Attori, sportivi, artisti utilizzano quotidianamente la propria immagine a scopo promozionale, vero brand disposti a pagare per fargli indossare oggetti, marchi o sponsorizzare servizi. Si tratta dello sfruttamento economico del diritto di immagine, che fiscalmente, presenta delle particolari peculiarità che ho riassunto in questo articolo.
Il mondo dello spettacolo ed il mondo dello sport sono accumunati da un elemento in comune, ovvero lo sfruttamento commerciale dell’immagine di attori, artisti e sportivi famosi. Questi personaggi, dietro compenso economico, sono disposti ad utilizzare la propria immagine per promuovere prodotti, servizi o marchi in modo da collegare un’immagine vincente a quella dell’azienda che cerca pubblicità.
Accanto a questo mondo, oggi, assistiamo alla presenza di numerosi personaggi che veicolano la propria immagine anche attraverso canali online sponsorizzando, anche in questo caso, beni servizi o brand, in cambio di denaro. Mi riferisco al fenomeno degli “youtuber” o più in generale degli “influencer“. Anche attraverso i canali online, quindi, avviene lo sfruttamento economico dei diritti di immagine di una persona.
Per questo motivo, considerata l’importanza di questo fenomeno, anche sotto il profilo economico può essere interessante andare ad approfondire i risvolti fiscali di questo tipo di attività. In questo articolo, senza alcuna pretesa di esaustività, ho deciso di andare ad analizzare la disciplina fiscale legata alla tassazione dei proventi legati allo sfruttamento economico del diritto di immagine. Dopo aver analizzato gli aspetti civilistici, vedremo i risvolti fiscali sia ai fini delle imposte dirette che indirette.
Cos’è il diritto di immagine?
Il diritto all’immagine di uno sportivo o di un personaggio dello spettacolo è un diritto personale che protegge l’uso non autorizzato dell’immagine di una persona, inclusi il suo volto, la sua voce e altre caratteristiche distintive. Questo diritto consente a una persona di controllare e limitare l’uso commerciale della propria immagine.
Nel contesto dello sport e dello spettacolo, il diritto all’immagine può avere un grande valore economico. Gli atleti e le celebrità spesso vendono i diritti di utilizzare la loro immagine ad aziende per scopi pubblicitari o promozionali. Questo può includere l’uso dell’immagine di una persona in annunci, su prodotti, in videogiochi, su abbigliamento e in altri contesti commerciali.
Il diritto all’immagine è generalmente protetto dalla legge sulla privacy e dalla legge sul diritto d’autore. Se qualcuno utilizza l’immagine di una persona senza il suo consenso, può essere considerato una violazione del diritto all’immagine e può portare a causa legale. Tuttavia, ci sono alcune eccezioni a questo diritto. Ad esempio, l’uso dell’immagine di una persona può essere consentito per scopi di informazione, per la satira o la critica, o se la persona è una figura pubblica e l’uso dell’immagine è rilevante per il discorso pubblico.
Che cos’è il diritto allo sfruttamento economico della propria immagine?
Lo sfruttamento economico del diritto di immagine riguarda l’uso dell’immagine di una persona per generare profitto. Questo è particolarmente comune nel mondo dello sport e dello spettacolo, dove l’immagine di un individuo può avere un grande valore commerciale.
Gli atleti, gli attori, i musicisti e altre celebrità spesso vendono o concedono in licenza i diritti di utilizzare la loro immagine a terzi. Questo può includere l’uso della loro immagine in pubblicità, su prodotti di consumo, in videogiochi, su abbigliamento e in una varietà di altri contesti commerciali. In cambio, ricevi una forma di compensazione, che può essere una somma forfettaria o una percentuale dei profitti generati dall’uso della loro immagine. Inutile negare, infatti, che l’immagine di un personaggio famoso rappresenti un forte richiamo per moltissime aziende che, consapevoli del valore economico di questa immagine sono disposti a pagare profumatamente per poterla sfruttare.
Ad esempio, un calciatore potrebbe concedere in licenza la sua immagine a un’azienda di videogiochi che produce un gioco di calcio. L’azienda può quindi utilizzare l’immagine del calciatore nel gioco, e il calciatore riceverà una percentuale dei profitti generati dalle vendite del gioco. Gli esempi che si possono fare sono infiniti, fino ad arrivare alle aziende che sponsorizzano “youtuber” ed “influencer” per promuovere oggetti o marchi vari.
