Una peculiarità all’interno dei criteri generali di tassazione dei redditi da lavoro dipendente riguarda il personale che opera per conto di ambasciate o consolati. Si tratta di un’attività lavorativa che affascina ed attrae molte persone. Per questo è importante andare ad individuare i criteri di collegamento per la tassazione di questi redditi, che solo in alcuni casi possono essere esenti da imposta. Come vedremo in questo articolo, infatti, non sussiste alcuna esenzione per le retribuzioni dei dipendenti di ambasciate aventi cittadinanza italiana impiegati delle Rappresentanze diplomatiche nel nostro Paese.
Applicazione dei criteri di collegamento nazionali (art. 4, co. 1 DPR n. 601/73) e convenzionali (art. 19 del modello OCSE) per la tassazione dei redditi dei dipendenti di ambasciate e consolati. In generale non sussiste esenzione fiscale per le retribuzioni dei dipendenti di ambasciate estere. L’unico caso di esenzione è dato da soggetti con cittadinanza non italiana impiegati nelle rappresentanze diplomatiche aventi sede in Italia. Vediamo, di seguito le principali informazioni utili su questo tema.
Indice degli Argomenti
- Redditi di dipendenti di ambasciate e consolati: normativa nazionale
- Redditi di dipendenti di ambasciate e consolati: normativa internazionale
- Dipendenti di ambasciate e consolati: condizioni per l’esenzione fiscale del reddito
- L’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria
- Posizione della giurisprudenza per gli accertamenti su dipendenti di ambasciate e consolati
- Consulenza fiscale online
Redditi di dipendenti di ambasciate e consolati: normativa nazionale
La normativa fiscale italiana prevede, come principio generale, la tassazione mondiale dei redditi percepiti da parte dei soggetti ivi fiscalmente residenti. Al contrario, i non residenti fiscalmente sono tassati soltanto per i redditi ivi prodotti. In pratica, l’articolo 3 del DPR n. 917/86 prevede una tassazione “world-wide” per i soggetti fiscalmente residenti in Italia. Al contempo, è prevista una tassazione nel Paese della fonte per i non residenti fiscalmente.
L’assoggettamento ad imposizione fiscale in Italia, è quindi indipendente dalla nazionalità del soggetto. Esso, infatti, dipende esclusivamente dalla residenza fiscale. Tuttavia, questo principio generale di tassazione trova alcune particolari deroghe all’interno sia della normativa fiscale domestica, che all’interno di particolari convenzioni internazionali.
Una particolare deroga a questo principio è quella che riguarda la tassazione dei dipendenti di ambasciate e consolati. In particolare tutti i soggetti impiegati in Rappresentanze diplomatiche all’estero, la disposizione da analizzare è quella contenuta nell’art. 4, co. 1 del DPR n. 601/73:
“i redditi degli ambasciatori e degli agenti diplomatici degli Stati esteri accreditati in Italia che ritraggono nell’esercizio delle proprie funzioni è esente dalle imposte sui redditi“
Il comma 2, dello stesso articolo estende poi l’esenzione alla condizione di reciprocità. Ovvero, l’esenzione per essere applicata deve essere prevista anche nell’altro Stato. Quindi, anche i funzionari Italiani in quello Stato dovranno essere dotati di tale esenzione. Anche in questo caso l’esenzione è condizionata dal fatto che tali soggetti non siano cittadini italiani e che non appartengano alla Repubblica italiana.
Redditi di dipendenti di ambasciate e consolati: normativa internazionale
Tra le normative che si pongono in deroga al principio generale di tassazione dei redditi delle persone fisiche possiamo segnalare:
- La Convenzione di Vienna;
- Il modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni.
