Home Fisco Internazionale Tassazione di redditi esteri Lavoro autonomo estero: criteri di tassazione

Lavoro autonomo estero: criteri di tassazione

Il trattamento fiscale e previdenziale dei rapporti di lavoro autonomo instaurati con soggetti non residenti, o instaurati da soggetti residenti in altro Paese estero.

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Luogo di svolgimento dell’attività professionale come criterio di collegamento per la tassazione del reddito da lavoro autonomo del professionista non residente. Applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 30% in caso di prestazione svolta in Italia, salvo il caso della presenza di una stabile organizzazione del professionista in Italia. Attenzione alla possibilità di sfruttare le disposizioni convenzionali, spesso maggiormente favorevoli (ma con onere probatorio da sostenere).


Nell’ambito dell’imposizione diretta il nostro ordinamento tributario stabilisce una differenza tra soggetti fiscalmente residenti e soggetti non residenti, collegando ai due diversi stati specifiche discipline di tassazione. In questo contributo andiamo ad analizzare le modalità di tassazione dei redditi da lavoro autonomo estero.

Con questa locuzione si fa riferimento alla modalità di tassazione applicabile ai fini delle imposte dirette nei rapporti di lavoro autonomo instaurati con soggetti non residenti. Tuttavia, tale normativa risulta essere specularmente applicabile nei confronti di soggetti residenti che effettuano prestazioni di lavoro autonomo in Paesi esteri.

La globalizzazione degli ultimi anni ha aumentato notevolmente i rapporti di lavoro anche nel mondo professionale. Per questo motivo, la disciplina di tassazione dei redditi di lavoro autonomo estero assume particolare importanza. Capire dove e come deve dichiarare i propri redditi un professionista italiano che opera all’estero o allo stesso modo un professionista estero che opera in Italia è fondamentale. Solo avendo chiari questi aspetti si possono evitare duplicazioni di tassazione ed è possibile determinare nel modo corretto il proprio carico fiscale.

Per approfondire: “Tassazione dei redditi di fonte estera in Italia: criteri di collegamento“.

La residenza fiscale come base per la tassazione dei redditi da lavoro autonomo

Per capire le modalità di tassazione dei redditi di lavoro autonomo estero è necessario partire dal concetto di residenza fiscale, contenuto nell’articolo 2 del DPR n. 917/86 (TUIR). Questa disposizione prevede che un contribuente sia considerato residente fiscalmente in Italia quando, alternativamente, verifica anche solo uno dei seguenti elementi:

  • È iscritto all’anagrafe della popolazione residente in Italia;
  • Ha in Italia il proprio domicilio, inteso come il luogo dove si sviluppano in via principale le proprie relazioni personali e familiari;
  • Ha in Italia la propria residenza (ex art. 43 cc);
  • Trascorre in Italia oltre 183 giorni (contando anche le frazioni di giorno)

Se anche uno solo di questi requisiti trova riscontro in Italia per almeno 183 giorni nell’anno il soggetto è considerato fiscalmente residente in Italia. Come anticipato, essere considerati residenti ha delle implicazioni per quanto riguarda la tassazione dei propri redditi.

Criteri di collegamento della residenza fiscale in Italia

ELEMENTODESCRIZIONE
Iscrizione all’anagrafeL’iscrizione all’anagrafe è un elemento oggettivo, che scaturisce da un atto amministrativo adottato ai sensi della Legge n. 1228/54 e dal regolamento di attuazione, il DPR n. 223/89. I cittadini italiani che stabiliscono la propria residenza all’estero devono cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente ed iscriversi alla speciale anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE). Si ritiene che il soggetto iscritto all’anagrafe della popolazione residente venga considerato fiscalmente residente in Italia per presunzione assoluta, mentre l’iscrizione nell’AIRE non rappresenta un elemento determinante per la perdita della residenza fiscale. Quello che conta, in questo caso è il “centro degli interessi vitali” del soggetto, ove per essi si intende il Paese ove egli abbia il proprio interesse lavorativo, ed il proprio nucleo familiare.
DomicilioIl domicilio è il luogo nel quale una persona ha sviluppato, in via prevalente, le proprie relazioni personali e familiari. Quindi, la famiglia ed i legami familiari hanno un’importanza determinante nella residenza fiscale di un soggetto.
ResidenzaLa residenza è il luogo “in cui la persona ha la dimora abituale” (articolo 43, comma 2, c.c.).
Presenza fisicaPresenza fisica in Italia per oltre 183 giorni. Ogni frazione di giorno trascorsa in Italia è un giorno intero di presenza.