Lo sfruttamento economico del diritto di immagine può essere un’importante fonte di reddito per le celebrità. Tuttavia, è importante che gli individui proteggano attentamente i loro diritti di immagine e si assicurino che qualsiasi uso della loro immagine sia autorizzato e conforme ai termini di qualsiasi accordo di licenza.
Il diritto di immagine nella disciplina civilistica
Una volta inquadrata globalmente (e schematicamente) la fattispecie oggetto di indagine andiamo a vedere come, nel codice civile ritroviamo il diritto di immagine. Occorre premettere, infatti, che il diritto all’immagine appartiene alla categoria dei cd. “diritti della personalità“. Andando maggiormente in dettaglio il diritto allo sfruttamento economico della personalità si rifà alla disciplina sul diritto di autore (vedasi sul punto l’art. 10 del codice civile e gli articoli 96 e 97 della Legge n. 633/41). Disciplina, questa che vieta l’esposizione la riproduzione o la vendita del ritratto o dell’immagine della persona senza il suo consenso.
Art. 10 codice civile – Abuso dell’immagine altrui |
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L’articolo 10 del codice civile disciplina l’abuso dell’immagine altrui, imponendo il risarcimento dei danni con la cessazione dell’abuso da parte di colui che espone o pubblica l’immagine, fuori dei casi in cui cui l’esposizione o la pubblicazione sono consentite dalla legge o con pregiudizio al decoro e alla reputazione della persona stessa o dei congiunti. |
Dalla lettera della norma rileva un primo aspetto, particolarmente significativo. Si tratta del fatto che la pubblicazione dell’immagine personale o la sua esposizione è possibile (anche da parte di terzi), liberamente, fino ai limiti concessi dalla legge. Tuttavia, non essendo obiettivo di questa indagine quello di approfondire gli aspetti civilistici, andiamo a vedere gli aspetti contrattuali legati allo sfruttamento dei diritti di immagine.
Come funziona il contratto di sponsorizzazione?
Attraverso il contratto di sponsorizzazione, personaggi noti prestano, non solo la propria immagine, ma, in ipotesi, anche, ad esempio, la propria voce per pubblicizzare un evento che può essere di diversa natura (sportivo, sociale, culturale, ricreativo, etc.) ovvero un prodotto, dietro pagamento, da parte dell’ente o dell’azienda interessati, di un corrispettivo. In tali contratti è abbastanza comune prevedere un’esclusiva almeno limitata al settore merceologico. Ciò significa che potrà essere inserita nel contratto una clausola che obbliga il personaggio famoso che pubblicizza, per esempio, una marca di scarpe, a non sottoscrivere ulteriori contratti di sponsorizzazione con concorrenti della società che l’ha ingaggiato per primo.
La violazione di tali patti, a seconda delle previsioni contenute nel contratto, può comportare la risoluzione dello stesso e può dare luogo ad una richiesta di risarcimento dei danni subiti dalla società che per prima ha ingaggiato il personaggio e che si vede costretta a trovare un altro testimonial. Un dato interessante rileva come, sebbene la tipologia contrattuale utilizzata non sia espressamente disciplinata dal codice civile (e rientri, pertanto, tra i cosiddetti “contratti atipici“), la sua diffusione è comunque davvero molto nota nel mondo di oggi. Sostanzialmente, non volendo entrare nei dettagli di questo tipo di contratto, è a partire da esso che si possono ricavare gli aspetti fiscali legati allo sfruttamento economico dei diritti di immagine.
Un contratto di sponsorizzazione è un accordo legale tra due parti, in cui una parte (lo sponsor) fornisce supporto finanziario o in natura a un’altra parte (lo sponsorizzato) in cambio di visibilità o promozione. In Italia, come in molti altri paesi, i contratti di sponsorizzazione sono comuni in vari settori, tra cui lo sport, l’arte, la cultura e l’intrattenimento.