La convenzione di Vienna per i dipendenti di ambasciate
La Convenzione di Vienna rappresenta una fonte normativa speciale che deroga alla disciplina nazionale in tema di tassazione delle persone fisiche. In particolare, la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari (del 24.04.1963) è stata ratificata in Italia il 25.06.1969. I commi 1 e 2 dell’articolo 49 della Convenzione di Vienna prevedono:
I funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri della loro famiglia viventi nella loro comunione domestica sono esenti da ogni imposta e tassa personali o reali, nazionali regionali e comunali, eccettuati:
– Le imposte indirette di natura tale che sono ordinariamente incorporate nei prezzi delle merci o dei servizi;
– Le imposte e le tasse sui beni immobili privati situati nel territorio dello Stato di residenza;
– I diritti di successione e di mutazione riscossi dallo Stato di residenza;
– Le imposte e le tasse sui redditi privati, compresi i guadagni in capitale, che abbiano la fonte nello Stato di residenza, e le imposte sul capitale riscosse sugli investimenti fatti in imprese commerciali o finanziarie situate nello Stato di residenza;
– Le imposte e le tasse riscosse a rimunerazione di servizi particolari resi;
– I diritti di registro, di cancelleria, d’ipoteca e di bollo.
– I membri del personale di servizio sono esenti dalle imposte e dalle tasse sulle mercedi che ricevono per i loro servizi
Esenzione da tassazione legata alla cittadinanza del funzionario
La Convenzione di Vienna prevede un’esenzione da tassazione per i funzionari consolari, gli impiegati consolari ed i loro familiari. Tuttavia, tale esenzione è legata alla cittadinanza estera del funzionario rispetto allo Stato dove opera come dipendente di ambasciata o consolato.
Ad esempio, quindi, un cittadino straniero, che lavora alle dipendenze di una ambasciata estera in Italia è esente da tassazione. Questo anche se lo stesso e la sua famiglia sono residenti fiscalmente in Italia.
L’esenzione da tassazione riguarda esclusivamente i redditi percepiti nello svolgimento del proprio incarico di rappresentanza diplomatica. Di contro, non rientrano nel regime di esenzione i redditi derivanti dalla sfera privata. Come ad esempio gli investimenti immobiliari, derivanti da partecipazioni, investimenti finanziari, etc. Questi redditi rimangono sottoposti alla tassazione prevista dalla normativa fiscale domestica.
Il modello di convenzione OCSE per i dipendenti di ambasciate
Nel caso in cui tra lo Stato a cui appartiene la rappresentanza diplomatica e quello di residenza del funzionario vi sia stata la sottoscrizione di una Convenzione contro le doppie imposizioni, il trattamento dei redditi percepiti dal funzionario deve essere conciliato con queste disposizioni.
In particolare, per gli Stati che hanno adottato il modello di Convenzione OCSE è necessario fare riferimento all’articolo 19 rubricato “funzioni pubbliche“. Questa disposizione, alla lettera a) e b) prevede quanto segue:
a) “le remunerazioni pagate da uno Stato ad una persona fisica come corrispettivo per le attività rese nei suoi confronti, possono essere tassate solo in tale Stato”.
b) “tuttavia, tali salari, stipendi e altre remunerazioni analoghe sono imponibili soltanto nell’altro Stato contraente (di residenza) se i servizi vengono resi in detto Stato e la persona fisica è un residente in detto Stato, il quale:
i) abbia la nazionalità di detto Stato e non abbia la nazionalità dell’altro Stato; o
ii) non sia divenuto residente di detto Stato soltanto allo scopo di rendervi i servizi;
a condizione che le disposizioni della clausola ii) non si applichino al coniuge o ai fi gli a carico di una persona fi sica che percepisce remunerazioni cui si applicano le disposizioni della lettera a) e che non rientra nelle ipotesi della clausola (i) o (ii).”
Di fatto questa disposizione vincola la potestà impositiva del reddito percepito dal funzionario di ambasciate e consolati al solo Stato di residenza dell’entità amministrativa che ha erogato il reddito. Tuttavia, la potestà impositiva è esclusivamente dello Stato di residenza qualora i servizi vengano resi in questo Stato ed il funzionario sia residente in questo Stato ed ha la nazionalità di questo Stato e non vi sia residente al solo scopo di rendervi i servizi.
