Riscossione crediti tributari esteri: diritti e tutele

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Come difendersi quando il Fisco straniero riscuote debiti in Italia attraverso l’Agenzia Entrate-Riscossione. Principi dell’ordinanza della Cassazione n. 14768/2025.

L’Agente della riscossione ti notifica la presa in carico di un debito fiscale sorto in Francia. Tu quel debito non lo conoscevi: nessuno ti aveva mai comunicato nulla. Puoi contestare? E se sì, cosa puoi contestare esattamente? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14768 del 2 giugno 2025, ha fatto chiarezza sui limiti dell’impugnazione degli atti di riscossione di crediti tributari esteri.

La sentenza riconosce espressamente che l’avviso di presa in carico può essere impugnato in determinate circostanze, correggendo l’impostazione del giudice di merito che aveva negato in assoluto questa possibilità. Ma allo stesso tempo traccia con precisione i confini della tutela: puoi contestare il fatto di non aver conosciuto il debito, ma non puoi mettere in discussione la correttezza della procedura seguita nello Stato estero.

In questo articolo analizziamo nel dettaglio i tre principi fondamentali enunciati dalla Suprema Corte: quando l’avviso di presa in carico è impugnabile, quali vizi puoi e non puoi far valere, e cosa succede se il titolo esecutivo estero non ti è mai stato notificato regolarmente. Scoprirai anche le criticità che la stessa Cassazione evidenzia rispetto all’approccio troppo formalistico dei giudici di appello e le implicazioni pratiche per chi si trova in questa situazione.

Il caso deciso dalla Cassazione: cosa era successo

La vicenda nasce dal ricorso di un contribuente contro la comunicazione di presa in carico con cui l’Agente della riscossione lo informava di dover recuperare un credito tributario vantato da un’amministrazione fiscale estera. Il contribuente contestava sia la regolarità della notifica del titolo esecutivo estero, sia la correttezza della procedura seguita nello Stato richiedente.

In primo grado il ricorso viene rigettato. La motivazione della Commissione Tributaria Provinciale è netta: l’avviso di presa in carico non è un atto autonomamente impugnabile. Non rientra nell’elenco degli atti contestabili previsto dalla legge processuale tributaria e ha natura meramente informativa. Il contribuente non può quindi utilizzarlo come “porta d’ingresso” per contestare la pretesa fiscale estera.

Il contribuente fa appello, ma anche la Commissione Tributaria Regionale conferma la decisione, sia pure con una motivazione leggermente diversa. Secondo i giudici di secondo grado, l’avviso di presa in carico può forse essere impugnato in astratto, ma nel caso specifico il contribuente aveva comunque conosciuto il titolo esecutivo estero perché questo era stato allegato alla comunicazione. Quindi non c’era alcuna lesione dei suoi diritti.

Il contribuente si rivolge allora alla Cassazione, lamentando che l’approccio dei giudici di merito gli aveva precluso ogni possibilità di far valere l’illegittimità della procedura di riscossione transnazionale. La Suprema Corte gli dà ragione sulla correttezza del principio giuridico, ma conferma comunque la decisione finale per altre ragioni che analizzeremo.

Primo principio: l’avviso di presa in carico è impugnabile

La Cassazione inizia con un’affermazione che corregge esplicitamente l’impostazione dei giudici di merito: l’avviso di presa in carico può essere impugnato, anche se non rientra nell’elenco tassativo degli atti contestabili previsto dalla normativa processuale tributaria.

Per capire questo principio, la Corte compie un’analisi approfondita della natura dell’atto di presa in carico. Si tratta della comunicazione con cui l’Agente della riscossione informa il contribuente di aver ricevuto dall’amministrazione estera un carico da riscuotere. L’analisi vale sia per i crediti transnazionali (oggetto del caso), sia per la presa in carico dell’accertamento impo-esattivo domestico (quando l’Agenzia delle Entrate affida direttamente il ruolo all’Agente della riscossione).

In entrambe le situazioni esiste a monte un titolo esecutivo che esprime una pretesa tributaria. La comunicazione di presa in carico certifica che l’autorità procedente è legittimata a condurre le procedure di riscossione coattiva del credito portato da quel titolo. Non aggiunge nulla alla pretesa, non contiene una nuova intimazione di pagamento, ma semplicemente attesta il passaggio di competenze.

Presa in carico come primo strumento per apprendere il titolo esecutivo estero

Per questo motivo, in linea di principio un atto di carattere organizzativo e informativo come questo non dovrebbe essere impugnabile. Ma c’è un’eccezione fondamentale: quando la comunicazione di presa in carico è il primo mezzo attraverso cui il contribuente apprende dell’esistenza del titolo esecutivo mai conosciuto in precedenza.

La Suprema Corte è chiarissima: non ha senso negare l’impugnazione di atti che, pur non essendo provvedimentali, costituiscono “il primo atto notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile dalla parte contribuente, successivo ad un atto impugnabile, ma non formalmente comunicato“. In questo caso l’impugnazione dell’atto successivo non lesivo è funzionale ad attrarre alla cognizione anche l’atto lesivo non conosciuto.

