Il fenomeno delle false partite IVA è emerso con vigore da tempo, ma negli ultimi anni, soprattutto con l’intensificarsi della mobilità internazionale dei lavoratori e con lo smart working è tornato sicuramente in auge. Per questo motivo è opportuno andare ad esaminare la normativa attualmente in vigore per chiarire dubbi ed incertezze su questo regime sanzionatorio.
Le sanzioni previste per le false partite IVA, ovvero tutte quelle situazioni in cui un soggetto apre partita IVA, non per effettuare una vera e propria attività professionale indipendente, quanto per collaborare stabilmente con un’azienda, mascherando così un contratto di lavoro dipendente, non sono poi così rare in una situazione economica, ove molte imprese cercano espedienti per evitare di instaurare rapporti di lavoro onerosi come quelli relativi al lavoro dipendente.
Considerate le molte domande che ci arrivano su questo argomento, ho deciso di prendere un quesito pervenutoci dai nostri lettori, per offrire una risposta generale ed omogenea sull’argomento, in modo da cercare di chiarire tutti i dubbi sul queste particolari fattispecie. Questo il quesito che ci è arrivato:
Messaggio: |
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“Siamo un’azienda di medio grandi dimensioni che si serve di collaborazioni esterne in modo abituale. Ci è capitato di avviare qualche collaborazione con soggetti che collaborano con noi tramite partita Iva. Siamo consapevoli del fatto che questi soggetti non effettuano attività di lavoro autonomo, ma collaborano esclusivamente con la nostra azienda. Abbiamo il timore di poter essere sanzionati per la falsa partita Iva del lavoratore. Quali sono i principali oneri aggiuntivi a carico di aziende e lavoratori, tenuti a dimostrare la liceità di propri contratti già in essere? Ci sono accorgimenti e cautele da intraprendere? grazie“ |
Indice degli Argomenti
La problematica delle false partite IVA in Italia
Le false partite IVA comprendono tutti quei rapporti di lavoro che, pur essendo inquadrati nell’ambito del lavoro autonomo, con un contratto d’opera, in realtà celano, operativamente, delle forme di collaborazione subordinata (tipica del lavoro autonomo). In relazione a questo tipo di problematica, spesso incentivata dagli stessi datori di lavoro, ha deciso di intervenire con una disciplina sanzionatoria. Attraverso la Legge n. 92/2012, il legislatore, in ragione di questo, ha voluto inserire una presunzione legale relativa che, al sussistere di determinati indici e in assenza di prova contraria, riqualifica il rapporto di lavoro autonomo con partita IVA in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ai sensi degli articoli 61 e 69 del D.Lgs. n. 276/2003.
Onere della prova a carico dell’azienda
La presunzione legale relativa determina un’inversione dell’onere della prova, costringendo il committente (azienda) a dover superare la presunzione medesima dimostrando l’inesistenza degli elementi della continuità e del coordinamento dell’attività lavorativa. In assenza della prova, l’organo ispettivo in via amministrativa o il giudice in via giudiziaria possono procedere alla riqualificazione del rapporto di lavoro in essere con tutte le conseguenze sanzionatorie. Resta ferma la possibilità per gli organi di vigilanza o per il lavoratore di applicare il regime probatorio ordinario qualora non operi la presunzione.
La presunzione citata non opera per tutte quelle prestazioni caratterizzate da elevate competenze teoriche o capacità tecnico-pratiche e da un redditività minima fissata per legge, né per tutte quelle svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richieda l’iscrizione ad un ordine professionale ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati così come individuati da apposito decreto 20 dicembre 2012. La denominazione attribuita al rapporto di lavoro non assume un rilievo decisivo in quanto la qualificazione del rapporto medesimo deve essere determinata dalle sostanziali modalità di svolgimento della prestazione. Le critiche a tale norma sono numerose ed in questi anni molte aziende hanno deciso di fare a meno di determinati collaboratori autonomi per non ricadere nella presunzione legale.
False partite IVA: risvolti operativi
Il lavoro autonomo “puro“, inquadrato spesso con la locuzione “lavoro con partita IVA“, si manifesta attraverso una delle seguenti forme:
- Contratto d’opera (articoli 2222 e segg. codice civile);
- Contratto d’opera intellettuale (articoli 2230 e segg. codice civile).
