Principio di inerenza 2026: guida alla deducibilità dei costi d’impresa

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Il principio di inerenza è quel criterio fondamentale che condiziona la deducibilità dei componenti negativi di reddito, richiedendo una correlazione diretta tra il costo sostenuto e l’attività d’impresa esercitata, indipendentemente dalla produzione immediata di ricavi. 

Il principio di inerenza è il criterio fondamentale che stabilisce se un costo aziendale è deducibile dal reddito d’impresa. Senza questo principio, anche una spesa documentata e reale non riduce la base imponibile. Questo principio non valuta solo l’esistenza della spesa, ma il suo collegamento effettivo con l’attività produttiva svolta dall’impresa.

La comprensione corretta di questo criterio è essenziale per evitare contestazioni fiscali e per pianificare correttamente le operazioni aziendali, garantendo la piena deducibilità dei componenti negativi di reddito. Insomma, si tratta di una componente fondamentale del tax planning di ogni impresa.

Cos’è il principio di inerenza: definizione e natura giuridica

Il principio riguarda il rapporto tra costo ed attività di impresa. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (tra le molte, Cass. 11.8.2017 n. 20049 e Cass. 21.1.2009 n. 1465), si intende una relazione tra la spesa sostenuta e l’impresa, che implica un collegamento concettuale tra queste due circostanze.

Cos’è l’inerenza fiscale: è il nesso di correlazione che deve esistere tra un costo sostenuto dall’impresa e la sua attività produttiva. Un costo è inerente quando si correla a un’attività potenzialmente idonea a produrre utili per l’impresa, anche se tale risultato non si realizza concretamente. Disciplinata dall’art. 109 co. 5 del TUIR.

In seguito alla riforma tributaria attuata con il DPR 597/73, il concetto non è più legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa. Come chiarito dalla prassi ministeriale (nota ministeriale 25.10.1980 n. 9/2113, C.M. 7.7.1983 n. 30/9/944, R.M. 12.2.1985 n. 1603, R.M. 28.10.1998 n. 158/E e risoluzione Agenzia delle Entrate 16.5.2008 n. 196), sono deducibili tutti i costi relativi all’attività dell’impresa e riferentisi ad attività ed operazioni che concorrono a formare il reddito d’impresa.

Il dibattito sul fondamento normativo

Esiste un dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul fondamento normativo di questo principio. Secondo un orientamento diffuso, il principio troverebbe il proprio fondamento nell’art. 109 co. 5 del TUIR, che stabilisce:

“le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”

Tuttavia, secondo un’impostazione alternativa sostenuta da parte della giurisprudenza (Cass. 31.10.2018 n. 27786, Cass. 9.2.2018 n. 3170 e Cass. 11.1.2018 n. 450) e della dottrina, l’art. 109 co. 5 del TUIR disciplinerebbe solo le regole di deducibilità dei costi già inerenti. Il criterio sarebbe quindi un principio generale immanente, insito nella determinazione del reddito d’impresa, anche senza espressa definizione normativa.

Si tratterebbe di “un principio immanente”, posto che la deduzione dei costi inerenti alla produzione non costituisce una contingente scelta legislativa, ma una caratteristica strutturale del concetto stesso di reddito d’impresa.

La distinzione ha rilevanza pratica: aderendo alla seconda tesi, l’esclusione degli interessi passivi dall’art. 109 co. 5 non li sottrarrebbe al giudizio di correlazione con l’attività, ma confermerebbe soltanto che per la loro deducibilità operano le regole speciali dell’art. 96 del TUIR.

Quali norme disciplinano la deducibilità dei costi d’impresa?

Il legislatore ha previsto specifiche disposizioni che definiscono o forfettizzano il collegamento tra costi e attività per determinate categorie di spese. Queste norme stabiliscono limiti quantitativi o requisiti particolari:

Norma TUIRAmbito di applicazioneContenuto
Art. 61 co. 1Soggetti IRPEFPro rata di deducibilità degli interessi passivi inerenti all’esercizio d’impresa
Art. 64 co. 1Soggetti IRPEFMisura di indeducibilità dei costi inerenti a partecipazioni in regime PEX
Art. 64 co. 2Soggetti IRPEFDeducibilità al 50% delle spese relative a beni utilizzati promiscuamente
Art. 102 co. 9Tutti i soggettiDeducibilità all’80% delle spese di telefonia
Art. 108 co. 2Tutti i soggettiMisura di deducibilità delle spese di rappresentanza secondo requisiti DM 19.11.2008
Art. 109 co. 5Tutti i soggettiPro rata di deducibilità delle spese generali riferite a proventi esenti
Art. 109 co. 5Tutti i soggettiDeducibilità al 75% delle spese di vitto e alloggio
Art. 164Tutti i soggettiMisura di deducibilità dei costi relativi ad autoveicoli e mezzi di trasporto

