riferimento, al di là del tipo societario prescelto, per individuare le conseguenze giuridiche dell’evento della morte del socio dal punto di vista sia della società sia dei soci superstiti.
Le norme del codice civile lasciano all’autonomia statutaria la possibilità non solo di prevedere una regolamentazione parzialmente difforme da quella civilistica, per esempio individuando autonomi criteri per la determinazione della quota di liquidazione, ma anche di adottare regimi previsti dal codice per un differente tipo societario.
Successione di quote nelle società di persone
Il legale personale dei soci nelle società di persone si riflette anche sulla disciplina legata alla successione delle quote. Infatti, l’articolo 2284 del codice civile dispone che alla morte del socio sorge l’obbligo per i soci superstiti di liquidare la quota del de cuius, salvo che il contratto societario o accordi successivi tra gli eredi e i soci non prevedano la continuazione tra questi ultimi. Nella disciplina civilistica, dunque, la morte del singolo socio (che non sia socio accomandante di una S.A.S.) provoca automaticamente lo scioglimento del vincolo sociale particolare, ma un accordo successivo od una clausola di continuazione statutaria possono evitare questo effetto.
La ratio di questa disposizione deve essere rinvenuta nel fatto che nelle società di persone la figura del socio è fondamentale. Nel caso in cui venga meno tale figura la legge prevede la condizione legata alla liquidazione della quota del de cuius agli eredi. Tuttavia, è possibile prevedere nello statuto l’inserimento di una clausola di continuazione a favore di uno o più eredi. In altre parole, il decesso di un socio di società di persone determina lo scioglimento del vincolo tra società e socio deceduto. Gli eredi non possono subentrare automaticamente nella posizione del socio deceduto, salvo il fatto che sia presente una apposita clausola di continuazione nel contratto sociale. In assenza di essa gli eredi hanno diritto esclusivamente ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto. In sintesi, le ipotesi che si possono creare al momento della morte del socio sono:
- La liquidazione della quota del de cuius agli eredi (ipotesi operante per legge in assenza di diversa volontà delle parti o previsione del contratto sociale);
- Lo scioglimento della società;
- La continuazione della società con gli eredi del socio defunto (dietro loro espressa accettazione).
Le clausole di continuazione
Le clausole di continuazione producono l’effetto della successione dell’erede nella partecipazione sociale del defunto, così come accade nelle società di capitali per l’operare del regime legale di trasferibilità mortis causa delle partecipazioni. Ai sensi dell’art. 2355-bis c.c.: “lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento [quote] e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento“.
Anche per le società di persone la successione nella partecipazione sociale, non costituisce ostacolo alla caratteristica della “intrasferibilità” delle partecipazioni in società personali. È però necessario distinguere tra le diverse tipologie di clausole di continuazione, in particolare tra quelle facoltative e quelle con obbligo di continuazione.
Clausole di continuazione facoltative
Le clausole di continuazione facoltative attribuiscono agli eredi del socio defunto il diritto potestativo di entrare in società al posto del de cuius. Con tale clausola, i soci si privano di ogni possibilità di scelta al momento della morte di uno di essi, visto che non potranno decidere di liquidare la quota invece di continuare la società con gli eredi e non potranno neppure scegliere con quali tra gli eredi continuare la società. Si tratta di una autolimitazione preventiva della scelta dei soci superstiti. Al contrario gli eredi possono liberamente decidere se diventare soci o meno. Tale clausola è valida in quanto non vincola gli eredi i quali rimangono liberi di decidere se aderire al contratto sociale.
Clausole di continuazione con obbligo
Da queste si differenziano le clausole con obbligo di continuazione per i soci superstiti, con le quali l’acquisto della qualità di socio da parte dell’erede non è effetto del solo esercizio dell’opzione, bensì anche della stipulazione del relativo contratto, cui i soci si obbligano. La clausola produce sempre l’effetto della continuazione ma, ponendo un obbligo in capo ai soci e non prevedendo una successione automatica per effetto della scelta dell’erede, fa sì che i soci superstiti possano rifiutare la stipulazione del contratto. Si tratterà evidentemente della violazione di un obbligo contrattuale, risarcibile secondo le regole della responsabilità contrattuale.