Caratteristica fondamentale è l’assoluta autonomia operativa ed organizzativa. Infatti, il prestatore di lavoro autonomo decide autonomamente i tempi, le modalità e i mezzi necessari per l’esecuzione della prestazione, non è sottoposto al potere direttivo, organizzativo, disciplinare e di controllo del committente ed opera senza alcun coordinamento con l’attività del committente stesso.
Il legislatore ha previsto che alcuni modelli contrattuali siano esentati dall’obbligo di identificare uno specifico progetto ovvero:
- Agenti e rappresentanti di commercio;
- Professioni intellettuali che prevedano l’iscrizione in appositi albi professionali;
- Componenti degli organi di amministrazione e di controllo delle società (ad esempio, amministratori, sindaci, revisori);
- Partecipanti a collegi e commissioni;
- Coloro che percepiscano pensioni di vecchiaia;
- Collaborazioni svolte nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni;
- Rapporti svolti in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione riconosciute dal CONI, come individuate e disciplinate dall’articolo 90 della Legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Sono altresì escluse dall’obbligo dello specifico progetto le collaborazioni occasionali.
Il lavoro subordinato
Il lavoratore subordinato è definito dall’art. 2094 c.c. come “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore“. La caratteristica fondamentale è il vincolo di subordinazione ovvero l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione dell’autonomia ed inserimento del lavoratore medesimo, in modo stabile, nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
Alcuni indici rappresentano un indizio della sussistenza della subordinazione ovvero la ripetitività e la misura fissa della retribuzione, la previsione di un orario di lavoro, la necessità di richiedere i permessi e di giustificare le assenze e l’assenza di rischi in capo al lavoratore.
Il lavoro autonomo
La Legge n. 92/2012, come premesso, ha previsto una presunzione relativa in forza della quale le prestazioni svolte da persona titolare di partita IVA sono considerate, in presenza di determinati indici e in assenza di prova contraria, rapporti di lavoro dipendente. La riqualificazione del rapporto con partita IVA in lavoro dipendente comporta l’applicazione della relativa normativa con il rischio di vedere convertire il rapporto in essere in lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Questo è quanto prevede l’articolo 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003 introdotto dall’art. 1, comma 26, della Legge n. 92/2012. La normativa ha subìto alcune modifiche da parte dell’art. 46-bis del D.L. n. 83/2012, convertito nella Legge n. 134/2012 e alcune integrazioni dal D.M. 20 dicembre 2012 del Ministero del lavoro. Quest’ultimo ha, altresì, fornito i primi chiarimenti sulla nuova disciplina con la Circolare n. 32 del 27 dicembre 2012. Con la Circolare n. 32 del 27 dicembre 2012, il Ministero del lavoro ha precisato che i primi controlli su questo tipo di fattispecie sono partiti da luglio 2014.
Le piccole imprese individuali
Il Ministero del lavoro, pur escludendo dall’ambito applicativo della norma i soggetti societari, ritiene che le nuove disposizioni siano applicabili non solo ai lavoratori autonomi professionali privi di un’organizzazione imprenditoriale, ma anche ai soggetti organizzati in forma di piccola impresa individuale. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha confermato che la normativa non trova applicazione per le prestazioni rese da lavoratori titolari di partita IVA in favore delle Pubbliche Amministrazioni.
False partite IVA e presunzione legale
L’art. 69-bis del D.Lgs. n. 276/2003, salvo prova contraria del committente, stabilisce che le prestazioni effettuate da persone con partita IVA sono riqualificate come rapporti di lavoro dipendente (false partite IVA) qualora ricorrano almeno due delle seguenti condizioni:
- La collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva a 8 mesi annui per 2 anni consecutivi (lett. a – criterio temporale);
- Il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi, costituisca più dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di 2 anni solari consecutivi (lett. b – criterio del fatturato);
- Il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente (lett. c – criterio organizzativo).
False partite IVA: criterio temporale
Con riferimento al criterio temporale, il Ministero del Lavoro con la Circolare n. 32/2012 ha chiarito che il requisito temporale è all’anno civile. Il periodo oggetto di analisi deve essere almeno pari a 241 giorni, anche non continuativi. Ai fini dell’accertamento del Ministero del lavoro, assume rilievo qualsiasi documento in grado di fornire informazioni, anche indirette, sulla durata dell’attività svolta come, ad esempio, lettere di incarico o fatture in cui è indicato l’arco temporale di riferimento della prestazione professionale. Tra l’altro, in fase di verifica, l’organo ispettivo può utilizzare anche testimonianze di terzi.
