Il delitto di infedeltà patrimoniale è stato introdotto nel nostro ordinamento con la riforma dei reati societari di cui al d.lgs. n. 61/2002. L’’art. 2634 c.c. punisce, con la reclusione da sei mesi a tre anni, la condotta degli amministratori, direttori generali o liquidatori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale.
Il reato di infedeltà patrimoniale è stato inserito nel codice civile, ad opera del legislatore del 2002, con la legge n. 61, non trovando una sufficiente tutela nel codice penale. L’art. 2634 c.c. dispone che:
Art. 2634 c.c. | “Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa”. |
Cos’è l’infedeltà patrimoniale?
L’introduzione del delitto di infedeltà patrimoniale risale all’11 aprile 2002, con l’ultima riforma del diritto penale societario. L’infedeltà patrimoniale infatti è stata introdotta solamente nel 2002, tra i reati societari esistenti.
Si tratta di un reato per cui il soggetto coinvolto può essere un amministratore, un direttore generale o un liquidatore, ad esclusione dei sindaci. Si tratta dell’eventualità per cui uno dei soggetti visti qui ha un interesse che va in conflitto con quelli della società.
Di fatto nel reato di infedeltà patrimoniale quindi la condotta di questo soggetto può portare ad un danno patrimoniale della società, di natura economica, che sia reale ed effettivo. Come è facile intuire, in un reato di questo tipo il soggetto coinvolto segue i propri interessi invece di seguire quelli dell’azienda, nonostante la sua carica all’interno della società disponga apertamente il contrario.
In particolare ad essere maggiormente esposti al rischio di perseguire questo reato sono i direttori generali, perché sono di fatto dipendenti operativi di un’azienda, la cui responsabilità è quella di condurre al successo la stessa. Quando gli interessi del direttore generale non sono quelli aziendali, ma diventano personali, e conducono ad un danno all’impresa stessa, allora si può parlare di reato.
La fattispecie di infedeltà patrimoniale tutela il patrimonio sociale, in quanto la norma parla di un “danno patrimoniale” come evento della fattispecie e della procedibilità a querela della persona offesa.
Soggetti attivi
L’art. 2634 c.c. è un reato proprio, sono soggetti attivi del reato gli amministratori, i direttori generali ed i liquidatori:
- amministratori: in una società di capitali ci possono essere diversi sistemi di amministrazione e controllo, e è presente un consiglio di amministrazione nell’azienda;
- direttori generali: si tratta di figure dirigenziali che sono state assunte per portare avanti la responsabilità di gestione e organizzazione dell’azienda, al fine di condurre al successo la stessa, e migliorarne l’andamento generale;
- liquidatori: si tratta di figure che possono ricoprire i ruoli di amministratori durante un periodo di liquidazione della società. I liquidatori infatti hanno il preciso ruolo di amministrare quello che è il patrimonio della società, per rispondere ai soci e ai creditori.
Il comportamento del soggetto qualificato costituisce la violazione di un dovere di correttezza, lealtà e cura degli interessi societari che contribuisce a incrementare il disvalore di condotta della fattispecie. Tale caratteristica del delitto spiega anche perchè sono stati esclusi dai soggetti attivi i sindaci. I quali sono estranei alla relazione tra i soggetti attivi e il patrimonio sociale, i sindaci hanno soltanto un potere di controllo.
Presupposti
Il delitto in esame si configura quando uno dei soggetti attivi sopra indicati ha un interesse in conflitto con quello della società. Il soggetto attivo del reato pertanto è portatore di un interesse proprio o altrui che è in conflitto con quello della società.
La dottrina e la giurisprudenza hanno definito alcune caratteristiche, ossia la condotta deve avere come risultato un danno patrimoniale alla società, pertanto è un reato di danno. Con la conseguenza che, il conflitto di interessi deve avere natura economica. Inoltre, il conflitto di interessi deve essere attuale, reale ed effettivo. Questo concetto è stato chiarito anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 55412/2018:
La condotta del soggetto che conduce il reato è volta a pregiudicare gli interessi patrimoniali della stessa. Non è sufficiente quindi che uno dei soggetti visti prima compia un illecito per parlare di infedeltà patrimoniale. La condotta intera del soggetto in questione deve concorrere a provocare un danno alla società.