Clausole di entrata
Differenti dalle clausole di continuazione sono le clausole di entrata, che hanno la funzione di fare entrare in società un soggetto determinato, ma non come effetto di una successione nella titolarità della quota di partecipazione. Infatti, con le clausole di entrata viene posto un obbligo in capo ai soci superstiti, tale per cui questi “dopo la liquidazione della quota dell’erede, sono tenuti a far entrare in società un soggetto determinato (che può anche essere l’erede stesso)”.
L’ingresso dell’erede nella società si realizza al di fuori di ogni vicenda successoria, dato che la liquidazione della quota chiude definitivamente il vecchio rapporto sociale ed un nuovo contratto si stipula tra erede e soci superstiti. Le clausole in oggetto, dunque, hanno l’effetto immediato di far nascere il diritto alla liquidazione della quota in capo agli eredi.
Le clausole di consolidazione
Un’altra tipologia di clausola che può essere inserita nel contratto sociale è quella di consolidazione. Con essa i soci possono prevede che l’obbligo di liquidazione della quota ai soci superstiti venga posto a carico dei soci superstiti (e non a carico della società come previsto dalla legge). In questo caso agli eredi spetta sempre il diritto a ricevere la quota di liquidazione che, non arriverà dalla società ma, piuttosto dai soci rimasti.
La liquidazione della quota agli eredi del socio defunto
Un ultimo aspetto che vale la pena affrontare riguarda la liquidazione della quota del socio agli eredi. Questi sono titolari esclusivamente, in via ordinaria, di un diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa. Gli eredi non subentrano nella posizione del socio defunto, di conseguenza non rispondono delle obbligazioni sociali assunte dalla società successivamente alla morte del socio. Di fatto, quindi, la morte del socio comporta l’estinzione del rapporto partecipativo e, se non vi è accordo sull’ingresso degli eredi nella compagine societaria al posto del de cuius, questi ultimi divengono titolari di un diritto di credito di una somma di denaro rappresentativa del valore della quota del socio deceduto, quota che per legge deve essere loro liquidata e deve essere comprensiva del valore di avviamento.
Sul punto l’art. 2289 c.c. prevede che: “Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota. La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. Se vi sono operazioni in corso il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime. Salvo quanto è disposto nell’articolo 2270, il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto”.
La successione di quote nelle società di capitali
L’autonomia statutaria in materia di trasferibilità della quota di società per azioni, società in accomandita semplice, società a responsabilità limitata, determina la libera trasferibilità delle quote agli eredi, per legge o per testamento..
Il comma 1 dell’articolo 2355-bis del codice civile prevede che lo statuto di società per azioni possa “sottoporre a particolari condizioni” il “trasferimento” delle azioni nominative ed anche “vietarne il trasferimento” ma solo “per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto”. Di fatto, quindi, nelle società di capitali le partecipazioni sociali sono liberamente trasmissibili (sia come trasferimento inter vivos che mortis causa). La libera trasmissibilità delle quote determina il fatto che le stesse si trasmettono automaticamente agli eredi, per legge o per testamento. A determinare questa condizione è il citato art. 2355, co. 1 c.c. per le SPA e l’art. 2469, co. 1 c.c. per le SRL.
