Il lavoro marittimo non si esaurisce nella sola navigazione, anche quando la nave sosta in Italia. A queste conclusioni la sentenza n. 277/2024 della C.G.T. della Toscana, in relazione ai 183 giorni di imbarco del marittimo per ottenere l’esenzione fiscale.
La Corte di Giustizia Tributaria della Toscana ha accolto l’appello di un comandante di yacht accertato dall’Agenzia delle Entrate, riconoscendo l’esenzione fiscale prevista dall’art. 5, comma 5, della Legge n. 88/2001. La sentenza n. 277/2024 del 26 febbraio 2024 ribalta la decisione di primo grado e afferma un principio fondamentale: l’attività marittima non coincide esclusivamente con la navigazione in mare.
Questa vicenda giudiziaria offre spunti importanti per tutti i lavoratori marittimi imbarcati su navi battenti bandiera estera che si trovano ad affrontare contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, soprattutto quando le imbarcazioni sostano stabilmente in acque territoriali italiane.
Indice degli argomenti
- Il caso contestato dall’Amministrazione ed oggetto di contenzioso
- Perché l’Agenzia delle Entrate ha emesso l’accertamento
- La sconfitta in primo grado: la sentenza n. 121/2023
- La vittoria in appello: la sentenza n. 277/2024
- Cosa si intende per “lavoro marittimo” secondo la giurisprudenza
- Quale documentazione ha permesso di vincere in appello
- Considerazioni pratiche
- Consulenza fiscale online marittimi imbarcati su navi battenti bandiera estera
- Fonti
Il caso contestato dall’Amministrazione ed oggetto di contenzioso
Il caso è quello di un comandante imbarcato su uno yacht battente bandiera estera, il quale ha ricevuto un avviso di accertamento dall’Agenzia delle Entrate per omessa dichiarazione dei redditi relativi ad una pregressa annualità. L’Ufficio finanziario contestava al contribuente di non aver dichiarato i compensi percepiti come comandante, ritenendo che non fossero soddisfatti i requisiti previsti dalla normativa speciale per l’esenzione fiscale.
Cos’è l’esenzione per i marittimi imbarcati su navi estere: L’art. 5, comma 5, della Legge n. 88/2001 prevede l’esclusione dalla base imponibile IRPEF dei redditi percepiti dai lavoratori marittimi italiani (o residenti in Italia) imbarcati su navi battenti bandiera estera per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi. Questa norma di interpretazione autentica esclude l’applicazione del sistema delle retribuzioni convenzionali per questa categoria di lavoratori.
Il comandante Segato disponeva di un contratto di lavoro a tempo indeterminato in essere da oltre 11 anni con la società armatrice dello yacht. Nonostante questo elemento e la documentazione prodotta, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il requisito dei 183 giorni di imbarco non fosse stato raggiunto.
Perché l’Agenzia delle Entrate ha emesso l’accertamento
L’attività di accertamento si è basata su una questione centrale: secondo l’interpretazione dell’Ufficio finanziario, lo yacht su cui era imbarcato il comandante sostava stabilmente in acque territoriali italiane. In particolare, la nave rimaneva ormeggiata in porti italiani o si trovava in fase di rimessaggio a secco sul territorio nazionale per periodi prolungati.
L’Agenzia delle Entrate sosteneva che, ai fini del computo dei 183 giorni previsti dalla Legge n. 88/2001, dovessero considerarsi esclusivamente i giorni di effettiva navigazione in mare. Di conseguenza, secondo questa tesi restrittiva, i periodi in cui l’imbarcazione rimaneva ormeggiata in porto italiano o in fase di manutenzione a terra non avrebbero dovuto essere conteggiati come “giorni di imbarco“.
Nella prassi quotidiana, molti yacht di lusso sostano per lunghi periodi in porti del Mediterraneo, inclusi quelli italiani, per manutenzioni programmate, lavori di refitting o semplicemente perché l’armatore decide di utilizzare la nave in acque nazionali. Questo elemento ha portato l’Amministrazione finanziaria ad intensificare i controlli su questa specifica categoria di lavoratori marittimi.
La sconfitta in primo grado: la sentenza n. 121/2023
La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Lucca, con la sentenza n. 121/2023, ha accolto le ragioni dell’Agenzia delle Entrate e respinto il ricorso del comandante. I giudici di prime cure hanno ritenuto che, per poter beneficiare dell’esenzione fiscale prevista dalla normativa speciale, il lavoratore marittimo dovesse “concretamente navigare“.
Secondo l’orientamento della sentenza di primo grado, il requisito dell’imbarco su nave battente bandiera estera andava interpretato restrittivamente. La Corte lucchese non ha riconosciuto validità piena alla documentazione prodotta dal contribuente e ha sostanzialmente equiparato il concetto di “lavoro marittimo” alla sola attività di navigazione.