Queste disposizioni rappresentano specifiche declinazioni del principio generale, adattate a particolari tipologie di costi per i quali il legislatore ha ritenuto opportuno definire ex lege i criteri di deducibilità.

Il requisito nel reddito di lavoro autonomo

Sebbene per il reddito di lavoro autonomo non esista una disposizione analoga all’art. 109 co. 5 del TUIR, la Corte di Cassazione ha chiarito che anche l’art. 54 co. 1 del TUIR (che disciplina la determinazione del reddito professionale) consente la deducibilità delle sole spese provviste dell’attributo dell’inerenza.

Per i professionisti, questa deve essere intesa come rapporto di diretta e immediata correlazione tra la spesa sostenuta e l’arte o la professione esercitata. Il principio opera quindi con la stessa logica applicabile al reddito d’impresa, richiedendo una connessione funzionale tra il costo e l’attività professionale svolta.

Inerenza qualitativa o quantitativa: due diverse interpretazioni

Nel corso degli anni, questo criterio è stato interpretato dalla giurisprudenza in due accezioni distinte, con importanti conseguenze pratiche per i contribuenti e per l’Amministrazione finanziaria.

L’approccio quantitativo valuta la congruità del corrispettivo pattuito, consentendo all’Amministrazione finanziaria di contestare comportamenti antieconomici. Questa declinazione si fonda sul principio che chiunque svolga un’attività economica è indotto a ridurre i costi o a massimizzare i ricavi. In presenza di comportamenti non adeguatamente giustificati sul piano razionale, l’incongruenza suggerirebbe una diversa volontà sottostante (distribuzione occulta di utili, evasione fiscale, etc.).

L’approccio qualitativo valuta invece la connessione esistente tra spesa e impresa, senza implicare una valutazione sul quantum del costo. Si giudicano non inerenti le operazioni con costi che si riferiscono a un ambito non coerente o estraneo all’attività dell’impresa.

La svolta delle Ordinanze 450/2018 e 3170/2018 della Cassazione

Con le ordinanze 11.1.2018 n. 450 e 9.2.2018 n. 3170, la Corte di Cassazione ha operato una svolta interpretativa significativa, stabilendo che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio che afferiscono a un giudizio quantitativo.

Secondo questi principi:

  • Si tratta di un principio generale immanente alla nozione di reddito d’impresa.
  • La valutazione impone un giudizio di tipo qualitativo sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa.
  • L’antieconomicità o l’incongruità non si identificano con essa, ma costituiscono meri indici sintomatici dell’inesistenza di tale requisito.
  • L’evidenziazione di un comportamento antieconomico non può giustificarsi identificando il criterio con la sproporzione o l’incongruità dei costi.

Tuttavia, la materia non appare ancora completamente stabilizzata. La stessa ordinanza n. 3170/2018 precisa che, nell’effettuare un’analisi quantitativa, la valutazione della deducibilità di un costo postula l’accertamento della congruità ed economicità dello stesso, riconoscendo all’Amministrazione finanziaria il potere di valutare le prestazioni secondo il normale valore di mercato.

Le implicazioni pratiche della distinzione

L’orientamento verso il giudizio qualitativo comporta importanti conseguenze operative:

  1. L’antieconomicità da sola non è sufficiente a fondare un giudizio di indeducibilità del costo
  2. Devono sussistere ulteriori elementi probatori oltre allo scostamento dai prezzi di mercato
  3. L’economicità va valutata complessivamente, con riferimento alla situazione contrattuale e aziendale
  4. È necessaria la presenza di effettive situazioni di arbitraggio fiscale
  5. Deve essere evitata la duplicazione impositiva

In presenza di documentazione che attesti l’effettivo sostenimento di un costo direttamente riferibile all’attività d’impresa, la mera sproporzione o antieconomicità non dovrebbe costituire l’unico elemento per negarne la deducibilità.

