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La rinuncia all’eredità tra aspetti civilistici e fiscali

Tutela del patrimonioLa rinuncia all'eredità tra aspetti civilistici e fiscali

La rinuncia all'eredità è una dichiarazione di non voler accettare il patrimonio lasciato dal defunto (con testamento o senza). La rinuncia deve essere frutto di una scelta libera da condizioni e da termini, gratuita e a favore di tutti gli altri chiamati all'eredità.

In ambito di successione spesso ci si trova di fronte alla possibilità di valutare se accettare o rifiutare (tramite rinuncia) all’eredità. La qualità di erede si acquista, di regola, volontariamente mediante l’accettazione, i cui effetti retroagiscono, in virtù di una finzione giuridica, al momento nel quale si è aperta la successione (momento della morte).

Il chiamato all’eredità ha a disposizione 10 anni, dal momento dell’apertura della successione (ovvero, in presenza di condizione, dal momento del suo avveramento), per procedere all’accettazione dell’eredità. Oltre tale termine, il suo diritto di accettare si prescrive (art. 480 c.c.).

L’erede, ad esempio, può voler rinunciare all’eredità, ad esempio perché i debiti del defunto sono superiori ai suoi crediti. In questo modo è possibile far cessare gli effetti verificatisi nei suoi confronti a seguito dell’apertura della successione. Per questo motivo gli eventuali creditori del defunto non potranno rivalersi su di lui per il pagamento dei debiti ereditari.

Come si rinuncia all’eredità?

La rinuncia all’eredità deve essere effettuata attraverso una dichiarazione:

  1. Ricevuta da un notaio, oppure
  2. Ricevuta dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (Cancelleria della Volontaria Giurisdizione).

La dichiarazione deve essere inserita nel Registro delle successioni conservato nello stesso Tribunale.

La rinuncia espressa all’eredità

Sostanzialmente, prima che sia scaduto il termine per accettare, l’erede può anche rinunziare espressamente all’eredità. Secondo quanto previsto dall’art. 519 c.c., la rinuncia (allo stesso modo dell’accettazione beneficiata) deve essere realizzata con atto ricevuto da notaio o dal cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. Essa deve essere inserita nel registro delle successioni.

Se l’erede è a qualsiasi titolo nel possesso dei beni ereditari, la rinuncia, a norma dell’art. 485 c.c., deve essere espressa entro tre mesi dall’apertura della successione (che è anche il termine entro il quale deve terminare l’inventario – salva proroga – in caso intenda accettare con beneficio di inventario ex art. 484 c.c. ). Inoltre, non può rinunciare l’erede che abbia sottratto o nascosto beni ereditari (art. 527 c.c. ). La rinuncia non può essere assoggettata a termini o condizioni e non può essere parziale (art. 520 c.c. ). Inoltre, l’operazione fatta verso corrispettivo o a favore di soltanto alcuni dei chiamati implica l’accettazione dell’eredità.

Il rifiuto all’eredità ha effetto retroattivo, nel senso che il rinunciante “è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato“. Con questa operazione, l’erede non perde definitivamente il diritto di accettare, nel termine di 10 anni, l’eredità. Egli potrà effettivamente esercitarlo, però, solo ove altri eredi, accettando, non abbiano già preso il suo posto. Ove il rifiuto all’eredità pregiudichi i diritti dei creditori del rinunciante, questi possono impugnarla (art. 524 c.c. ), ma con il limitato effetto di potersi soddisfare sui beni ereditari fino alla concorrenza del proprio credito, mentre il rinunciante non acquista la qualità di erede. In caso di mancato rispetto di queste condizioni, la dichiarazione è nulla (ossia non produce nessun effetto).