È sufficiente che ricorra anche una sola delle suddette condizioni per qualificare un soggetto come fiscalmente residente. Esse, cioè sono condizioni alternative e non concorrenti. Normalmente, per i cittadini italiani, esse si verificano contemporaneamente, perlomeno in riferimento al territorio dello Stato. È, invece, frequente per gli stranieri, che si dia residenza fiscale in presenza di uno o due di tali requisiti, ed esempio senza che vi sia iscrizione all’anagrafe del Comune.

Situazioni di doppia residenza fiscale

Il modello di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, risolve il problema della doppia residenza fiscale (“dual residence“). In particolare l’articolo 4 del modello stabilisce la seguente gerarchia di criteri per il caso in cui gli ordinamenti giuridici dei due Stati contraenti conducano a considerare un soggetto come residente in entrambi gli Stati:

  1. Abitazione permanente;
  2. Centro degli interessi vitali (Stato nel quale le relazioni personali ed economiche sono più strette);
  3. Soggiorno abituale;
  4. Nazionalità;
  5. Accordo tra le autorità competenti dei due Stati contraenti.

La stessa norma, articolo 2, comma 2 del DPR n. 917/86 fissa inoltre una determinazione temporale, stabilendo che le suddette condizioni, debbano verificarsi “per la maggior parte del periodo di imposta“, che corrisponde generalmente a 183 giorni. La condizione temporale si verifica anche se il periodo di residenza fiscale non è continuativo.

Per approfondire: “Tie breaker rules per le ipotesi di dual residence“.

Il worldwide taxatione principle

Il reddito prodotto da un soggetto residente è sottoposto al cosiddetto principio di tassazione mondiale (“worldwide taxation principle“). Secondo tale principio il reddito complessivo da tassare in Italia è costituito da tutti i redditi posseduti, ovunque prodotti. Vengono, pertanto, assoggettati a tassazione, aggiungendosi ai redditi nazionali, anche i redditi prodotti all’estero.

Essere considerato residente fiscalmente in Italia ha delle conseguenze importanti a livello di carico fiscale. Il soggetto non residente è invece obbligato a determinare e versare le imposte dirette solo sui redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano. Tale principio è fissato dall’articolo 3, comma 1, del DPR n. 917/86, secondo il quale:

“l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti, e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”

Sulla base di questi principi, ad esempio, un soggetto residente in Italia deve dichiarare anche il compenso di una conferenza che ha tenuto a Londra e che gli è stata pagata da un soggetto residente in nel Regno Unito. Allo stesso modo, un soggetto non residente che riceva un analogo compenso per conferenza tenuta in Italia e pagata da un istituto italiano si vedrà tassare solo il compenso stesso e non certo, oltre a questo, i redditi da lui posseduti nello Stato di residenza fiscale.

I criteri di collegamento interni per la tassazione del reddito da lavoro autonomo

Dopo aver individuato i criteri per stabilire ove un soggetto abbia la propria residenza fiscale, adesso andiamo a vedere il criterio di territorialità (o di collegamento) che riguarda i redditi da lavoro autonomo. In particolare, l’applicazione delle diverse norme sulla tassazione dei redditi dei non residenti presuppone che vengano fissati dei criteri precisi per individuare quali redditi si devono considerare “prodotti nel territorio dello Stato“. Infatti, soltanto questi costituiscono il reddito complessivo dei soggetti non residenti e soltanto questi vengono assoggettati, eventualmente, alle ritenute alla fonte ad opera del soggetto che li corrisponde.

