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Web tax: imposta sui servizi digitali

Fisco NazionaleWeb tax: imposta sui servizi digitali

La Digital service tax (imposta sui servizi digitali) si applica nella misura del 3% dei ricavi di società di servizi digitali, i cui ricavi non siano inferiori a 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni derivanti da attività di servizi digitali in Italia.

La Web tax o Digital service tax è un’imposta sui servizi digitali è stata introdotta dalla Legge n. 205/17, successivamente abrogata (dall’art. 1, co. 35-50 Legge n. 145/18 e sostituta dalla Digital service tax.

L’art. 1 co. 678 lett. n) della legge di bilancio 2020 ha introdotto nell’art. 1 della L. 145/2018 il nuovo co. 49-bis, ai sensi del quale:

“i commi da 35 a 49 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono abrogati alla data di entrata in vigore delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali in materia di tassazione dell’economia digitale”

Con questa norma, il legislatore ha voluto enfatizzare e codificare la ratio politica con cui Governo e Parlamento italiano compiono la scelta di introdurre una “imposta sui servizi digitali” di respiro meramente nazionale. Da segnalare le disposizioni attuative (e chiarimenti) contenuti nel provv. Agenzia delle Entrate n. 13185/2021 e nella Circolare n. 3/E/21 dell’Agenzia delle Entrate.

La scelta di istituire una “imposta sui servizi digitali” si colloca infatti nel filone dell’ormai annoso dibattito sulla opportunità di introdurre una “web tax” con la quale “intercettare” i redditi prodotti dalle imprese multinazionali che operano nel settore digitale, nelle more di una più organica riforma, a livello mondiale, dei criteri che sanciscono la localizzazione territoriale dei redditi derivanti da attività digitali.

Non vi è infatti dubbio che la strada per risolvere la questione della territorialità dei redditi derivanti da attività digitali, resa sempre più pressante dall’esponenziale crescita del peso della c.d. “digital economy” rispetto a quello dell’economia tradizionale, rimanga quello di individuare criteri condivisi per una definizione di “stabile organizzazione digitale” che non può chiaramente fondarsi sugli stessi criteri utilizzati per definire la “stabile organizzazione fisica”.

Progetto BEPS e web tax

Nell’ambito del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), l’OCSE ha dedicato al tema della digital economy la prima delle 15 azioni in cui esso si è articolato.

Il fatto stesso che a questa tematica sia stata riservata la prima delle Azioni messe a punto in seno al pacchetto BEPS testimonia come vi sia piena consapevolezza generale e come sia pacificamente condiviso il fatto che la ricomposizione di un’equa tassazione delle imprese hi-tech costituisca uno snodo fondamentale in materia di fiscalità internazionale, seppure ovviamente non l’unico.

Questa generale consapevolezza e pacifica condivisione non ha tuttavia impedito che proprio su questo ambito si consumasse uno scontro politico che vede fortemente contrapposti in particolare gli Stati Uniti da una parte (in quanto Paese di residenza della quasi totalità delle principali multinazionali della digital economy) e la maggioranza dei Paesi membri dell’Unione europea dall’altra (in quanto Paesi nei cui mercati le multinazionali della digital economy conseguono rilevanti profitti senza però che i relativi profitti siano ivi assoggettati a un livello di tassazione effettiva anche solo vagamente adeguato).

La situazione attuale

Nello schema di decreto legislativo recante il Testo unico (TU) dei tributi erariali minori, Atto n. 184 trasmesso il 31 luglio 2024 alle Commissioni per i dovuti pareri, sono confluite anche le disposizioni relative all’imposta sui servizi digitali. Tuttavia, per questa imposta è prevista una sua futura abrogazione. Questo, a fronte dell’approvazione delle disposizioni a livello sovranazionale del c.d. “sistema dei due pilastri” elaborato dall’OCSE. Il gettito sarà, infatti, sostituito da quello a carico delle grandi imprese previsto dal c.d. “Amount A” del Pillar One.

Alcuni Stati, tra cui l’Italia hanno previsto una sostanza neutralizzazione dei prelievi sulla web tax a partire dall’adozione del citato Pillar One dell’OCSE. In pratica l’imposta potrà essere applicata fino all’entrata in vigore delle disposizioni OCSE.