Ecco come funziona un contratto di sponsorizzazione in Italia:
- Le parti: Lo sponsor è solitamente un’azienda o un’organizzazione che desidera promuovere il proprio marchio o prodotti. Lo sponsorizzato può essere un individuo (come un atleta o un artista), un evento (come un concerto o una gara sportiva), o un’organizzazione (come un club sportivo o un’associazione culturale);
- L’accordo: Il contratto di sponsorizzazione dichiarato i termini dell’accordo tra lo sponsor e lo sponsorizzato. Questo può includere l’importo del sostegno finanziario o in natura fornito dallo sponsor, le modalità di promozione del marchio dello sponsor, la durata dell’accordo e altre condizioni specifiche;
- I diritti e gli obblighi: Lo sponsorizzato si impegna a promuovere il marchio dello sponsor in un modo specificato nel contratto. Questo può includere l’esposizione del logo dello sponsor su abbigliamento o attrezzature, la menzione dello sponsor durante interviste o eventi, o la promozione dello sponsor sui social media. In cambio, lo sponsor fornisce il supporto concordato;
- La legge: In Italia, i contratti di sponsorizzazione sono regolati dal Codice Civile e dalle leggi specifiche relative alla pubblicità e alla promozione. È importante che entrambe le parti rispettino queste leggi durante l’esecuzione del contratto;
- La risoluzione: Il contratto di sponsorizzazione può essere risolto se una delle parti non rispetta i suoi obblighi, o al termine del periodo concordato. In alcuni casi, il contratto può prevedere una clausola di rinnovo automatico.
È sempre consigliabile consultare un avvocato o un professionista del diritto prima di stipulare un contratto di sponsorizzazione, per assicurarsi che l’accordo sia legale e che tuteli adeguatamente i diritti di entrambe le parti.
La tassazione dello sfruttamento economico dei diritti di immagine
Tassazione dei compensi legati allo sfruttamento economico dei diritti di immagine |
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Ai fini delle imposte sui redditi, i compensi derivanti dallo sfruttamento del diritto di immagine devono essere inquadrati tra i redditi di lavoro autonomo (ex art. 53, co. 1 e 54, co. 1-quater del TUIR) o tra i redditi diversi (art. 67 co. 1 lett. l) del TUIR), se non percepiti nell’esercizio di attività commerciali. |
Se guardiamo il diritto di immagine sotto un profilo tributario possiamo notare come l’immagine personale per un artista, un attore o uno sportivo rappresenti un elemento immateriale importantissimo per il raggiungimento dell’attività artistica o professionale. Oggi, infatti, l’immagine di un personaggio noto è in grado di determinare anche la sua attività artistica (es. gli attori vengono scelti anche in base al loro seguito personale). È in quest’ottica che la cessione (spesso in esclusiva) dell’immagine di un personaggio deve classificata da un punto di vista tributario. Infatti, i proventi derivanti dallo sfruttamento economico del diritto di immagine rientrano nelle ipotesi disciplinate dall’art. 54, comma 1-quater del TUIR, legate all’attività di lavoro autonomo, nel presupposto che l’attività artistica sia esercitata per professione abituale secondo quanto previsto dall’art. 53 comma 1 del TUIR. In altre parole, i proventi derivanti dallo sfruttamento economico del diritto all’immagine sono considerati alla stregua di componenti positivi “aggiuntivi” del reddito di lavoro autonomo conseguito dal titolare nell’esercizio dell’attività professionale. Secondo questa disposizione concorrono alla formazione del reddito professionale i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elemento immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale. Detto questo non vi sono dubbi, quindi, sul fatto che tali compensi debbano essere percepiti attraverso la partita IVA, e quindi attraverso l’emissione di fattura.
Il criterio di riferimento, che guida la determinazione del reddito professionale, è quello di “cassa“. Questo vuol dire che il reddito di lavoro autonomo si determina annualmente come differenza tra:
- I ricavi o compensi percepiti dall’attività professionale, comprensiva dei diritti di immagine, e
- Le spese sostenute nel periodo d’imposta.
Tra i compensi che concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo, oltre a quelli in denaro, vi sono anche quelli percepiti in natura (come ad esempio i beni o servizi inviati dalle aziende ai vari personaggi famosi). Questo significa che tali beni (o servizi), ai fini fiscali, sono considerati compensi in natura. Per questo, ai fini fiscali, deve essere identificato il loro valore normale (ex art. 9 del TUIR) per confluire tra i compensi percepiti nell’anno che determineranno il reddito professionale da assoggettare a tassazione.
Criteri di territorialità del reddito
Per quanto riguarda i criteri di territorialità rilevanti per i diritti di immagine in esame, il criterio di collegamento deve essere individuato, in base a quanto stabilito dall’art. 23 comma 1 lett. d) del TUIR per i redditi di lavoro autonomo, avendo riguardo al luogo di svolgimento dell’attività artistica o professionale. Sul punto vedasi la Risoluzione n. 255/E/2009 la quale individua l’Italia come territorialità del reddito in quanto luogo di svolgimento delle riprese del film). A nulla rileva, invece, il luogo in cui è esercitata l’attività di sfruttamento economico del diritto all’immagine. Sui compensi erogati da committente italiano a professionista residente si applica la ritenuta ordinaria, del 20%, ex art. 25, co. 2 del DPR n. 600/73, mentre per il professionista non residente si applica la ritenuta a titolo definitivo del 30%, prevista, dall’art. 25 co. 2 del DPR n. 600/73.