False partite IVA: criterio del fatturato
Con riferimento al criterio del fatturato, che si basa su una percentuale e non su una cifra fissa, il Ministero del lavoro, sempre con la citata Circolare, ha precisato che sono da considerare solo i corrispettivi fatturati (non interessa l’incasso) con la partita IVA nei confronti di un medesimo committente o di più soggetti giuridici riconducibili ad un unico centro d’imputazione di interessi. La norma fa riferimento ad un arco temporale pari a due anni solari consecutivi, ossia a due periodi di 365 giorni che non necessariamente devono coincidere con l’anno civile. Il computo deve avvenire retroattivamente rispetto alla data in cui si invochi l’esistenza del presupposto in questione.
Ad ogni modo, qualora si intenda far valere tale condizione unitamente alla precedente, il Ministero del lavoro ritiene che il criterio dell’anno civile attragga necessariamente anche il criterio reddituale. Invece, nel caso in cui si voglia far operare tale criterio con quello della postazione fissa, occorre fare riferimento al biennio solare esattamente precedente.
False partite IVA criterio organizzativo
Con riferimento al criterio organizzativo, il Ministero del lavoro ha confermato che tale condizione si verifica quando, negli archi temporali in precedenza individuati, il prestatore può usufruire di una postazione nei locali del committente senza averne un uso esclusivo e indipendentemente dalla possibilità di utilizzare qualunque attrezzatura necessaria allo svolgimento dell’attività .
Prova contraria a carico del committente
In presenza di una presunzione relativa, è ammessa la prova contraria da parte del committente. La Circolare del Ministero del lavoro n. 32/2012 non ha chiarito se la prova contraria possa essere fornita anche dal titolare di partita IVA. La prova deve dimostrare l’inesistenza degli elementi della continuità e del coordinamento. In buona sostanza, la partita IVA deve dimostrare che la propria attività è professionale e quindi non legata alla direzione o al coordinamento altrui.
Deroghe rispetto alle false partite IVA
La presunzione di lavoro dipendente “mascherato” da partita IVA non opera ai sensi dell’art. 69-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 al verificarsi di delle seguenti esimenti:
- Qualora la prestazione sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico/pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività ;
- Qualora la prestazione sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo lordo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini previdenziali ovvero euro 18.662 (importo che aumenta di anno in anno).
Il Ministero del lavoro ha chiarito che la presunzione non opera se sono verificate entrambe le due condizioni esposte.
False partite IVA e iscrizione ad albi professionali
La presunzione in commento, inoltre, non opera in presenza di prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richieda l’iscrizione ad un ordine professionale ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati, dettando specifici requisiti e condizioni. Con apposito decreto del 20 dicembre 2012, il Ministero del lavoro ha fornito apposito elenco delle prestazioni che consentono la disapplicazione della normativa in esame. Nel caso in cui qualche attività non sia prevista nell’elenco, l’art. 2, comma 1, del predetto Decreto consente di individuare se l’appartenenza ad un determinato registro, albo, ruolo o elenco consenta di derogare alla nuova disposizione. In sostanza, non è riconosciuta la deroga in tutti i casi in cui l’iscrizione abbia una mera funzione di pubblicità dichiarativa e, quindi, avvenga sulla base della sola richiesta dell’interessato, senza che sia previsto alcun controllo circa la sussistenza di requisiti e condizioni.
Con riferimento alle due condizioni sopra esposte, il legislatore ha voluto consentire la deroga solo a fronte di “significativi percorsi formativi” e di “rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività ” e ha fissato un limite reddituale minimo che è pari ad euro 18.662,50, dato dalla moltiplicazione per 1,25 del reddito minimo imponibile stabilito per il calcolo del contributo IVS dovuto da artigiani e commercianti in tale anno, pari ad euro 14.930.
È interessante notare come, per tale condizione, il legislatore abbia utilizzato un criterio reddituale e non di corrispettivo conseguito. Il Ministero ha puntualizzato che il reddito è al lordo delle ritenute fiscali e deve farsi riferimento esclusivamente all’attività di lavoro autonomo, con esclusione di ogni altro reddito derivante sia da prestazioni di lavoro subordinato sia da prestazioni di lavoro accessorio.