Questa decisione risultava problematica per diversi motivi. Innanzitutto, ignorava completamente la Circolare n. 207/E del 16 novembre 2000 del Ministero delle Finanze, che aveva già chiarito come nel computo dei 183 giorni dovessero rientrare anche le ferie, i riposi settimanali, le festività e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui vengono trascorsi. In secondo luogo, non considerava che l’attività del comandante di una nave comprende numerosi compiti che si svolgono anche quando l’imbarcazione è ormeggiata o in fase di manutenzione.
La vittoria in appello: la sentenza n. 277/2024
La Corte di Giustizia Tributaria della Toscana, con la sentenza n. 277/2024 depositata il 26 febbraio 2024, ha accolto integralmente l’appello del comandante, ribaltando la decisione di primo grado. Questa pronuncia rappresenta un importante precedente per tutti i marittimi che si trovano in situazioni analoghe.
I giudici d’appello hanno innanzitutto rivalutato la documentazione probatoria presentata dal contribuente, ritenendola idonea a dimostrare l’effettivo superamento della soglia dei 183 giorni di imbarco. In particolare, la Corte ha attribuito valore dirimente al log book (diario di bordo dell’armatore), che attestava con precisione i periodi di presenza del comandante a bordo dello yacht.
Ma l’aspetto più rilevante della sentenza riguarda il principio di diritto affermato. La Corte toscana ha chiarito che il lavoro marittimo non si esaurisce nella mera attività di navigazione, potendo essere qualificata come “lavoro marittimo” anche l’attività prestata dal comandante quando la nave è ormeggiata in porto o si trova in fase di rimessaggio a secco.
La sentenza richiama espressamente le disposizioni del Codice della Navigazione relative ai compiti del comandante, evidenziando come questi debba “di persona accertarsi che la nave sia idonea al viaggio da intraprendere, bene armata ed equipaggiata” e “accertarsi che la nave sia convenientemente caricata e stivata“. Si tratta di attività marittime che vengono necessariamente poste in essere anche in assenza di periodi di navigazione effettiva.
Cosa si intende per “lavoro marittimo” secondo la giurisprudenza
La sentenza n. 277/2024 della Corte toscana offre un’interpretazione evolutiva e sostanziale del concetto di “lavoro marittimo“, superando la visione formalistica che limitava questa attività alla sola navigazione. Secondo i giudici d’appello, il comandante di una nave svolge numerose attività professionali che vanno ben oltre la conduzione dell’imbarcazione in mare aperto.
Le attività del comandante si estendono dalla navigazione vera e propria a tutto quanto necessario in mare o a terra per garantire la sicurezza, l’efficienza e la conformità normativa della nave. Questo include, a titolo esemplificativo:
- Supervisione delle operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria;
- Coordinamento dei lavori di refitting e rimessaggio;
- Verifiche di conformità alle normative marittime e di sicurezza;
- Gestione amministrativa dell’imbarcazione e dell’equipaggio;
- Controllo del caricamento e dello stivaggio;
- Predisposizione della documentazione di bordo.
La sentenza sottolinea inoltre un passaggio fondamentale: il comandante può “calpestare” il suolo dello Stato italiano anche per 365 giorni l’anno, se risulta effettivamente impiegato su un’imbarcazione straniera. L’importante è che sussista il rapporto di lavoro marittimo e che le attività svolte siano funzionali alla gestione della nave.
Questo principio risulta coerente con quanto già chiarito dalla prassi amministrativa nella Circolare n. 207/E/2000, secondo cui nel computo dei 183 giorni rilevano anche i periodi di ferie, festività, riposi settimanali e altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.
Quale documentazione ha permesso di vincere in appello
Un elemento decisivo per l’accoglimento dell’appello è stata la corretta valutazione della documentazione probatoria da parte dei giudici di secondo grado. Mentre la sentenza di primo grado aveva ritenuto insufficienti i documenti prodotti, la Corte toscana ha riconosciuto che il contribuente aveva effettivamente dimostrato il superamento dei 183 giorni di imbarco.
In particolare, tra i documenti ritenuti rilevanti dalla Corte d’Appello figurano:
- Log book (diario di bordo dell’armatore): considerato il documento più dirimente per attestare la presenza effettiva del comandante a bordo della nave nei diversi periodi dell’anno;
- Contratti di lavoro: il contratto a tempo indeterminato in essere da oltre 11 anni ha dimostrato la continuità del rapporto di lavoro marittimo;
- Buste paga: documentazione delle retribuzioni percepite per l’attività di comandante;
- Documentazione giustificativa: ulteriore documentazione atta a dimostrare la mancata presenza continuativa in Italia, come spese sostenute all’estero durante le tratte di navigazione.
Come indicato nel mio articolo sulla tassazione dei lavoratori marittimi, l’onere probatorio per dimostrare il superamento dei 183 giorni di imbarco grava sul contribuente. Per questo motivo, è fondamentale conservare con cura tutta la documentazione che attesti l’effettivo periodo di imbarco, compresi i documenti che dimostrano le attività svolte anche quando la nave non è in navigazione.