Le norme che regolano la fattispecie sono rappresentate:

  • Dall’art. 23, comma 1, lettera d) del TUIR, che assoggetta a tassazione in Italia in capo ai non residenti le prestazioni di lavoro autonomo esercitate nel territorio dello Stato;
  • Dall’art. 25, comma 2, del DPR n. 600/73, che assoggetta a una ritenuta a titolo d’imposta del 30% i compensi per lavoro autonomo corrisposti a non residenti, escludendo però i compensi per le prestazioni effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti.

Dalla prima delle due norme citate si evince che il criterio di territorialità previsto dalla normativa interna per i redditi di lavoro autonomo è quello del luogo di svolgimento dell’attività. Stessa cosa vale anche per i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e per i compensi derivanti dall’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e simili.

Tabella: criteri di collegamento per la tassazione del reddito da lavoro autonomo

Caso del professionista estero che svolge la prestazione all’estero per committente nazionale

Prendiamo il caso del professionista estero svolge la sua prestazione professionale all’estero per conto di un committente residente in Italia. In questo caso, secondo l’art. 23 del TUIR, il reddito non deve essere tassato in Italia. Questo fatto si traduce nell’assenza di obblighi di sostituzione di imposta in capo alla società residente (committente) che riceve la prestazione professionale.

Dello stesso avviso è anche l’art. 25, co. 2, del DPR n. 600/731. Nel caso in cui un ente residente si trovi di fronte a questa fattispecie è opportuno prendere a riferimento quando indicato dalla (seppur poco recente) R.M. n. 12/762 del 3 febbraio 1977, la quale prevede che la società residente debba acquisire, idonea documentazione (per la non applicazione della ritenuta):

  • La certificazione della residenza fiscale estera del professionista rilasciata dalla competente autorità fiscale;
  • Una specifica dichiarazione del professionista volta ad attestare che la prestazione professionale non è stata svolta in Italia.

Caso del professionista estero che svolge la prestazione in Italia per committente nazionale

Il caso opposto rispetto al precedente è quello del professionista estero che svolte la propria prestazione professionale in Italia (senza stabile organizzazione) per conto di un ente residente (committente). In questo caso, l’art. 23 del TUIR, prevede la tassazione del reddito in Italia. Il già citato art. 25, co. 2, del DPR n. 600/73 prevede l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 30%. In questo caso, come vedremo meglio più avanti, rimane ferma la possibilità di evitare la tassazione ricorrendo alle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Variante di questo caso è la fattispecie in cui il professionista estero che svolge la prestazione in Italia sia dotato di una stabile organizzazione in Italia. Anche in questo caso, l’art. 23 del TUIR, prevede la tassazione del reddito in Italia. L’art. 25, co. 2 del DPR n. 600/73, in questo caso non prevede applicazione della ritenuta a titolo di imposta, ma piuttosto, si rende applicabile l’art. 25, co. 1 dello stesso DPR che prevede l’applicazione della ritenuta a titolo di acconto del 20%. Il professionista estero potrà poi scomputare le imposte versate dalla stabile organizzazione in Italia dalle imposte dovute nello Stato di sua residenza.

Le ritenute alla fonte del sostituto di imposta

Lo status di non residente incide anche sugli obblighi del sostituto di imposta, determinando, nei casi che esamineremo, una specifica aliquota della ritenuta (e una sua diversa natura) e addirittura la possibilità che, in presenza di convenzioni internazionali, la ritenuta non venga operata. A questo proposito può essere utile ricordare la distinzione terminologica in tema di ritenute, rilevante per comprendere la disciplina dei redditi percepiti da soggetti non residenti.

Per quanto riguarda i redditi da lavoro autonomo svolti in Italia da parte di un professionista non residente, il DPR n. 600/73 prevede l’applicazione di una ritenuta del 30% del compenso, a titolo di imposta sul reddito.