Va anche evidenziato che non sono incluse nel reato solamente quelle azioni dirette a danneggiare la società, ma anche alcune azioni di omissione, che come conseguenza portano a una diminuzione del patrimonio sociale, o ad una perdita economica sostanziale. Sono poi previste dalla norma due azioni concomitanti, per parlare di reato:
- Dolo intenzionale: dev’essere confermata l’intenzionalità del soggetto di arrecare il danno;
- Dolo specifico: l’obiettivo del soggetto deve essere quello di condurre un vantaggio per sé o per altri soggetti.
Quali beni possono essere coinvolti
Su quali beni, un soggetto può agire provocando un danno all’azienda? Si parla nello specifico di beni sociali, ovvero tutti quei beni che possono essere mobili o immobili che sono appartenenti alla società. Il danno infatti può essere arrecato sia ai beni materiali che a quelli in materiali.
I beni sociali tuttavia che possono essere oggetto di questo reato sono sempre quelli che possono essere valutati economicamente, come ad esempio:
- Beni mobili e immobili della società;
- Sono incluse le rimanenze di magazzino della società e dei suoi comparti;
- Sono inclusi macchinari, impianti, terreni di proprietà della società;
- Diritti di brevetti e opere di ingegno;
- Somme di denaro detenute presso casse, conti correnti o crediti.
Tutti questi beni, considerati di proprietà dell’azienda, possono essere oggetto specifico del reato, tuttavia devono avere alcune caratteristiche specifiche, ovvero: devono poter essere valutati economicamente, e la società deve avere su di essi un diritto qualsiasi, non necessariamente un diritto di proprietà.
Teoria dei vantaggi compensativi
Il terzo comma dell’art. 2634 c.c. dispone che:
Art. 2634 co.3 c.c. | “In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa”. |
Una importante modifica della vecchia normativa riguarda la più recente teoria dei vantaggi compensativi, che prende in considerazione il reato in presenza di gruppi di società. In base alla riforma condotta nel 2022, non è prevista l’applicazione del reato nel caso in cui un danno che è stato perseguito verso una società del gruppo, con vantaggio per un altro, rientri in una situazione di bilanciamento dei rapporti.
Secondo la teoria dei vantaggi compensativi quindi è lecito portare un vantaggio ad una delle imprese del gruppo se va a compensare gli interessi generali. Questo perché viene considerato che un soggetto come un direttore generale di una delle società del gruppo è tenuto a perseguire come priorità l’interesse della società specifica per cui lavora.
In questo senso quindi se sussiste un reato di questo genere in un gruppo di imprese, va tenuto conto del caso specifico e dalla visione generale delle imprese. Per valutare se un reato sussista o meno vanno verificati diversi comportamenti e azioni nel tempo. Vanno quindi analizzati i singoli interessi delle società rispetto a quelli del gruppo, per verificare effettivamente l’applicazione di un reato o meno.
Pena
E’ prevista la reclusione da sei mesi a tre anni, se amministratori, direttori generali o liquidatori hanno un interesse in conflitto con quello della società e provocano un danno all’impresa, garantendo a sé o ad un altro soggetto un vantaggio.
Nell’ambito dei reati societari quindi si tratta di uno dei principali casi di illecito compiuto da un soggetto che ha responsabilità gestionali e organizzative dell’impresa. Tuttavia per arrivare a confermare il reato vanno analizzati i punti visti sopra, e va confermata l’effettiva sussistenza di un antagonismo di interessi tra il soggetto coinvolto e la società.
Procedibilità
Il reato di infedeltà patrimoniale, ai sensi del quarto comma dell’art. 2634 c.c., è procedibile a querela. Il bene giuridico protetto
dalla norma in esame è il patrimonio della società nell’ambito della quale si è verificato l’atto di disposizione infedele. La giurisprudenza ha attribuito, inizialmente, solo alla società il potere di querela derivante dalla posizione di persona offesa. In un secondo momento, tuttavia, la Suprema Corte ha stabilito che il diritto di querela spetta al singolo socio che condivide il pregiudizio causato alla società dall’atto di disposizione in ragione della sua partecipazione capitale sociale.
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 57077/2018 ha affermato che:
La persona offesa dal reato che può procedere con la querela pertanto può essere:
- la società;
- il singolo socio;
- il terzo.
L’art. 124 c.p. prevede il termine per proporre la querela. Tale termine è di “tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato“. La tesi prevalente ritiene che il giorno in cui il fatto che costituisce reato è conosciuto dalla società coincida con il momento in cui l’assemblea dei soci viene a conoscenza del fatto. E’ quindi la data in cui viene convocata l’assemblea nel cui ordine del giorno viene discusso sulla responsabilità degli agenti del reato.