La rinuncia irregolare all’eredità

La rinuncia all’eredità non iscritta nel registro delle successioni, sebbene non possa estrinsecare nei confronti dei terzi gli effetti civilistici propri dell’a rinuncia all’eredità’operazione, non può neppure valere come accettazione. Pertanto, nel caso in cui un erede abbia posto in essere una rinuncia irregolare (in quanto non ne ha eseguito l’iscrizione nel registro delle successioni) ai fini tributari la sua posizione è assimilabile a quella degli eredi che, pur chiamati all’eredità, non abbiano ancora accettato. Sul punto vedasi la Corte di Cassazione con la sentenza 11.2.2005 n. 2820.

Gli effetti dell’operazione

Che cosa accade all’eredità se il soggetto chiamato fa la dichiarazione di rinuncia? A chi spettano i beni?

Dobbiamo distinguere due casistiche:

Nelle successioni legittime

In caso di successione legittima (ovvero che segue le indicazioni della legge e non quelle del testamento), a seguito della rinuncia di un erede può realizzarsi la rappresentazione (di cui all’art. 467 e ss. c.c. ). A norma  dell’art. 467 c.c., infatti, al soggetto che non può o non vuole succedere (ad esempio perché rifiuta all’eredità) “subentrano” i suoi discendenti (rappresentanti). La rappresentazione può aver luogo solo ove il chiamato originario, che ha rinunciato all’eredità, sia:

  • Un figlio del defunto;
  • Un fratello o una sorella del defunto.

Come previsto dall’art. 469 c.c., la successione per rappresentazione avviene per stirpi. Ciò significa che i discendenti del soggetto (figlio o fratello del de cuius) che non può o non vuole succedere subentrano tutti in luogo dell’ascendente, indipendentemente dal loro numero. Se il soggetto che non può o non vuole succedere ha 2 figli, questi si divideranno la quota di eredità che spettava al proprio padre.

I “rappresentanti” succedono direttamente al de cuius, sicché essi hanno diritto a partecipare alla successione di quest’ultimo anche ove abbiano rinunciato all’eredità del loro ascendente, ovvero siano indegni o incapaci di succedere nei suoi confronti. Se non si configurano le condizioni per la rappresentazione, la parte di colui che rifiuta va a favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunciante (si tratta del c.d. accrescimento, di cui all’art. 522 c.c. ). Se il rinunciante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse.

Nelle successioni testamentarie

Nel caso in cui, invece, la successione avvenga per testamento può verificarsi l’ulteriore ipotesi che il testatore abbia previsto la “sostituzione“, ovvero abbia previsto che, in caso di rifiuto di Caio, gli si sostituisca Sempronio. Se il testatore non ha previsto la sostituzione, torna ad operare la rappresentazione, ove ne sussistano le condizioni. Ove non vi siano le condizioni per la rappresentazione, si dà luogo all’accrescimento a norma dell’art. 522 c.c. Ove neppure l’accrescimento sia possibile, si dà luogo alla successione ex lege.

Chi subentra all’eredità in caso di rinuncia?

Il Codice civile indica sinteticamente quali sono le categorie degli eredi. Nella successione legittima l’eredità si devolve:

  • Al coniuge e ai discendenti (figli e nipoti); 
  • Agli ascendenti (genitori e nonni);
  • Ai collaterali;
  • Agli altri parenti sino al sesto grado; 
  • Allo Stato.

Deve essere sottolineato che all’interno di ciascuna di tali classi poi (es. i figli) l’eredità si ripartisce per quote uguali tra i vari coeredi. Questo significa, ad esempio che i figli prevalgono sui fratelli e sui genitori del defunto. Sostanzialmente, la presenza dei figli esenta il diritto degli altri a succedere. Se una persona, senza fare testamento, lascia un figlio, il coniuge e un fratello, l’eredità deve essere suddivisa in quote uguali tra i primi.

Esempi

Vediamo adesso alcuni esempi concreti legati a questo tipo di operazioni.