È la logica dell’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo n. 546/1992, che non era stata considerata dalla sentenza d’appello. Quando un atto presupposto impugnabile non ti è mai stato notificato, puoi far valere i suoi vizi attraverso l’impugnazione dell’atto successivo che te lo porta a conoscenza. Non si tratta di impugnare l’avviso di presa in carico in sé, ma di utilizzarlo come veicolo per contestare il titolo esecutivo sottostante che non hai mai ricevuto.

Secondo principio: non puoi contestare i vizi del procedimento estero

Qui arriva il secondo principio, quello che delimita con precisione cosa puoi e cosa non puoi contestare quando impugni l’avviso di presa in carico relativo a crediti esteri. La regola è netta: se i tuoi motivi di impugnazione riguardano il pregresso procedimento di formazione e notifica dell’atto che costituisce titolo esecutivo nello Stato estero, essi non sono ammissibili davanti alla giurisdizione italiana.

Facciamo un esempio concreto. Supponiamo che il Fisco francese abbia emesso nei tuoi confronti un avviso di accertamento per redditi non dichiarati. Tu ritieni che il calcolo sia sbagliato, che le prove siano insufficienti, che l’interpretazione della norma tributaria francese sia errata. Quando ricevi in Italia l’avviso di presa in carico, vorresti contestare tutti questi aspetti. La Cassazione dice chiaramente: non puoi.

Non si possono sindacare procedure estere

Il giudice italiano non può sindacare la regolarità della procedura seguita nello Stato richiedente. Questo perché ogni Stato mantiene la propria sovranità in materia tributaria. L’Italia, come Stato adito (cioè quello a cui viene chiesta l’assistenza), deve limitarsi a verificare che siano rispettati i requisiti formali minimi per la cooperazione, ma non può sostituirsi al giudice dello Stato richiedente nel valutare la fondatezza sostanziale della pretesa.

Nel caso deciso dalla Cassazione, il contribuente aveva sollevato contestazioni che riguardavano proprio la correttezza del procedimento seguito all’estero. Per questo motivo, anche se la Suprema Corte riconosce che in astratto l’avviso di presa in carico poteva essere impugnato, conferma comunque il rigetto del ricorso: le doglianze sollevate non erano ammissibili perché investivano la legittimità della procedura estera, su cui il giudice italiano non ha giurisdizione.

Questa delimitazione serve a mantenere un equilibrio delicato. Da un lato l’Italia collabora con gli altri Stati per il recupero dei crediti tributari, dall’altro evita di diventare una sorta di “giudice di appello” delle decisioni fiscali straniere. Se potessi contestare in Italia il merito dell’accertamento francese, tedesco o spagnolo, la cooperazione fiscale internazionale diventerebbe impossibile.

Terzo principio: la conoscenza del titolo esecutivo

Il terzo punto affrontato dalla Cassazione è forse il più controverso e ha generato perplessità tra gli operatori del settore. La questione è: cosa succede se il titolo esecutivo estero non ti è mai stato notificato regolarmente nello Stato richiedente?

Per la Suprema Corte, la soluzione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale era troppo semplicistica. I giudici di appello avevano ritenuto sufficiente il fatto che alla comunicazione di presa in carico fosse stato allegato il titolo esecutivo estero, concludendo che in questo modo il contribuente aveva finalmente conosciuto la pretesa e non poteva lamentarsi.

La Cassazione conferma questa soluzione nel caso specifico, ma l’affermazione è “nella sua rigidità non condivisibile” se considerata come principio generale. Perché? Perché una condizione per accettare la richiesta di collaborazione è che nello Stato estero richiedente sia stata assicurata la tutela dei diritti difensivi del destinatario.

Posizione della Corte di Giustizia UE

La Corte richiama espressamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in particolare la sentenza del 26 aprile 2018 (causa C-34/17). Secondo il giudice europeo, il diritto di presentare ricorso a tutela effettiva delle proprie ragioni, garantito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, impone che la richiesta di assistenza debba essere rifiutata quando nella fattispecie concreta viene a mancare il diritto di conoscere gli atti accertativi e di poterli impugnare conoscendone le motivazioni.

Questo è un diritto fondamentale comune al patrimonio giuridico di tutti gli Stati europei. Non può essere compresso o eluso attraverso il meccanismo della riscossione transnazionale. Se lo Stato richiedente non ti ha garantito un contraddittorio effettivo, se non ti ha notificato gli atti secondo le forme dovute, se ti ha impedito di fatto l’accesso alla giustizia, l’Italia deve rifiutare la richiesta di assistenza.

La Cassazione evidenzia quindi una contraddizione nell’approccio dei giudici di merito. Da un lato riconoscono (correttamente) che il giudice italiano non può sindacare la correttezza sostanziale della procedura estera. Dall’altro si “disinteressano” della questione se il titolo esecutivo estero sia stato regolarmente portato a conoscenza del destinatario, permettendogli di difendersi. Questa seconda questione invece è rilevante e va verificata, perché attiene ai diritti fondamentali.