La normativa convenzionale per il lavoro autonomo

Lo Stato italiano ha stipulato con numerosi altri Stati convenzioni bilaterali che regolano la tassazione dei redditi percepiti nello Stato in cui un soggetto non risiede. Il fine di tali convenzioni è duplice:

  • Da una parte esse mirano ad evitare che lo stesso reddito venga tassato due volte;
  • Dall’altra, provvedono, implicitamente, a ripartire tra i due Stati contraenti o ad assegnare ad uno solo di essi le entrate tributarie derivanti da determinati redditi.

In alcuni casi, particolarmente ricorrenti nell’attività amministrativa, le convenzioni stabiliscono l’esclusiva tassazione del reddito nello Stato di residenza. In questo caso vi è il il conseguente esonero da qualsiasi obbligazione tributaria nell’altro Stato contraente in relazione al reddito ivi prodotto.

L’esempio principale è il reddito per attività di lavoro autonomo svolto in Italia del professionista estero, che sebbene considerato prodotto in Italia, ai sensi dell’articolo 23 del DPR n. 917/86, non è soggetto a tassazione in Italia sulla base di numerosissime convenzioni. Il soggetto che percepisce tale compenso può allora, chiedere l’applicazione della convenzione al sostituto di imposta, per non subire una tassazione non dovuta (ritenuta del 30%), che lo costringerebbe a chiedere il rimborso della ritenuta allo Stato italiano.

Articolo 14 della convenzione OCSE

In tema di lavoro autonomo la convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, all’articolo 14, prevede, per quanto riguarda i redditi dei professionisti che:

Da sottolineare come l’espressione “soltanto in detto Stato“, indichi come l’unica potestà impositiva sia dello Stato di residenza del professionista. In secondo luogo, invece, deve essere sottolineata la deroga alla normativa interna, secondo la quale il reddito da lavoro autonomo si considera prodotto nel territorio dello Stato se la prestazione è stata svolta nel territorio stesso. Tale deroga è subordinata all’assenza di una base fissa del professionista. Se, invece, il professionista dispone di una base fissa, il suo reddito è imponibile (anche) nello Stato in cui la prestazione è svolta.

Superamento dell’art. 14 del modello OCSE

L’articolo 14 del modello di Convenzione OCSE è ancora presente in molte delle Convenzioni internazionali siglate dall’Italia. Questo, anche se tale articolo 14 sia stato abrogato nel 2000. Per questo motivo, possiamo dire che la tassazione nello Stato di svolgimento dell’attività professionale è tale solo nel momento in cui il professionista abbia in tale Stato una base fissa.

Sostanzialmente, ai redditi da lavoro autonomo prodotti all’estero devono farsi riferimento gli articoli 5 e 7 del modello OCSE per il reddito di impresa. Tali articoli prevedono la tassazione nello Stato della fonte del reddito a condizione che in tale stato si trovi una stabile organizzazione (sede o base fissa per il lavoro autonomo).

Disposizioni di prassi sulla sede fissa in Italia di professionista estero

Sul punto occorre andare a citare un documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate, ovvero la Risoluzione n. 154/E/2009. In questo documento le Entrate sostengono che vi sia una distinzione tra base fissa e stabile organizzazione. Sulla base di questo ragionamento si baserebbe l’applicazione della ritenuta del 30% da applicare ai compensi corrisposti alla base fissa di professionisti esteri in Italia.

Questo, in quanto, l’art. 25, comma 2, del DPR n. 600/73 esclude dall’applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 30% i compensi erogati alle “stabili organizzazioni” (e non anche alle “basi fisse“) in Italia di soggetti non residenti. Secondo questa impostazione, quindi, la presenza della base fissa comporta l’applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 30% (e non la ritenuta a titolo di acconto del 20%).

Deve essere osservato che, comunque, la citata risoluzione fa riferimento ad un caso ove non vi possono essere dubbi sul fatto che il professionista estero disponeva in Italia di un centro di attività stabile qualificabile come base fissa (o stabile organizzazione). Per questo motivo, non c’è modo di ritenere che l’Agenzia delle Entrate abbia individuato dei criteri per individuare differenze tra stabile organizzazione (senza ritenuta) e base fissa (con ritenuta).