Considerazioni pratiche
Nella mia attività di consulenza fiscale internazionale, ho avuto modo di seguire numerosi casi di accertamento nei confronti di lavoratori marittimi imbarcati su yacht battenti bandiera estera. La vicenda in commento rappresenta un caso emblematico che mette in luce alcune criticità ricorrenti nell’approccio dell’Amministrazione finanziaria a questa particolare categoria di contribuenti.
Il problema degli yacht che sostano in Italia
L’intensificazione dei controlli fiscali sui marittimi imbarcati su yacht di lusso deriva principalmente da una circostanza di fatto: queste imbarcazioni, a differenza delle navi mercantili, tendono a sostare per periodi prolungati in porti italiani. Gli yacht frequentano il Mediterraneo, sostano nei cantieri per manutenzioni programmate e spesso rimangono ormeggiati per settimane o mesi in strutture portuali nazionali. Questo elemento ha portato l’Agenzia delle Entrate a presumere che il marittimo, pur lavorando su nave estera, sia di fatto “residente” sul territorio nazionale.
Tuttavia, come correttamente chiarito dalla sentenza d’appello, la sosta della nave in acque territoriali italiane non fa venire meno la qualifica di “lavoratore marittimo imbarcato su nave battente bandiera estera“. Il criterio dirimente rimane il rapporto di lavoro con la società armatrice straniera e l’effettivo svolgimento di attività funzionali alla gestione della nave, indipendentemente dal luogo fisico in cui queste attività vengono svolte.
L’errore interpretativo sulla navigazione
L’interpretazione restrittiva adottata dall’Agenzia delle Entrate e recepita nella sentenza di primo grado – secondo cui i 183 giorni dovrebbero riferirsi solo ai giorni di effettiva navigazione – contrasta palesemente con la ratio della norma e con la prassi amministrativa consolidata. Se si accettasse questa tesi, si arriverebbe a conclusioni paradossali: un comandante imbarcato su una nave in fase di rimessaggio invernale cesserebbe di essere “lavoratore marittimo” per il solo fatto che la nave non naviga?
L’importanza della valutazione preventiva
Suggerisco sempre ai miei clienti marittimi di effettuare una valutazione preventiva della propria posizione fiscale prima che arrivi un eventuale accertamento. Questo permette di verificare la correttezza dell’applicazione del regime di esenzione, di organizzare la documentazione probatoria necessaria e, se del caso, di valutare la presentazione di dichiarazioni integrative o istanze di accertamento con adesione per regolarizzare situazioni dubbie.
La sentenza della Corte toscana rappresenta senza dubbio un precedente positivo, ma ogni situazione va analizzata nel suo contesto specifico. La giurisprudenza tributaria non è sempre uniforme e, in assenza di una pronuncia della Cassazione che cristallizzi il principio, potrebbero emergere orientamenti diversi in altri distretti giudiziari.
La tassazione dei lavoratori marittimi imbarcati su yacht battenti bandiera estera è una materia complessa che intreccia fiscalità internazionale, normativa marittima e prassi amministrativa in continua evoluzione. Il caso commentato evidenzia quanto sia fondamentale una corretta gestione preventiva della posizione fiscale per evitare contenziosi lunghi e costosi. Inoltre, occorre tenere presente che si tratta di una singola posizione di giurisprudenza, e che ancora non si ha la posizione della Cassazione (il tutto rende ancora incerta la situazione di fatto).
Se sei un lavoratore marittimo imbarcato su nave battente bandiera estera e vuoi verificare la tua situazione, posso offrirti:
- Analisi preventiva della posizione fiscale: verifica della sussistenza dei requisiti per l’esenzione e valutazione dei rischi in caso di accertamento.
- Revisione della documentazione probatoria: controllo della completezza e adeguatezza dei documenti necessari a dimostrare i 183 giorni di imbarco.
- Supporto in caso di accertamento ricevuto: assistenza nella fase di contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate e valutazione delle strategie difensive.
- Assistenza per regolarizzazioni spontanee: valutazione dell’opportunità di dichiarazioni integrative o di adesione per situazioni dubbie pregresse.
La vicenda analizzata in questo articolo dimostra che la corretta interpretazione della normativa speciale e la disponibilità di documentazione probante possono fare la differenza tra un accertamento accolto e uno respinto in sede giudiziaria. Non aspettare di ricevere un avviso di accertamento: una consulenza preventiva ti permette di affrontare con serenità eventuali controlli futuri.
Fonti
- TUIR (D.P.R. 917/1986): artt. 2 (residenza fiscale), 3 (tassazione mondiale), 165 (credito d’imposta per redditi esteri)
- Legge 16 marzo 2001, n. 88: art. 5, comma 5
- Circolare del Ministero delle Finanze n. 207/E del 16 novembre 2000
- Risposta ad interpello n. 134/2020
- Risposta ad interpello n. 150/E/2020
- Corte di Giustizia Tributaria della Toscana, sentenza n. 277/2024 del 26 febbraio 2024
- Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Lucca, sentenza n. 121/2023