I servizi digitali a cui si applica la Digital service Tax

L’imposta sui servizi digitali (Digital Service Tax) si applica nella misura del 3 per cento sui ricavi derivanti dalla fornitura dei seguenti servizi digitali:

  • Veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia;
  • Messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi;
  • Trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale.

La tassazione ha ad oggetto, pertanto, la pubblicità digitale su siti e social network, l’accesso alle piattaforme digitali, i corrispettivi percepiti dai gestori di tali piattaforme, e anche la trasmissione di dati “presi” dagli utenti.

Affinché un ricavo sia considerato imponibile è necessario che l’utente del servizio digitale sia localizzato nel territorio nello Stato. Per i servizi di pubblicità online, l’utente si considera localizzato nel territorio dello Stato se la pubblicità appare sul proprio dispositivo nel momento in cui è utilizzato nel territorio dello Stato. La localizzazione nel territorio italiano del dispositivo è determinata sulla base dell’indirizzo IP dello stesso.

Quali servizi restano esclusi?

Ai sensi del “nuovoart. 1 co. 37-bis della Legge n. 145/18, sono esclusi dal novero dei servizi sui cui ricavi si applica la Digital service tax:

  • La fornitura diretta di beni e servizi nell’ambito di un servizio di intermediazione digitale;
  • La fornitura di beni o servizi ordinati attraverso il sito web del fornitore di quei beni e servizi, quando il fornitore non svolge funzioni di intermediario;
  • Messa a disposizione di un’interfaccia digitale il cui scopo esclusivo o principale è quello della fornitura agli utenti dell’interfaccia, da parte del soggetto che gestisce l’interfaccia stessa, di contenuti digitali, servizi di comunicazione o servizi di pagamento;
  • Messa a disposizione di un’ interfaccia digitale utilizzata per gestire: i sistemi dei regolamenti interbancari previsti dal testo unico di cui al DLgs. n. 385/93 o di regolamento o di consegna di strumenti finanziari; le piattaforme di negoziazione degli internalizzatori sistematici; le attività di consultazione di investimenti partecipativi e, se facilitano la concessione di prestiti, i servizi di intermediazione nel finanziamento partecipativo; le sedi di negoziazione all’ingrosso; le controparti centrali; i depositari centrali; gli altri sistemi di collegamento la cui attività è soggetta ad autorizzazione e l’esecuzione delle prestazioni di servizi soggetta alla sorveglianza di un’autorità di regolamentazione al fine di assicurare la sicurezza, la qualità e la trasparenza delle transazioni riguardanti strumenti finanziari, prodotti di risparmio o altre attività finanziarie; la cessione di dati da parte dei soggetti che forniscono i servizi indicati nel punto precedente;
  • Svolgimento delle attività di organizzazione e gestione di piattaforme telematiche per lo scambio dell’energia elettrica, del gas, dei certificati ambientali e dei carburanti, nonché la trasmissione dei relativi dati ivi raccolti e ogni altra attività connessa;
  • Servizi infragruppo.

Limiti di fatturato annuali

Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione, ai sensi del vigente articolo 1, comma 36, della legge di bilancio 2019, sono considerati soggetti passivi di imposta gli esercenti attività d’impresa, residenti e non residenti, che, singolarmente o a livello di gruppo, nel corso dell’anno solare precedente a quello in cui sorge il presupposto impositivo realizzano:

  • Un ammontare complessivo di ricavi, ovunque realizzati, non inferiore a 750 milioni di euro.

Qualora, il prestatore del servizio, abbia i requisiti per rientrare all’interno dell’ambito applicativo oggettivo e soggettivo, tuttavia sia un soggetto non residente, privo di stabile organizzazione in Italia e di un numero identificativo ai fini IVA, il co. 43 primo e secondo periodo dell’art. 1 della Legge n. 145/2018 stabilisce che esso debba fare richiesta all’Agenzia delle Entrate di un numero identificativo ai fini dell’imposta sui servizi digitali.

Le modalità saranno stabilite da un apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

Nel caso in cui il soggetto non residente e privo di una stabile organizzazione in Italia, sia stabilito uno Stato diverso da uno Stato membro dell’UE o dello Spazio economico europeo, con il quale l’Italia non ha concluso un accordo di cooperazione amministrativa per la lotta contro l’evasione e la frode fiscale e un accordo di assistenza reciproca per il recupero dei crediti fiscali, tale soggetto non residente deve nominare un rappresentante fiscale per assolvere gli obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’imposta sui servizi digitali.