Come si individua una base fissa di un professionista in Italia?

Proviamo adesso a fare un esempio per individuare la base fissa i di un professionista. Ad esempio rappresenta base fissa uno studio che un avvocato, medico, ingegnere, un commercialista ecc. ha in Italia. Possono però emergere situazioni intermedie in cui il professionista si reca nella sede del cliente per svolgere la prestazione (o parte di essa). In questi casi, per capire se siamo di fronte ad una situazione di presenza stabile in Italia, gli unici riferimenti possibili sono quelli contenuti nei paragrafi 12/15 dell’art. 5 del Commentario al modello OCSE, relativamente al concetto di stabile organizzazione.

Secondo il commentario, quindi, la fissità della presenza in uno Stato deve essere collegata alla possibilità (per il professionista non residente) di poter utilizzare i locali, anche di proprietà del committente, in modo sufficientemente continuativo nel tempo. Indirettamente, quindi, una “visita” fatta dal professionista non residente al proprio cliente italiano al fine, ad esempio, di analizzare documenti, controllare l’esecuzione dei lavori, programmare il lavoro, non può portare a considerare la presenza del professionista in Italia come una base fissa.

Al contrario, vi è sicuramente la presenza di una base fissa se, ad esempio, uno studio professionale italiano mette a disposizione di un professionista non residente un locale ove svolgere la propria attività con continuità durante i periodi di presenza in Italia. La regola da seguire, quindi, sempre secondo il commentario del modello OCSE è individuare, soprattutto attraverso la stesura dei contratti professionali, la presenza di una disponibilità stabile di locali in Italia per il professionista non residente nei momenti di presenza in Italia.

Condizioni per lo scomputo delle ritenute estere sui compensi del professionista

I professionisti residenti in Italia hanno la possibilità di applicare l’art. 165 del TUIR per il riconoscimento del credito per imposte estere legato alle ritenute in uscita erogate da committenti non residenti. In pratica, tali ritenute concorreranno alla riduzione della tassazione dovuta, andandosi a sommare alle ritenute effettuate dai committenti nazionali. In particolare, l’art. 165 del TUIR prevede che: “se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”.

Pertanto, per poter validamente applicare questa disposizione normativa è necessario che trovino riscontro alcuni requisiti, ovvero:

  • Il reddito estero deve concorrere alla formazione del reddito complessivo IRPEF del professionista residente. Pertanto, ad esempio, tale disposizione non può essere applicata dai professionisti che operano in regime forfettario (i quali non sono soggetti ad IRPEF ma ad imposta sostitutiva). Sul punto la Circolare n. 36/E/2019 vieta l’applicazione del credito per imposte estere da parte del professionista in regime forfettario. Vedasi sul punto anche quanto indicato nella Circolare n. 9/E/2015, secondo la quale l’art. 165 del TUIR, “…non è quindi applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta, a imposta sostitutiva o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi …” (cfr. paragrafo 2.2.);
  • L’imposta estera trattenuta deve essere certificata in modo da verificarne la sua definitività.

Soltanto in presenza di questi requisiti il professionista residente ha la possibilità di portare a credito le imposte estere trattenute da parte di committenti non residenti.

Applicazione della convenzione OCSE: procedura per l’esonero dalla ritenuta nello Stato estero

Al fine di poter esser di ausilio ai sostituti di imposta italiani che si trovano a dover corrispondere compensi per attività di lavoro autonomo a soggetti residenti all’estero, proponiamo una procedura da seguire per poter correttamente applicare la convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.

Inquadrare il rapporto di lavoro

Occorre in primo luogo inquadrare correttamente il rapporto di lavoro che si instaura con il soggetto non residente. Questo al fine di verificare se il tipo di reddito corrispondente al rapporto viene considerato tassabile oppure no dalla convenzione stipulata con lo Stato in cui risiede il soggetto che viene pagato.