In altre parole, possiamo dire che la norma condiziona la tassazione in Italia dei dipendenti di ambasciate e consolati quando questi:
- È dotato di nazionalità italiana; o
- Non sia divenuto residente nel nostro Paese al solo scopo di rendervi servizi.
Quindi, sostanzialmente il personale italiano che lavora in Italia per ambasciate o consolati esteri, è tenuto a tassare il reddito in Italia. Solo in questo caso i dipendenti di ambasciate estere in Italia possono essere soggetti alla disciplina fiscale italiana, altrimenti vige il criterio generale (di cui alla citata lettera a) di imposizione nel solo Stato dell’entità amministrativa che ha erogato il reddito.
Dipendenti di ambasciate e consolati: condizioni per l’esenzione fiscale del reddito
Da quanto esposto sinora possiamo riassumere alcuni aspetti fondamentali.
- Un cittadino estero, ancorché fiscalmente residente in Italia, non deve scontare le imposte sul reddito corrisposto dalla Rappresentanza diplomatica presso cui è impiegato in Italia. A confermare questo è la predetta Convezione di Vienna del 1963, la Convenzione contro le doppie imposizioni (basata sul modello OCSE), ove esistente (ed al netto di deroghe), ma anche ai sensi della normativa interna italiana, di cui all’art. 4, co. 2, del DPR n. 601/1973;
- Un cittadino italiano, che lavora come dipendente in Italia per una ambasciata estera è soggetto a tassazione Italiana. Tassazione IRPEF dei redditi da dipendente;
- Un cittadino italiano che lavora per l’ambasciata italiana all’estero deve verificare la presenza di convenzioni o normative. Ovvero norme che consentano l’esenzione del suo reddito all’estero.
– | Rappresentanza consolare in Italia | Rappresentanza consolare all’estero |
Cittadino Italiano | Reddito imponibile in Italia | Verificare la presenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni |
Cittadino estero | Esenzione, anche con residenza fiscale in Italia | Verificare la presenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni |
Sostanzialmente, i redditi erogati da una rappresentanza diplomatica estera ad un soggetto fiscalmente residente in Italia, per una prestazione svolta in Italia (nell’ambasciata italiana) sono redditi da considerare imponibili in Italia (a meno che il funzionario non possa essere considerato Rappresentante dello Stato estero). Sul punto vedasi l’interrogazione parlamentare n 05-01715 del 2019.
Dipendenti italiani di ambasciate estere in Italia: considerazioni pratiche
Un aspetto particolare è quello legato ai redditi dei dipendenti italiani di ambasciate estere in Italia. Come visto in precedenza tali redditi sono imponibili in Italia. Quindi, devono essere ivi assoggettati a tassazione.
La particolarità sta nel fatto che l’ambasciata estera in Italia non funge da sostituto di imposta italiano. Quindi, i redditi erogati a questi soggetti sono percepiti al lordo da ritenute fiscali. Questo non significa che tali redditi siano da considerare esenti da tassazione. Infatti, è compito del funzionario italiano presentare autonomamente la dichiarazione dei redditi per il pagamento delle imposte.
Attenzione però. Non si deve dimenticare che l’ambasciata è obbligata ad effettuare ritenute previdenziali in Italia. Per questo tali redditi sono comunque conosciuti all’Amministrazione finanziaria italiana. Infatti, negli ultimi anni le cronache raccontano di molti casi di funzionari italiani che hanno provato a non dichiarare i loro redditi derivanti da lavoro per ambasciate o consolati esteri in Italia. Tuttavia, i risultati ottenuti sono stati scarsi. Per questo occorre prestare molta attenzione alla propria situazione personale.