Le clausole applicabili per la limitazione della libera circolazione delle quote mortis causa
Nelle società di capitali è possibile prevedere delle deroghe statutarie alla libera circolazione mortis causa delle partecipazioni sociali. L’inserimento di queste clausole è legata al fatto che i soci stessi possono avere interesse ad evitare che nella società possano, in futuro, subentrare gli eredi del socio defunto. In questo caso, è necessario inserire nello statuto apposite deroghe. Naturalmente, tali deroghe devono essere accompagnate dalla previsione legata all’ottenimento, per gli eredi, del valore monetario delle partecipazioni sociali. Pertanto, sono pienamente ammissibili:
- Sia clausole che prevedano la liquidazione della quota all’erede in luogo della trasferibilità delle azioni;
- Sia clausole che limitino tale trasferibilità, come le clausole di gradimento, le clausole di prelazione e le clausole di trasmissibilità a favore di soggetti predeterminati o determinabili.
In tutte queste ipotesi si determina la liquidazione della quota in favore o degli eredi che non succedono nella titolarità per effetto di una clausola di non trasferibilità mortis causa oppure di coloro che non rispettano i requisiti posti da altre clausole limitative o per l’operare del meccanismo della prelazione o del gradimento.
INTRASFERIBILITA’ | Non permette agli eredi di entrare a far parte della compagine societaria di cui faceva parte il defunto. Nelle SPA tali clausole non possono avere una durata superiore a 5 anni. Precludono l’acquisto mortis causa delle azioni solo se il decesso si verifica in pendenza del termine d’intrasferibilità. Nelle SRL non è previsto un termine di durata, fatto salvo il diritto di recesso. |
GRADIMENTO | Subordina il trasferimento agli eredi di partecipazioni sociali al gradimento degli organi sociali, di uno o più soci o di terzi non soci. Solitamente vengono inserite clausole di mero gradimento, dove il trasferimento mortis causa delle azioni o quote è subordinato al consenso del titolare delle stesse. |
PRELAZIONE | Con questa clausola qualora gli eredi intendano cedere le azioni dovranno preferire i soci superstiti come acquirenti delle partecipazioni sociali. |
Diritto di recesso
L’articolo 2469 del codice civile dispone che qualora l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle quote, o “ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali di soci o di terzi senza prevederne condizioni o limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 2473″.
Liquidazione della quota del socio defunto nelle SRL
Nelle SRL il regime naturale è il subentro dell’erede nella compagine societaria. Tuttavia, nel caso in cui lo statuto della società impedisca il trasferimento della quota per causa di morte, oppure prevede modalità di rimborso della stessa, gli eredi hanno il diritto di ottenere la liquidazione della quota del socio defunto in proporzione alla quota di valore del patrimonio sociale posseduta dal de cuius. Si tratta di un diritto di credito che rientra nella comunione ereditaria.
L’art. 2289 c.c. disciplina le modalità di liquidazione della quota, la quale deve essere determinata attraverso una situazione patrimoniale della società del giorno in cui si è verificato lo scioglimento. Situazione che deve tenere conto dell’effettiva consistenza economica della società (una vera e propria valutazione). Fatte salve le disposizioni dell’art. 2270 c.c. il pagamento della quota del socio deve essere effettuato nell’arco dei sei mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto.
Gli amministratori hanno l’obbligo di redigere il rendiconto della società al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, nel rispetto dei criteri di redazione del bilancio ed ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota.
Profili fiscali della successione di quote societarie
Come si è visto, nelle società di persone, l’articolo 2284 del codice civile dispone che alla morte del socio sorge l’obbligo per i soci superstiti di liquidare la quota del de cuius, salvo che il contratto societario o accordi successivi tra gli eredi e i soci non prevedano la continuazione tra questi ultimi. Le clausole di continuazione producono dunque l’effetto della successione dell’erede nella partecipazione sociale del defunto, così come accade nelle società di capitali per l’operare del regime legale di trasferibilità mortis causa delle partecipazioni.
Nelle società di persone (per l’operare di clausole di continuazione) e nelle società di capitali (per l’operare del regime legale), la vicenda giuridica è dunque quella di un trasferimento mortis causa della partecipazione e come tale essa deve essere apprezzata dal punto di vista fiscale.