Applicazione della ritenuta di acconto
Qualora il soggetto che eroga i compensi sia fiscalmente residente in Italia, ed assuma la veste di sostituto di imposta, ex art. 23 del DPR n. 600/73, questi è tenuto all’applicazione delle ritenute. In questo caso il compenso corrisposto deve essere assoggettato a ritenuta a titolo di acconto del 20%, all’atto del pagamento. Questo è quanto previsto dall’art. 25, comma 1, del DPR n. 600/73. Allo stesso modo, qualora tali compensi vengano erogati nei confronti di artista o sportivo non residente, è necessario applicare la ritenuta del 30% (riducibile secondo le disposizioni convenzionali ove applicabili), ex art. 25, comma 2, del DPR n. 600/73. In caso di soggetto che erga i compensi non residente in Italia, l’artista o lo sportivo è tenuto ad effettuare l’autoliquidazione dell’imposta dovuta, direttamente in dichiarazione dei redditi. Qualora vi sia applicazione di una ritenuta in uscita nello Stato estero (c.d. “withholding tax“) di erogazione dei diritti di immagine spetta l’applicazione del credito per imposte estere in Italia, ex art. 165, comma 10 del TUIR.
Cessione dello sfruttamento economico del diritto di autore soggetto a tassazione separata
L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 255/E/2009 ha chiarito che qualora l’attività principale dell’artista o dello sportivo non sia riconducibile ad un rapporto di lavoro autonomo o dipendente, si deve fare riferimento agli obblighi di fare non fare o permettere (ex art. 67, comma 1 del TUIR). In questo caso, qualora il contribuente effettui la cessione del diritto di immagine riscuotendo il corrispettivo interamente in un periodo di imposta, il contribuente può scegliere di assoggettare tali importi a tassazione separata. Questo, in quanto si tratta di redditi a formazione pluriennale che, in ragione di una tassazione per “cassa“, rischierebbero di comportare un aggravio eccessivo per il contribuente. Tali importi, nel caso, trovano collocazione all’interno del quadro RM del modello Redditi P.F., in particolare nella sezione II. Questa rimane comunque una opzione, restando ferma la possibilità di tassazione del reddito secondo le aliquote ordinarie IRPEF (quadro RE).
Sfruttamento dei diritti di immagine ad artista estero: disposizioni convenzionali
L’Agenzia delle Entrate è tornata a parlare di sfruttamento economico dei diritti di immagine con la Risposta ad interpello n. 139 del 3 marzo 2021. In questo documento viene confermata l’imposta secondo la quale i corrispettivi percepiti per cessione di elementi immateriali comunque riferibili all’attività professionale od artistica rientrano nel reddito professionale. Infatti, i diritti di sfruttamento e utilizzazione economica del diritto all’immagine dell’artista costituiscono elementi immateriali riferibili all’attività artistica e pertanto i corrispettivi derivanti dalla cessione sono redditi di lavoro autonomo. Il reddito prodotto dall’artista in relazione ai diritti di immagine viene considerato come “strettamente connesso” al reddito professionale. Al fine di individuare l’esistenza di uno “stretto collegamento” è necessario che:
- Lo sfruttamento dell’immagine dell’artista non sia riconducibile ad attività diverse dalla performance artistica, e
- Non esista un processo creativo il cui risultato sia remunerato autonomamente.
Per quanto riguarda gli artisti non residenti il criteri di collegamento ai fini dell’attrazione dei predetti emolumenti nella potestà impositiva dello Stato italiano è quindi costituito dalla circostanza che la prestazione lavorativa sia svolta in Italia (a nulla rilevando il luogo in cui è esercitata l’attività di sfruttamento economico del diritto di immagine). Questo è quanto previsto anche dall’art. 17 del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni. Sul punto il paragrafo 9,5 del Commentario precisa che spesso gli artisti ritraggono, direttamente o indirettamente, una parte sostanziale del compenso nella forma di corrispettivo per l’uso o la concessione in uso dei loro diritti di immagine. La riconducibilità di tali compensi nell’ambito dell’art. 17 della Convenzione dipende dalla connessione degli stessi alla prestazione professionale dell’artista.