Certificazione delle competenze
In particolare, in merito alla formazione, il Ministero del lavoro con la Circolare n. 32/2012 ha fornito interessanti suggerimenti in attesa che sia reso definitivo un sistema puntuale di certificazione delle competenze. In attesa di ciò, il Ministero ha chiarito che il «grado elevato» e le «rilevanti esperienze» sono dimostrabili mediante:
- Il possesso di un titolo rilasciato al termine del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione (sistema dei licei e sistema dell’istruzione e formazione professionale);
- Il possesso di un titolo di studio universitario (laurea, dottorato di ricerca, master post-laurea);
- Il possesso di qualifiche o diplomi conseguiti al termine di una qualsiasi tipologia di apprendistato;
- Il possesso di una qualifica o specializzazione attribuita da un datore di lavoro in forza di un rapporto di lavoro subordinato e in applicazione del contratto collettivo di riferimento. In tale ultima ipotesi, si ritiene tuttavia che solo una qualifica o una specializzazione posseduta da almeno 10 anni possa garantire capacità tecnico-pratiche da «rilevanti esperienze»;
- Lo svolgimento dell’attività autonoma in questione, in via esclusiva o prevalente sotto il profilo reddituale.
In ogni caso, per poter essere considerati utili ai fini dell’esclusione dal campo applicativo della norma, i certificati, i diplomi e i titoli devono evidentemente essere pertinenti all’attività svolta dal collaboratore.
Conclusioni ed effetti pratici
La riqualificazione di un rapporto di lavoro autonomo con partita IVA in una collaborazione coordinata e continuativa comporta tutta la serie di effetti fiscali e previdenziali previsti dalla norma del contratto ottenuto dalla trasformazione.
Gli organi ispettivi dovranno, in fase di riqualificazione del rapporto di lavoro, redigere il verbale unico di accertamento da trasmettere all’INPS e all’INAIL, per il recupero dei contributi e dei premi e determinare le sanzioni pecuniarie amministrative per i mancati adempimenti. La ratio della norma è chiaro e, pur essendo state apportate delle modifiche al testo originario, il rischio di contenzioso rimane elevato.
Oltre alla corretta predisposizione della documentazione contrattuale e alla conservazione da parte del datore di lavoro dei documenti attestanti le competenze di grado elevato, è consigliabile in situazioni dubbie ricorrere all’istituto della certificazione dei contratti di lavoro ai sensi degli artt. 75 e seguenti del D.Lgs. n. 276/2003. Un contratto previamente certificato produce effetti che devono essere disconosciuti da una sentenza di merito e, soprattutto, non consente agli organi ispettivi di procedere ad una riqualificazione diretta del rapporto in mancanza di detta sentenza. Tra l’altro, in fase di certificazione del contratto, le parti saranno invitate ad esporre proprie valutazioni, valutazioni di cui il giudice dovrà tenere conto prima di disconoscere la certificazione.
Conclusioni e consulenza fiscale
Il fenomeno delle false partite IVA porta, inevitabilmente, il soggetto che intende avviare un’attività di lavoro autonomo ad interrogarsi sulla propria situazione al momento di apertura della partita IVA. Qualunque sia il regime fiscale da te adottato (regime forfettario o contabilità semplificata) è nel momento di avvio dell’attività che devi porti degli interrogativi sull’eventuale problematica. Il tuo obiettivo deve essere quello di capire se il tuo unico obiettivo è quello di rispettare le consegne del contratto d’opera sottoscritto con il tuo committente, oppure se questi è in grado di determinare (modi, tempi, ed obiettivi e luogo di svolgimento del tuo lavoro).
Inoltre, devi capire se vi è un committente principale al quale fatturi la maggior parte dei tuoi proventi nell’anno e capire se si tratta di datore di lavoro residente o non residente in Italia. Individuare tutti questi aspetti spesso non è semplice e per questo potresti aver bisogno dell’ausilio di un dottore Commercialista esperto che possa aiutarti a capire se stai commettendo degli errori. Il mio consiglio è quello di farti assistere nello svolgimento della tua attività da un professionista preparato che possa occuparsi di individuare per te eventuali problematiche in modo da poterti dedicare con serenità allo svolgimento della tua attività di lavoro autonomo.
Se desideri analizzare con dettaglio la tua situazione personale il consiglio che posso darti è quello di seguire il link sottostante e metterti in contatto con me per ricevere il preventivo per una consulenza fiscale personalizzata.