Gli adempimenti delle ambasciate estere in Italia
Una volta chiariti i criteri di collegamento del reddito dei dipendenti italiani di ambasciate estere è opportuno andare a chiarire quali siano gli adempimenti previsti per le ambasciate. In particolare, in qualità di datori di lavoro, tali soggetti:
- Predispongono il Libro Unico del Lavoro;
- Provvedono al versamento dei contributi – a carico del datore di lavoro e del lavoratore – nei confronti dell’INPS tramite presentazione del modello F24;
- Predispongono ed inviano gli UniEmens;
- Presentano la Certificazione Unica nel rispetto degli ordinari termini, consegnandone copia ai lavoratori;
- Versano i premi all’INAIL per il tramite dell’Autoliquidazione.
Come detto, quindi, dal punto di vista fiscale, la rappresentanza diplomatica non è qualificabile come sostituto d’imposta. Tuttavia, non è in contrasto con le ragioni erariali l’effettuazione, su base volontaria, delle ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dipendenti corrisposti dalle Rappresentanze medesime. In questo caso l’ambasciata può operare le ritenute IRPEF e addizionali regionali e comunali ai sensi dell’articolo 23 del DPR n. 600/73, nel rispetto dell’articolo 51 del TUIR.
L’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria
Periodicamente l’Agenzia delle Entrate effettua controlli nei confronti di dipendenti di ambasciate. Non essendoci sostituti di imposta a trattenere ritenute i dipendenti italiani delle ambasciate devono dichiarare autonomamente il reddito percepito.
Per questo motivo l’Agenzia ogni anno invia lettere di compliance ai funzionari delle varie ambasciate in Italia. I dati dei funzionari da sottoporre a verifica sono scelti in base alle banche dati INPS. Le ambasciate, infatti, sono tenute ad effettuare ritenute previdenziali.
Ritenute che sono oggetto di comunicazione periodica all’INPS. Per questo motivo a fine anno l’Agenzia delle Entrate nella sua banca dati a tutti i dati delle remunerazioni di questi soggetti.
Se vi trovate in uno di questi casi la prima cosa da fare è rivolgervi ad un Commercialista esperto. Insieme a lui potrete analizzare la vostra situazione. In particolare è necessario verificare le vostre funzioni. Solo in base a queste informazioni sarà possibile capire quale normativa applicare.
Caso particolare delle rappresentanze diplomatiche ubicate presso la Santa Sede (Vaticano)
Nei confronti dei lavoratori che prestano la propria attività a favore delle rappresentanze diplomatiche ubicate presso la Santa Sede potrebbe trovare applicazione il regime dei frontalieri. Si tratta di un regime tributario speciale volto a ridurre il carico fiscale, compensando il disagio derivante dal quotidiano spostamento del lavoratore tra due Stati diversi.
In estrema sintesi, possono qualificarsi come frontalieri i lavoratori dipendenti residenti in Italia, che quotidianamente si recano all’estero in zone di frontiera (tra le quali è annoverato lo Stato della Città del Vaticano) o in Paesi limitrofi per svolgere la prestazione di lavoro. Da un punto di vista fiscale il reddito da lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto in zona di frontiera o in altri Paesi limitrofi al territorio nazionale da soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano, concorra alla formazione del reddito complessivo per l’importo eccedente i 10.000 euro. Pertanto, fermo restando il criterio di tassazione mondiale per i lavoratori fiscalmente residenti in Italia, le imposte sono dovute, secondo i normali criteri, per le somme eccedenti la franchigia (di 10.000 euro).
Ad avviso di chi scrive, considerando che, come detto, il legislatore fiscale ha introdotto la franchigia al fine di compensare il disagio del quotidiano spostamento del lavoratore tra due Stati diversi, difficilmente nei casi di specie potrebbe applicarsi una tal disciplina. Infatti, trovandosi le rappresentanze nel territorio italiano e risultando assente, nella maggior parte dei casi, uno spostamento quotidiano nel territorio dello Stato della Città del Vaticano per prestare l’attività lavorativa. Tuttavia, su questo aspetto si attende un chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Posizione della giurisprudenza per gli accertamenti su dipendenti di ambasciate e consolati
Di seguito riportiamo i principali riferimenti di giurisprudenza sul tema, aggiornati periodicamente.