La disciplina IVA legata allo sfruttamento economico del diritto di immagine
La disciplina IVA riguardante lo sfruttamento economico del diritto di immagine, riguarda, la necessità di operare professionalmente con partita IVA. In particolare, ai sensi dell’articolo 5 del DPR n. 633/1972, sono soggetti IVA gli artisti e i professionisti che svolgono una qualsiasi attività di lavoro autonomo con carattere di professionalità. Di conseguenza, affinché sussista la soggettività passiva ai fini IVA sono necessarie contemporaneamente due condizioni:
- Un’attività di lavoro autonomo;
- L’esercizio professionale e abituale della stessa.
Dal punto di vista oggettivo, la prestazione posta in essere dall’artista, consistente nella cessione dei diritti di sfruttamento della propria immagine, si configura come una prestazione di servizi rientrante tra quelle indicate nell’articolo 3, comma 2, n. 2, del DPR n. 633/72, quale concessione di diritti similari al diritto d’autore. Appurato quindi che la prestazione dell’artista, consistente nella cessione dei diritti di sfruttamento della propria immagine, rientra nell’ambito dell’applicazione dell’Iva sia sotto il profilo soggettivo che di quello oggettivo, si tratta di esaminare in dettaglio le singole operazioni facenti parte del contratto.
Per la determinazione dell’imposta è, infine, necessario stabilire quale sia la base imponibile e il momento impositivo per la cessione dei diritti di immagine.
Base imponibile | Ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. d) del DPR n. 633/72, occorre rifarsi al valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto delle operazioni permutative (come quelle che riguardano la cessione dei diritti di immagine). Per valore normale dei beni o dei servizi si intende il prezzo mediamente praticato per beni e servizi della stessa specie in condizioni di libera concorrenza con riferimento al medesimo stato di commercializzazione e al luogo e al tempo in cui è stata effettuata l’operazione. |
Momento impositivo | Ai sensi dell’art. 6 del DPR n. 633/72, il co. 3 dispone che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo. Dato che nel caso esaminato il corrispettivo consiste nella costituzione a favore dell’artista del diritto a percepire la prestazione assicurativa, l’Agenzia delle Entrate conclude che il momento di effettuazione della prestazione va individuato nel momento in cui il diritto entra nella disponibilità giuridica dell’artista, vale a dire quando è preclusa alla società contraente la possibilità di indicare un diverso beneficiario della prestazione assicurativa. |
Sfruttamento del diritto di immagine e tax planning
Le “star company” sono società che vengono create da celebrità, spesso atleti o artisti, per gestire e sfruttare economicamente i loro diritti di immagine. Queste società possono essere utilizzate come strumento di pianificazione fiscale internazionale, consentendo alle celebrità di ottimizzare le loro imposte sui redditi derivanti dall’uso commerciale della loro immagine.
Il funzionamento di una “star company” può essere spiegato in questo modo: invece di concedere direttamente i diritti di utilizzo della propria immagine a un’azienda o ad un ente sponsor, la celebrità concede questi diritti alla propria “star company“. Questa società, a sua volta, concede in licenza i diritti di utilizzo dell’immagine alla terza parte. I proventi derivanti dall’uso dell’immagine vengono quindi incassati dalla società, e non direttamente dalla celebrità.
Questo meccanismo può avere diversi vantaggi fiscali. Prima di tutto, le società pagano spesso tasse con aliquote meno elevate rispetto alle persone fisiche. Inoltre, le “star company” possono essere stabilite in paesi con regimi fiscali favorevoli, permettendo di ridurre ulteriormente il carico fiscale. Infine, le spese sostenute dalla società per la gestione e la promozione dell’immagine della celebrità possono essere dedotte dal reddito imponibile.
Tuttavia, l’uso delle “star company” per la pianificazione fiscale internazionale è un argomento controverso e soggetto a una stretta regolamentazione. Lo stesso modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni prevede all’interno dell’art. 17 una apposita clausola antiabuso volta a scoraggiare l’utilizzo di questo tipo di società. Inoltre, in molti paesi le autorità fiscali stanno intensificando i controlli su queste pratiche per prevenire l’evasione fiscale e assicurare che le celebrità paghino la giusta quota di tasse sui loro redditi.
I primi casi scoperti risalgono agli anni 90, con società offshore costituite dagli sportivi in paradisi fiscali. Devi sapere, infatti, che la costituzione di società all’estero in modo fittizio, per l’Italia rappresenta la fattispecie di “esterovestizione” societaria, ex art. 73, comma 5-bis del TUIR.
Consulenza fiscale online
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