Verificare i requisiti della convenzione

E’ necessario rifarsi al testo in vigore della Convenzione senza dare per scontato l’esistenza delle condizioni standard. È vero infatti che le convenzioni ricalcano, nella maggior parte dei casi, il modello OCSE. Tuttavia, questo tipo di accordi vengono aggiornati e modificati costantemente. Da considerare poi che tali accordi per gli Stati coinvolti non assumono in nessun caso norma obbligatoria. In questo senso, infatti, rimangono liberi gli stati di accordarsi sulla base delle reciproche volontà.

Dovrà pertanto essere letto attentamente il testo della convenzione che si intende applicare, accertando in particolare se essa preveda la non tassazione di quel determinato reddito prodotto in Italia dal soggetto non residente. Se così non è, come nel caso degli artisti, la tassazione dovrà avvenire secondo le regole generali.

Documentazione e certificato di residenza fiscale del professionista

Una volta accertate le condizioni dell’esenzione dall’applicazione della tassazione in Italia del reddito (attraverso la ritenuta alla fonte del 30%), occorrerà acquisire la documentazione che attesti la loro sussistenza. A tal fine potrà essere predisposta una richiesta di applicazione della convenzione, con la dichiarazione dell’interessato che sussistono le condizioni previste.

Da un punto di vista pratico questa domanda deve essere corredata da un ulteriore documento di importanza dirimente. A questo scopo l’Agenzia delle Entrate prevede il possesso di un certificato che provenga dalle autorità amministrative dello Stato di residenza e che documenti il possesso della qualità di residente. Il riferimento è al certificato di residenza fiscale estero ex paragrafo 4 della convenzione OCSE.

In questi termini si sono pronunciate, ad esempio, la Risoluzione n. 59/E e la Risoluzione 68/E del 24 maggio 2000. Quest’ultima in particolare ricorda che l’applicazione diretta della convenzione da parte del sostituto è una facoltà e che:

nel caso in cui il sostituto intenda attenervisi è fatto obbligo al medesimo di acquisire, dai beneficiari del reddito, la documentazione atta a dimostrare l’effettivo possesso dei requisiti previsti negli accordi“.

Carattere facoltativo della convenzione per il sostituto di imposta

Vale la pena di soffermarsi sul carattere facoltativo dell’applicazione della convenzione per i redditi di lavoro autonomo estero. Qualora il sostituto ritenesse di non doversi assumere la responsabilità dell’accertamento dei requisiti, il soggetto non residente sarebbe costretto a presentare istanza di rimborso della ritenuta subita allo Stato italiano, con le complicazioni e le difficoltà che è facile immaginare.

Si esclude, in linea di principio, la possibilità che il soggetto non residente, in alternativa all’istanza di rimborso, detragga quanto pagato in Italia dalle imposte dovute nello Stato di residenza, e ciò in considerazione del fatto che la convenzione, disponendo l’esenzione di un particolare reddito, opera al contempo una assegnazione delle entrate tributarie, stabilendo implicitamente che solo lo Stato di residenza deve, in riferimento ai redditi esentati dalla convenzione, riscuotere le relative imposte.

Criteri di tassazione per i redditi di artisti e sportivi

Una deroga ai criteri di tassazione dei professionisti riguarda gli artisti e gli sportivi. Per questi soggetti, infatti, indipendentemente dal fatto che si tratti di lavoratori subordinati o autonomi trova applicazione l’art. 17 del modello OCSE. Questa disposizione autorizza il Paese dove vengono svolte le performances dell’artista o sportivo a tassare il reddito ivi prodotto. Questo, indipendentemente dal fatto che la permanenza si sia protratta per almeno 183 giorni (per i dipendenti) o che vi sia una stabile organizzazione o base fissa (per gli autonomi). Tale disposizione è volta, sostanzialmente, ad evitare che l’artista o lo sportivo portino la propria residenza fiscale in Paese black list, evitando, in questo modo tassazione nello stato di esecuzione delle performance ed in quello di residenza fiscale.

Per approfondire: “Tassazione dei redditi degli artisti per prestazioni all’estero” e “Sportivi professionisti: la tassazione dei redditi“.