Esempio 1: Un soggetto muore senza testamento, lasciando due figli: Luca e Luigi. Se Luca rinuncia all’eredità del padre, la sua quota del 50% si va ad aggiungere alla quota di Luigi, che avrà il 100% dell’eredità. Se Luca avesse un figlio la sua quota passerebbe al figlio e non al fratello.

Esempio 2: Un soggetto muore, senza testamento, lasciando il figlio come erede. Quest’ultimo, decide di rinunciare all’eredità del padre. In questo caso l’eredità passa al nipote del de cuius.

Esempio 3: Un soggetto muore con testamento, lasciando i propri beni all’erede (figlio). Nel testamento non è stabilito niente per quanto riguarda la rinuncia all’eredità. In caso di rifiuto da parte dell’erede, i beni passeranno agli eredi diretti del figlio del de cuius.

È possibile impugnare la rinuncia all’eredità?

In linea generale la rinuncia all’eredità può essere impugnata sia: 

  • Da parte dei creditori (art. 524 cod. civ.), sia 
  • Da parte dello stesso soggetto che ha rinunciato (art. 526 cod. civ.).

In caso di impugnazione da parte dei creditori del soggetto che ha rinunciato questi possono farsi autorizzare dal Tribunale ad accettare l’eredità in nome e luogo del loro debitore. Questo al fine di potersi soddisfare sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. Questo diritto dei creditori si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data della dichiarazione di rifiuto. L’impugnazione da parte del soggetto che ha rifiutato avviene solitamente quando la stessa è l’effetto di:

  • Violenza (ad es.: perché estorta con minaccia di un male ingiusto) o
  • Dolo (ossia di inganno), a prescindere da chi sia il colpevole.

Questa impugnazione può essere fatta entro cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il raggiro.  

Aspetti fiscali

La rinuncia all’eredità, se validamente operata ai sensi dell’art. 519 c.c., non comporta effetti traslativi, atteso che l’erede rinunciante, con essa, impedisce proprio che si realizzi il trasferimento dei beni e diritti ereditari nel proprio patrimonio.

Il rifiuto all’eredità, pur essendo soggetta a registrazione (in quanto atto che deve essere accettato da notaio o dal cancelliere del tribunale), sconta l’imposta di registro in misura fissa (200,00 euro) in quanto si tratta di un atto privo di contenuto patrimoniale (a norma dell’art. 11 della Tariffa, parte I, allegata al DPR n. 131/86). È soggetto ad una sola imposta di registro fissa (200,00 euro) l’atto che contenga più rinunce all’eredità (Circolare n. 44/E/2011 Agenzia Entrate).

Rinuncia traslativa all’eredità

Ove la rinuncia sia operata dopo l’accettazione dell’eredità (anche tacita), ha effetti traslativi, in quanto realizzata con l’effetto di trasferire l’eredità già ricevuta dall’erede, a soggetti terzi (R.M. 15.7.95 n. 203). Secondo la Circolare n. 44/E/2011 deve essere assoggettata ad imposizione proporzionale, come un atto traslativo, il rifiuto che abbia anche una sola delle seguenti caratteristiche:

  • Venga preceduta da accettazione dell’eredità espressa o tacita;
  • Venga effettuata sotto forma di donazione, vendita o cessione dei diritti di successione;
  • Avvenga con corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati.

Aspetti legati all’abuso del diritto

La rinuncia all’eredità, ove operata al solo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale, configura un abuso del diritto e non può essere opposta all’Amministrazione finanziaria. Questo anche ove non contrasti apertamente con alcuna disposizione né civilistica, né fiscale presente nell’ordinamento italiano (Risoluzione n. 234/E/2009). Questo, in relazione alla definizione di abuso del diritto presente nell’art. 10-bis della Legge n. 212/2000.

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Elisa Migliorini
Elisa Migliorinihttps://www.linkedin.com/in/elisa-migliorini-0024a4171/
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Firenze. Approfondisce i temi legati all'IVA ed alla normativa fiscale domestica oltre ad approfondire aspetti legati al diritto societario.
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