Imposte sui redditi
Nelle imposte sui redditi, la vicenda della successione nella quota presenta profili differenti a seconda che:
- Il de cuius avesse o meno la qualifica di imprenditore ai fini fiscali;
- Le quote di partecipazione detenute fossero qualificabili come beni dell’impresa esercitata.
Nell’ipotesi di de cuius non imprenditore, la neutralità della successione nelle quote societarie si può affermare sulla base della non applicabilità dell’art. 67, comma 1 – ex art. 81, comma 1 – lett. c) e c-bis) del TUIR – che prevede la tassazione delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di azioni e quote di partecipazione.
Attività imprenditoriale e non imprenditoriale
L’imposizione sui redditi di persone fisiche derivanti dal trasferimento di quote societarie, non nell’esercizio di un’attività imprenditoriale, ha infatti come presupposto un atto oneroso e compiuto tra vivi. In mancanza, il trasferimento delle partecipazioni non ha valenza reddituale. Ove invece il de cuius fosse imprenditore e le quote detenute nell’esercizio dell’impresa, la successione delle quote si realizzerebbe nell’ambito di un trasferimento mortis causa dell’azienda, con conseguente neutralità ai sensi dell’art. 58 del TUIR.
Disporre della successione delle quote può significare decidere del futuro governo dell’impresa collettiva e normalmente la fiducia dell’imprenditore de cuius cadrà solo su alcuni soggetti, in modo tale che la successione nella partecipazione societaria si distacchi dal complessivo fenomeno ereditario.
Sebbene potrebbe affermarsi la natura realizzativa del trasferimento mortis causa della partecipazione d’impresa, in quanto assimilabile alla “destinazione a finalità estranee“, è però da sottolineare che in termini operativi la prassi dell’Agenzia delle Entrate è di senso opposto, ossia di non ritenere l’evento morte un presupposto idoneo ad integrare una fattispecie imponibile, nelle imposte sui redditi come nell’Iva con la conseguenza che gli eredi non saranno chiamati a rispondere di un maggior reddito di impresa collegato alla successione.
La successione mortis causa della partecipazione rientra infine nel perimetro applicativo dell’articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs. n. 346/1990 e quindi del regime di esenzione ai fini dell’imposta sulle successioni, oltre che delle imposte ipo-catastali.
Conclusioni
La successione delle quote societarie in caso di morte di un socio è una questione critica che ogni società dovrebbe anticipare e pianificare accuratamente. Le implicazioni fiscali, giuridiche e operative possono essere significative sia per la società che per gli eredi. L’implementazione di clausole statutarie ben ponderate può fornire un quadro giuridico chiaro e stabile che facilita la transizione e minimizza i conflitti potenziali. La consultazione con professionisti legali e fiscali è fortemente consigliata per navigare in questa area complessa del diritto societario.
Domande frequenti
Se non specificato diversamente nello statuto della società o in un patto parasociale, le quote vengono ereditate dagli eredi legali. Tuttavia, molti statuti includono clausole che limitano o regolano la trasferibilità delle quote in caso di morte.
È un diritto che permette ai soci rimanenti o alla società stessa di acquistare le quote di un socio defunto prima che queste possano essere offerte a terzi o trasferite agli eredi.
No, a meno che non sia specificato diversamente nello statuto o in un patto parasociale. In generale, gli eredi hanno la possibilità di vendere le quote ai soci esistenti o a terzi, a meno che non vi siano restrizioni sta
Il valore delle quote può essere determinato in vari modi, spesso definiti dallo statuto della società o da un accordo separato. Alcune società utilizzano valutatori esterni, mentre altre possono avere formule predeterminate.
Se il diritto di prelazione non viene esercitato entro un determinato periodo, gli eredi possono generalmente diventare soci o vendere le quote a terzi, a meno che non vi siano altre restrizioni previste.
Sì, è fortemente consigliato. La pianificazione della successione è un’area complessa del diritto che può avere importanti implicazioni fiscali e operative.
Gli appunti pubblicati mi sembrano abbastanza chiari e puntuali