Convenzione di Vienna applicabile anche in caso di doppia cittadinanza del funzionario
La CTG Lombardia è intervenuta con la sentenza n. 684/16/2024 a chiarire la posizione di un’impiegata brasiliana (con doppia cittadinanza anche italiana) del Consolato generale del Brasile in Italia. L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto errato applicare alla contribuente l’esenzione prevista dall’articolo 4 del DPR n. 601/73 che esclude, ai fini IRPEF, i redditi percepiti da “soggetti non cittadini italiani” che svolgono, nel territorio dello Stato, l’attività di consoli, di agenti consolari nonché di impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari di Stati esteri. Tale preclusione sarebbe stata giustificata dalla doppia cittadinanza della contribuente.
I giudici hanno chiarito che avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 49 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari che “rappresenta una fonte normativa speciale che deroga alla disciplina nazionale“. Questo, con la conseguenza che su tali redditi lo Stato italiano non avrebbe potuto chiedere tassazione. Tale articolo, infatti, è applicabile (secondo i giudici) anche “ai cittadini stranieri aventi la doppia cittadinanza, posto che la norma dispone una generale esenzione da ogni imposta e tassa per il personale impiegato presso le rappresentanze diplomatiche e non prevede la perdita del diritto all’esenzione nel caso di acquisto di ulteriore cittadinanza“.
La posizione della sentenza è rilevante, in quanto, l’interpretazione dei giudici è quella di far rientrare nell’art. 49 della Convenzione di Vienna, sia cittadini italiani che stranieri, con un’esenzione da tassazione dei redditi percepiti generalizzata.
Esenzione reddituale non applicabile in caso di cittadinanza e residenza fiscale in Italia del funzionario
La sentenza n. 3284 del 17 dicembre 2024 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado Lombardia ha fatto chiarezza sui limiti del regime di esenzione fiscale per il personale consolare stabilito dalla Convenzione di Vienna.
Il caso riguardava una cittadina argentina che, pur avendo inizialmente lavorato presso il Consolato argentino in Italia, aveva acquisito successivamente la cittadinanza italiana. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per omessa dichiarazione di redditi. La contribuente invocava l’articolo 49 della Convenzione di Vienna, che prevede esenzioni fiscali per funzionari e impiegati consolari.
I giudici di primo grado avevano accolto il ricorso della contribuente. Tuttavia, in appello, la Corte ha sottolineato che tali esenzioni si applicano esclusivamente ai soggetti stranieri non residenti. La decisione ha trovato fondamento nell’articolo 71 della Convenzione di Vienna e nella Convenzione Italo-Argentina del 1949, che regola la tassazione dei redditi derivanti da lavoro consolare.
La Corte ha stabilito che i redditi da lavoro consolare sono tassabili nello Stato ospitante (Italia) se il lavoratore è residente in tale Stato e non vi risiede esclusivamente per svolgere il proprio servizio. Inoltre, il possesso della cittadinanza dello Stato ospitante esclude l’esenzione.
Questa decisione consolida un’interpretazione restrittiva del regime di esenzione, rafforzando la necessità di verificare con precisione lo status fiscale del personale consolare alla luce delle convenzioni internazionali e della normativa nazionale.
Consulenza fiscale online
In questo articolo ho voluto raccogliere le modalità di tassazione dei dipendenti di ambasciate e consolati all’estero, e dei funzionari esteri che prestano la propria attività lavorativa presso amministrazioni estere nel nostro territorio.
Il regime di tassazione prevede una esenzione da tassazione italiana soltanto per i cittadini stranieri che operano su suolo italiano. L’esenzione avviene a patto che vi sia reciprocità di regime di tassazione.
Analizzare la propria situazione in questo contesto potrebbe non rivelarsi così semplice. Se hai bisogno di aiuto nel capire il corretto regime di tassazione nella tua situazione lavorativa contattami. Insieme analizzeremo il tuo caso e sapremo indirizzarti al meglio verso al soluzione migliore al tuo caso.
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