Quando un costo è correlato all’attività d’impresa?

Il vincolo di inerenza si soddisfa dimostrando che la spesa è stata sostenuta in funzione dell’impresa nel suo complesso, includendo anche costi sostenuti in via di proiezione futura o potenziale. Dal punto di vista procedurale, l’onere di provare la deducibilità del costo ricade interamente sul contribuente. È l’imprenditore o il professionista a dover dimostrare, in caso di accertamento, la natura imprenditoriale della spesa e il suo collegamento con l’attività svolta.

Costi relativi ad attività rientranti nell’oggetto sociale

Ai fini della sussistenza del requisito, non è sufficiente che l’attività svolta rientri tra quelle previste nello statuto sociale. Tale circostanza ha solo un valore indiziario rispetto all’effettivo esercizio dell’impresa.

Il contribuente deve dimostrare che l’operazione, anche se apparentemente singola, si inserisce in una specifica attività imprenditoriale destinata a generare un lucro, almeno in prospettiva. La connessione con le finalità imprenditoriali deve essere intesa nel senso della funzionalità all’oggetto sociale formalizzato. In assenza di un preciso riferimento, spetta al contribuente provare che l’attività è potenzialmente idonea a produrre ricavi per l’impresa.

Oneri correlati a un’attività imprenditoriale futura o potenziale

Il principio presuppone l’esistenza di un nesso di riferibilità delle operazioni all’esercizio dell’attività. Secondo la giurisprudenza consolidata, si considerano inerenti anche i costi attinenti ad atti di impresa che si collocano in un nesso di programmatica, futura o potenziale proiezione dell’attività stessa.

Questi costi mantengono la loro deducibilità anche senza correlazione necessaria con ricavi o redditi immediati. Il giudizio è di natura qualitativa e oggettiva, parametrato alle regole di mercato. Non sono invece inerenti le operazioni comportanti costi che si riferiscano a una sfera non coerente o addirittura estranea all’esercizio d’impresa.

Consiglio operativo dalla mia esperienza: Nella pratica professionale, verifico costantemente che i costi sostenuti in fase di start-up o per progetti futuri siano adeguatamente documentati nel loro collegamento strategico con l’attività. Conservo business plan, delibere consiliari e studi di fattibilità che dimostrano la programmazione imprenditoriale. Questa documentazione è essenziale in caso di contestazione, perché l’Agenzia delle Entrate tende a considerare non inerenti i costi che appaiono slegati dall’operatività corrente, specialmente quando non generano ricavi nel breve periodo.

Casistiche controverse

Vi sono alcune casistiche che, specialmente nella pratica professionale, presentano peculiarità e/o dubbi e che meritano di essere affrontate compiutamente. Vediamo le principali.

Le sanzioni pecuniarie sono deducibili?

La deducibilità delle sanzioni pecuniarie rappresenta una delle questioni più controverse su questo criterio. Secondo l’Amministrazione finanziaria, le sanzioni sono indeducibili per mancanza del requisito. L’irrogazione della sanzione è conseguenza di un comportamento illecito, e consentirne la deducibilità svillirebbe la sua funzione repressiva e preventiva.

Questa posizione è stata confermata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sanzione ha una funzione afflittiva e deflattiva, essendo un deterrente per futuri analoghi illeciti. L’illecito spezza il nesso di inerenza, poiché la spesa non nasce nell’impresa, ma in un atto o fatto antigiuridico che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale.

Tipologie di sanzioni indeducibili secondo prassi e giurisprudenza:

  • Sanzioni irrogate dalla UE per violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato di Roma in tema di concorrenza.
  • Sanzioni irrogate dall’Autorità Antitrust.
  • Sanzioni per infrazioni commesse da amministratori o collaboratori.
  • Sanzioni per infrazioni alle norme sulla circolazione stradale.

Esiste tuttavia un orientamento minoritario di giurisprudenza di merito che sostiene la deducibilità, argomentando che alcune sanzioni (specialmente quelle Antitrust) hanno carattere ripristinatorio o risarcitorio piuttosto che afflittivo, mirando a riequilibrare il mercato captando i maggiori ricavi ottenuti attraverso il comportamento illecito.