Esonero da ritenuta estera per i professionisti italiani

Nel paragrafo precedente ti ho parlato di come sia possibile, per un professionista estero, ottenere l’esenzione da parte del committente italiano della ritenuta in uscita del 30%. Sostanzialmente, si tratta di applicare quanto previsto nella Convenzione OCSE siglata dall’Italia.

La stessa procedura può essere applicata, all’inverso, dal professionista italiano che si trova a svolgere prestazioni professionali all’estero (senza base fissa). In questo caso, il professionista, qualora la territorialità di tassazione del reddito sia nello Stato di residenza fiscale può ottenere il pagamento senza ritenuta fiscale in uscita dallo Stato di erogazione del reddito. Per ottenere questo il professionista italiano è tenuto a chiedere all’Agenzia delle Entrate una Certificazione di residenza fiscale. Con questo documento è, infatti, possibile chiedere allo Stato estero di essere esonerati dall’applicazione della ritenuta in uscita sul compenso.

La Certificazione di residenza fiscale può essere richiesta dal contribuente residente ed è valida per quell’anno fiscale in virtù della Convenzione con quel preciso Stato estero ove ha prestato la propria attività. Se hai dubbi su come ottenere questa certificazione di residenza fiscale italiana dall’Agenzia delle Entrate, contattami!

Lavoro autonomo estero: disciplina previdenziale

Il trattamento previdenziale nei compensi corrisposti per redditi di lavoro autonomo estero è stato oggetto della Circolare INPS n. 164 del 21 dicembre 2004. Documento nel quale viene stabilito il principio generale di coincidenza tra criteri fiscali e criteri previdenziali. Si afferma, in sostanza, che si dà imponibile previdenziale laddove la norma tributaria definisce un determinato importo come reddito fiscalmente imponibile.

I principi che disciplinano l’imposizione della contribuzione previdenziale dei redditi di lavoro autonomo estero, allorché percepiti da soggetti non residenti, non possono che essere quelli valevoli, per gli stessi soggetti, ai fini dell’imposizione dell’Irpef

In riferimento alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della Legge n. 335/1995, che costituisce l’oggetto proprio della circolare, saranno pertanto da assoggettare alle ritenute previdenziali:

  • I compensi di lavoro autonomo estero per prestazioni svolte nel territorio dello Stato, per i quali si verifichi la soglia di €. 5.000,
  • Le remunerazioni per collaborazioni coordinate e continuative o a progetto corrisposte da soggetti residenti.

Sulla base dello stesso principio di coincidenza di criteri fiscali e previdenziali, la circolare ricorda poi che, nel caso in cui una convenzione contro le doppie imposizioni escluda da tassazione un determinato importo, esso non sarà assoggettato nemmeno a contribuzione previdenziale.

Consulenza fiscale online

In questo articolo ho cercato di evidenziare quelli che sono i tratti principali per individuare la territorialità dei redditi da lavoro autonomo prodotti all’estero. La casistica non è semplice, perché vi sono molte variabili da prendere in considerazione.

Il criterio base da utilizzare è sempre quello che riguarda il luogo ove la prestazione viene esercitata. Tuttavia, accanto a questo principio deve essere analizzata la convenzione contro le doppie imposizioni (ove esistente). Spesso, infatti, le convenzioni internazionali prevedono tassazione nel Paese di residenza fiscale. A questo punto si pone il problema di come far evitare al professionista estero l’applicazione delle ritenute in uscita che gli stati di erogazione del reddito (sovente) applicano. Per evitare tutto questo è necessario produrre la documentazione richiesta ed ottenere la certificazione di residenza fiscale.

Se hai dubbi sulla tua situazione personale oppure vuoi verificare con un esperto come ottenere l’esenzione da ritenute in uscita sui tuoi redditi da lavoro autonomo estero contattami. Segui il link sottostante per metterti in contatto con me e ricevere una consulenza fiscale personalizzata in grado di risolvere tutti i tuoi dubbi su queste casistiche. Non aspettare.


1 – Art. 25, co. 2 DPR n. 600/73: salvo quanto disposto nell’ultimo comma del presente articolo, se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Ne sono esclusi i compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.

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