La sentenza lascia quindi aperto un importante spazio di tutela: se dimostri che nello Stato richiedente non hai mai avuto conoscenza legale degli atti e non hai potuto esercitare il tuo diritto di difesa, puoi far valere questa violazione davanti al giudice italiano. Non stai contestando il merito della pretesa, ma l’assenza dei presupposti minimi per la cooperazione.

Le implicazioni pratiche sulla riscossione dei crediti esteri

Alla luce dei principi enunciati dalla Cassazione n. 14768/2025, quali sono le strategie difensive concrete quando ricevi un avviso di presa in carico relativo a crediti tributari esteri?

Hai mai ricevuto notifica dell’atto impositivo estero?

Non basta che tu non ricordi o che tu non abbia conservato la documentazione. Devi ricostruire con precisione la cronologia degli eventi, i tuoi spostamenti, i tuoi indirizzi nei periodi rilevanti. Se emerge che lo Stato estero ha proceduto con notifiche irregolari (per esempio all’albo pretorio pur conoscendo il tuo indirizzo effettivo), oppure ha utilizzato modalità non conformi alle convenzioni internazionali, hai un forte argomento per contestare l’intera procedura.

Hai avuto la possibilità effettiva di difenderti nello Stato estero?

Non conta solo la notifica formale dell’atto. Conta che tu abbia avuto un tempo congruo per contestare la pretesa, che ti siano state comunicate le motivazioni in modo comprensibile, che tu abbia potuto accedere a rimedi giurisdizionali. Se lo Stato richiedente ha violato queste garanzie minime, l’Italia non dovrebbe dare esecuzione alla richiesta di assistenza.

Il titolo esecutivo uniforme allegato alla presa in carico contiene tutte le informazioni prescritte?

La normativa europea prevede che questo documento indichi con precisione la natura del credito, l’importo, gli interessi, il riferimento agli atti amministrativi o giudiziali che lo hanno generato. Se mancano elementi essenziali o ci sono contraddizioni evidenti, anche questo può essere motivo di contestazione.

Come articolare l’impugnazione?

Quando decidi di contestare l’avviso di presa in carico, devi essere chirurgico nell’individuazione dei motivi. Alla luce della sentenza in commento, devi concentrarti su:

  • Vizi della notifica del titolo esecutivo estero (se dimostri che non l’hai mai ricevuto regolarmente nello Stato richiedente);
  • Violazione dei diritti fondamentali di difesa (se provi che non hai potuto contestare la pretesa nelle sedi appropriate);
  • Irregolarità formali della procedura di assistenza (per esempio, mancata allegazione del titolo uniforme o incompletezza dello stesso);
  • Mancanza dei presupposti per la riscossione (per esempio, credito già prescritto secondo la legge dello Stato richiedente).

Evita invece di contestare aspetti che riguardano il merito dell’accertamento estero: il calcolo dell’imposta, la valutazione delle prove, l’interpretazione delle norme tributarie straniere. Su questi punti il giudice italiano si dichiarerà incompetente e il tuo ricorso verrà rigettato, come è successo nel caso della Cassazione n. 14768/2025.

Un aspetto delicato riguarda chi deve dimostrare cosa. Se affermi di non aver mai ricevuto notifica dell’atto estero, devi fornire elementi concreti che supportino questa tesi: documentazione sui tuoi spostamenti, comunicazioni con l’amministrazione estera, iscrizione AIRE, eccetera. Non basta la semplice negazione. Dall’altro lato, l’amministrazione finanziaria (attraverso l’Agente della riscossione) dovrebbe dimostrare che nello Stato richiedente sono state rispettate le garanzie minime, ma spesso questa verifica è superficiale.

Consulenza online accertamento e contenzioso

La riscossione dei crediti tributari esteri è richiede competenze che spaziano dalla conoscenza della normativa europea alle convenzioni internazionali, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE a quella della Cassazione, dalle procedure amministrative di assistenza reciproca alle strategie processuali davanti ai giudici tributari.

L’ordinanza 14768/2025 ti offre strumenti di tutela concreti, ma devi saperli utilizzare con precisione. Un errore nella qualificazione dei motivi di ricorso, un ritardo nell’impugnazione, una documentazione incompleta sulla mancata notifica dell’atto estero possono pregiudicare irreparabilmente la tua difesa.

Se hai ricevuto un avviso di presa in carico relativo a crediti tributari esteri, ogni giorno è prezioso. La situazione va analizzata immediatamente da un professionista che conosca la materia in profondità, che sappia verificare la documentazione estera, che possa valutare la strategia più efficace nel tuo caso specifico: impugnazione immediata, richiesta di sospensione, azione parallela nello Stato richiedente, o una combinazione di questi strumenti. Contattaci per una consulenza specialistica: analizzeremo insieme la documentazione, verificheremo la regolarità del procedimento seguito sia all’estero sia in Italia, e individueremo la strategia più adatta per tutelare i tuoi diritti alla luce dei principi enunciati dalla Cassazione.

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Federico Migliorini
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Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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