Spese per la difesa legale di dipendenti e amministratori

Secondo la Corte di Cassazione, le spese sostenute dalla società per la difesa legale dei dipendenti in un procedimento penale non sono deducibili in assenza di correlazione tra la spesa e un’attività potenzialmente idonea a produrre utili. Lo stesso principio vale per le spese di difesa penale degli amministratori.

La correlazione potrebbe sussistere se fosse dimostrata l’esistenza di un danno reputazionale derivante alla società dall’esito del processo. In assenza di tale dimostrazione, il costo si considera estraneo alla sfera imprenditoriale.

Polizze assicurative per morte o infortuni degli amministratori

Il trattamento fiscale delle polizze assicurative sulla vita o per infortuni degli amministratori varia a seconda del beneficiario:

Beneficiario amministratore: Il premio dovuto all’assicurazione è un costo integralmente deducibile ai sensi dell’art. 95 del TUIR quale costo di lavoro. In capo all’amministratore, il premio corrisponde a un compenso in natura che concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente ex art. 51 co. 1 del TUIR.

Beneficiaria società: La deducibilità dei premi è controversa. Secondo la norma di comportamento ADC 154/2004, si tratterebbe di costi inerenti all’attività d’impresa, poiché il decesso o l’infortunio dell’amministratore costituiscono eventi che possono generare conseguenze sfavorevoli per la società. Con la stipula del contratto, la società tutela gli interessi e il patrimonio aziendale.

Tuttavia, la Direzione Regionale Piemonte dell’Agenzia delle Entrate si è espressa in senso contrario, richiamando la sentenza della Cassazione 11.8.1995 n. 8818 sul pagamento di riscatti, secondo cui i costi devono essere funzionali alla formazione del reddito. Seguendo questo ragionamento, i premi assicurativi non potrebbero considerarsi funzionali alla produzione del reddito.

Polizze per responsabilità civile degli amministratori

Diverso è il caso delle polizze per responsabilità civile degli amministratori (Directors & Officers Insurance). Questi premi dovrebbero essere deducibili, poiché rispondono a un interesse esclusivo del datore di lavoro. La polizza garantisce copertura delle perdite patrimoniali che gli amministratori potrebbero subire per azioni di responsabilità civile intentate da terzi per atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, fatta eccezione per atti dolosi o fraudolenti, questi premi non costituiscono fringe benefit per gli amministratori e non concorrono al loro reddito, essendo versati ad esclusivo interesse del datore di lavoro.

Beni concessi in comodato a terzi

Gli ammortamenti e gli eventuali altri costi relativi ai beni concessi in comodato restano deducibili in capo al proprietario, a condizione che persista il carattere di strumentalità. Il bene deve continuare a cedere le proprie utilità all’impresa proprietaria.

In caso di esternalizzazione dell’attività di produzione a impresa terza, sono deducibili i costi per l’uso del capannone (acqua, energia elettrica, gas, telefono) e per la manutenzione dei macchinari concessi in comodato all’impresa che svolge in esclusiva per il comodante l’attività di produzione. Si tratta di spese che si inseriscono nel programma economico del comodante e sono strumentali alla sua attività produttiva.

Migliorie su beni di terzi

Sul trattamento delle spese di manutenzione straordinaria sostenute dal conduttore su immobili locati esistono due orientamenti giurisprudenziali contrastanti:

Tesi dell’indeducibilità: Secondo alcune pronunce della Cassazione, queste spese sono prive del requisito di inerenza, poiché il beneficiario dell’opera rimane esclusivamente il locatore.

Tesi della deducibilità: Altre sentenze affermano che le spese sono deducibili in capo al conduttore, poiché si tratta di oneri certamente collegabili allo svolgimento dell’attività imprenditoriale. Ai fini della deducibilità, è sufficiente che siano sostenute dal conduttore nell’esercizio dell’impresa e siano documentate.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con le sentenze 11.5.2018 n. 11533 e 11534, si sono pronunciate solo in merito all’IVA, riconoscendo il diritto alla detrazione per lavori su immobili di terzi, purché sussista un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa, anche potenziale o di prospettiva. Per le imposte sui redditi, il contrasto giurisprudenziale permane.

Gli interessi passivi

Per i soggetti IRPEF, l’art. 61 co. 1 del TUIR richiede espressamente l’inerenza degli interessi passivi all’esercizio d’impresa, stabilendo un pro rata di deducibilità basato sul rapporto tra ricavi imponibili e ricavi complessivi.

