I soggetti che decidono di trasferirsi all’estero per un periodo più o meno determinato di tempo effettuando un’attività lavorativa nello Stato estero ove sono espatriati, si trovano di fronte alla problematica legata alla tassazione del reddito estero percepito.
Si tratta di un problema che se non affrontato per tempo può portare ad incorrere in comportamenti in conflitto rispetto a quanto previsto dalla normativa fiscale nazionale e dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Per questo motivo, quando ci si accinge a trascorrere un periodo all’estero per lavoro, la cosa migliore è sempre quella di pianificare anche gli aspetti fiscali.
In questo contributo, considerati i numerosi quesiti che arrivano in merito alla tassazione in Italia di redditi esteri, ho deciso di utilizzarne uno particolarmente rappresentativo, come esempio concreto, per fornire una risposta completa a tutti i lettori che si trovano in questa fattispecie.
Questo il suo quesito arrivatoci via email:
Sono molti gli italiani, soprattutto studenti o lavoratori in distacco, ad avere un lavoro in Danimarca, magari temporaneo, per qualche mese o anno, e si chiedono se sono tenuti a pagare le imposte anche in Italia. Non è raro il caso in cui i lavoratori italiani domiciliati all’estero, ma ancora residenti in Italia, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di fornire una risposta chiara a questo argomento.
Indice degli Argomenti
Lavoro in Danimarca e imposte italiane: le regole
Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto è tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“, così come disciplinata dall’articolo 2, co. 2, del DPR n. 917/86 (TUIR). Secondo tale norma un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se è iscritto all’anagrafe della popolazione residente, o alternativamente se ha il proprio domicilio (inteso come luogo dove si sviluppano principalmente le proprie relazioni personali e familiari) o la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia), per la maggior parte del periodo di imposta.
I tre requisiti sono alternativi, quindi è sufficiente possedere anche solo uno dei tre requisiti per potersi considerare soggetto fiscalmente residente in Italia.
Se guardiamo in dettaglio la situazione portata ad esempio, il lavoratore si chiede se debba iscriversi AIRE anche se sta lasciando in Italia la sua famiglia (moglie e figli). In questo scenario, il soggetto sta lasciando in Italia il proprio domicilio, e quindi la sua residenza fiscale. In questo scenario, quindi, non è necessaria l’iscrizione AIRE, in quanto la residenza fiscale rimane in Italia.
Tradotto, questo comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero.
Worldwide taxation
Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, previsto dall’articolo 3 del DPR n. 917/86. Questo principio è uno dei fondamenti del nostro sistema fiscale, ma anche di molti dei sistemi fiscali dei Paesi avanzati. Il concetto è molto semplice: un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque prodotte), in un unico Stato, quello di residenza fiscale, salvo poi ottenere un credito per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove le stesse sono state percepite (come vedremo meglio di seguito).
Per approfondire: Aire: “Anagrafe degli Italiani residenti all’estero“.
Residenza fiscale e tassazione
Come detto, i requisiti sopra indicati per verificare la residenza fiscale sono alternativi tra loro, è sufficiente realizzare anche soltanto una di quelle fattispecie per essere considerati fiscalmente residenti in Italia. Nel caso sopra indicato è il domicilio che rimane in Italia a determinare la residenza fiscale italiana. Quindi, si rende necessario dichiarare il reddito da lavoro dipendente estero, ma in che modo?
Retribuzioni convenzionali
L’esempio che abbiamo preso presenta, stante quanto detto sinora, anche un altro aspetto particolare. Il lettore afferma nel suo messaggio che sta svolgendo un’attività di lavoro dipendente all’estero sotto forma di distacco, presso un’azienda estera del gruppo.
I soggetti che trascorrono all’estero periodi di tempo a seguito di un contratto legato al distacco del personale dipendente possono beneficiare di un’agevolazione fiscale, così come previsto dall’articolo 51, comma 8, del DPR n. 917/86, il quale prevede che:
Si tratta di una prima agevolazione che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito, ma quello più favorevole previsto dalle retribuzioni convenzionali. Le retribuzioni convenzionali rappresentano una retribuzione figurativa imponibile Irpef al posto della retribuzione effettivamente percepita all’estero dal soggetto fiscalmente residente in Italia.
Tuttavia, per poter applicare concretamente questa normativa, è necessario che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali che vengono pubblicate ogni anno.
In questo caso preso ad esempio il nostro lettore essendosi trasferito in Paese UE, ha diritto all’applicazione delle retribuzioni convenzionali, e potrà tassare in Italia un reddito inferiore a quello effettivamente percepito in Danimarca, e certificato dal datore di lavoro estero.
Per approfondire: “Residenza fiscale delle persone fisiche“.
Lavoro in Danimarca: evitare la doppia imposizione
Come abbiamo visto, il lavoro in Danimarca, può comportare il pagamento delle imposte in Italia. Questo è quanto è dovuto, almeno secondo quanto indicato nel messaggio che abbiamo preso ad esempio. Il nostro lettore, infatti, si trova a dover pagare le imposte sia in Danimarca che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito, formando quella che viene definita come doppia imposizione giuridica.
Al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte nel paese di residenza del dichiarante oltre che nel paese di produzione del reddito (Stato della fonte), sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Danimarca (del 05/05/1999, ratificata dalla Legge n. 170/2002), sia il DPR n. 917/86, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte.
In particolare, l’articolo 15 della Convenzione tratta la disciplina dei redditi da lavoro dipendente e prevede che in via generale i redditi da lavoro dipendente debbano essere tassati nello Stato ove sono stati percepiti (Stato della fonte, Danimarca) ed anche nello Stato di residenza del soggetto percettore. Per evitare la doppia imposizione, il nostro ordinamento ha previsto l’applicazione di un credito di imposta, calcolato in base alle imposte pagate all’estero.
Credito per imposte pagate all’estero
Per potere applicare concretamente questo principio di divieto di doppia tassazione, ci viene in aiuto l’articolo 165 del DPR n. 917/86, il quale prevede che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.
A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica questo articolo prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia. Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate sull’attività di lavoro in Danimarca a titolo definitivo (non gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.
Ad esempio, se per un reddito pari a 1.000 euro la tassazione sul lavoro in Danimarca è pari al 20% ed in Italia pari al 23% il contribuente sarà tenuto a versare all’Amministrazione finanziaria della Danimarca il 20% del reddito e all’Erario italiano la sola differenza del 3%. In questo modo è correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione previsto dall’articolo 165 del DPR n. 917/86.
Il risultato finale che si ottiene dall’applicazione del credito per imposte pagate all’estero è sostanzialmente quello di far si che le imposte pagate dal soggetto nel Paese di residenza siano esclusivamente quelle ulteriori rispetto a quanto già versato nel Paese di produzione del reddito.
Conclusioni e consulenza fiscale online
Cosa possiamo imparare dall’esempio che vi abbiamo proposto?
Prima di tutto, se vi trovate in una situazione ove volete trasferirvi all’estero, riteniamo sia fondamentale, e vi consigliamo apertamente di consultare prima un Commercialista esperto in questo ambito, soprattutto se si intende restare all’estero per periodi superiori a 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali. Non farlo potrebbe portarvi a dover sostenere degli accertamenti fiscali, che sicuramente sarebbe meglio evitare.
Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità, quello che posso dirvi è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’Aire.
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