Per i soggetti IRES, la questione è controversa. L’art. 109 co. 5 del TUIR esclude espressamente gli interessi passivi dal suo ambito di applicazione (“le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi…”). Secondo un primo orientamento, ciò indurrebbe a propendere per l’irrilevanza del requisito di inerenza. La Corte di Cassazione e l’Amministrazione finanziaria hanno affermato che gli interessi passivi sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, non dovendo essere specificamente riferiti a una particolare gestione aziendale.

Tuttavia, valorizzando l’impostazione secondo cui questo è un principio immanente, parte della dottrina sostiene che anche per i soggetti IRES gli interessi passivi debbano essere sottoposti a questo tipo di giudizio. Appare infatti difficilmente sostenibile la deducibilità di interessi relativi a finanziamenti non finalizzati allo svolgimento di attività inerenti all’impresa ma connessi a esigenze personali o familiari dell’imprenditore o dei soci.

Risarcimenti per inadempimento contrattuale

Con la sentenza 8.6.2021 n. 15932, la Corte di Cassazione ha stabilito che sono indeducibili per difetto di inerenza le somme corrisposte a fronte di un inadempimento contrattuale. Nel caso esaminato, si trattava di un risarcimento per la ritardata consegna di un immobile con difetti strutturali.

Si tratta di oneri che non trovano fondamento nell’attività dell’impresa, ma in un comportamento antigiuridico che per sua natura non è inquadrabile nella sfera aziendale. La mora debendi non rappresenta un costo inerente alla produzione di ricavi.

Transazioni: quando sono deducibili?

Con l’ordinanza 5.11.2021 n. 31930, la Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sulla deducibilità degli oneri derivanti da accordi transattivi. Il principio generale è che gli oneri da cause risarcitorie sono deducibili se sostenuti in funzione dello svolgimento dell’attività d’impresa o della produzione del reddito, anche al fine di salvaguardare i livelli di clientela e l’avviamento.

Indeducibili: Somme corrisposte per transazione relativa a risarcimenti da illecito extracontrattuale per lesione del diritto alla salute (esempio: esposizione all’amianto di dipendenti). Si tratta di risarcimenti derivanti da scelte imprenditoriali contra ius, che si pongono al di là della sfera aziendale.

Deducibili: Costi sostenuti da una banca per transazione con clienti finalizzata a prevenire controversie sulla pretesa responsabilità nell’espletamento dei servizi finanziari. Trattandosi di somme attinenti al concreto svolgimento dell’attività di impresa, a titolo di responsabilità precontrattuale o contrattuale, sono inerenti ex art. 109 co. 5 del TUIR.

Consulenze e spese professionali

I servizi di consulenza costituiscono costi inerenti e deducibili solo se indispensabili allo svolgimento della propria attività. La Corte di Cassazione, con la sentenza 22.7.2021 n. 21001, ha chiarito che una consulenza finanziaria è inerente quando la società non dispone di risorse proprie che consentano l’espletamento delle operazioni cui si riferiscono i servizi.

Quando invece la consulenza è generica, la giurisprudenza propende per l’indeducibilità. Con la sentenza 3.3.2021 n. 5772, la Cassazione ha stabilito che sono indeducibili i costi relativi a una consulenza legale in mancanza di:

  • Un contratto scritto;
  • Una prova chiara sull’avvenuta utilizzazione dei pareri da parte della società.

Nel caso esaminato, l’operazione appariva “fumosa” per la genericità della prestazione indicata in fattura e il solo risultato tangibile offerto (27 email inviate a fronte di 120.000 euro in 5 mesi). La società non aveva allegato i titoli professionali della consulente idonei a giustificare un compenso così elevato.

La giurisprudenza ha chiarito che l’inerenza non è implicita nemmeno quando le prestazioni sono rese da consulenti in possesso di titoli professionali idonei. Non è sufficiente indicare in fattura “consulenza per gare d’appalto“: occorre provare a quale tipologia di gare d’appalto si riferivano le consulenze e come queste si collegavano all’attività sociale (Cass. 11.5.2021 n. 12380).

La documentazione deve attestare:

  • La specifica prestazione ricevuta.
  • La sua concreta utilizzazione nell’attività.
  • Il collegamento con l’oggetto sociale o con operazioni programmate.
  • La competenza del professionista nella specifica materia.

Leggi anche: Principio competenza economica |

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