Gli utenti del servizio

La Digital service tax trova applicazione nel caso in cui l’utente del servizio sia localizzato in Italia nell’anno d’imposta in cui il servizio risulta tassabile.

La localizzazione non corrisponde alla residenza fiscale in quanto un soggetto fiscalmente non residente in Italia, può essere localizzato in Italia, quando ricorrano le condizioni previste dal terzo periodo del co. 40:

  • Servizi di veicolazione su una interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia, l’utente risulta localizzato in Italia se la pubblicità figura sul dispositivo dell’utente nel momento in cui è utilizzato nel territorio dello Stato, per accedere ad un’interfaccia digitale;
  • Servizi di messa a disposizione di una interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni e servizi: se il servizio comporta un’interfaccia digitale che facilita le cessioni di beni o prestazioni di servizi direttamente tra gli utenti, l’utente risulta localizzato in Italia se utilizza un dispositivo in Italia per accedere all’interfaccia digitale e conclude un’operazione corrispondente su tale interfaccia, mentre se il servizio comporta un’interfaccia digitale multilaterale di un tipo diverso da quella di cui al punto precedente, l’utente si considera localizzato in Italia se dispone di un conto per la totalità o una parte del periodo di imposta che gli consente di accedere all’interfaccia digitale e tale conto è stato aperto utilizzando un dispositivo in Italia.
  • Infine, servizi di trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo dell’interfaccia digitale, l’utente si considera localizzato in Italia se i dati generati dall’utente che ha utilizzato il dispositivo in Italia per accedere una interfaccia digitale, nel corso di tale periodo di imposta o di un periodo di imposta precedente, sono trasmessi in detto periodo di imposta.

A quanto ammonta l’imposta sulla Digital service tax?

Ai sensi dell’art. 1 co. 41 della Legge n. 145/2018, come modificato dall’art. 1 co. 678 lett. f) della Legge di bilancio 2020, l’imposta ammonta al 3% e si applica sull’ammontare dei ricavi tassabili realizzati dal soggetto passivo nel corso dell’anno solare.

Il co. 44 dell’art. 1 della Legge n. 145/2018 stabilisce che, ai fini dell’accertamento, delle sanzioni e della riscossione della Digital tax, nonché per il relativo contenzioso, sono le disposizioni previste in materia di IVA ad applicarsi in quanto compatibili.

L’introduzione del nuovo co. 35-bis nell’art. 1 della Legge n. 145/2018, a cura dell’art. 1 co. 678 lett. a) della Legge di bilancio 2020, ai sensi del quale l’imposta si applica sui ricavi derivanti dalla fornitura dei servizi “realizzati (…) nel corso dell’anno solare” sembra indurre a ritenere applicabile il principio di competenza economica.

Sul punto, sono comunque attesi dei chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Calcolo della base imponibile

I ricavi tassabili, ossia la base imponibile su cui si applica l’imposta sui servizi digitali di cui all’art. 1 co. 35 ss. della L. 145/2018, vanno assunti al lordo dei costi e al netto dell’IVA e di altre imposte indirette (co. 39). Il loro ammontare è dato dal prodotto dei ricavi derivanti dai servizi digitali ovunque realizzati per la “percentuale rappresentativa” della parte di tali servizi collegata al territorio italiano (co. 40-ter primo periodo).

Ai sensi dei co. 39-bis e 39-ter dell’art. 1 della L. 145/2018:

  • I corrispettivi versati per la prestazione dei servizi di “messa a disposizione di una interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni e servizi” comprendono l’insieme dei corrispettivi versati dagli utilizzatori dell’interfaccia digitale multilaterale, ad eccezione di quelli versati come corrispettivo della cessione di beni o della prestazione di servizi che costituiscono, sul piano economico, operazioni indipendenti dall’accesso e dall’utilizzazione del servizio imponibile;
  • Non sono considerati i corrispettivi della messa a disposizione di un interfaccia digitale che facilita la vendita di prodotti soggetti ad accisa, quando hanno un collegamento diretto e inscindibile con il volume o il valore di tali vendite.

Percentuale rappresentativa

Ai sensi del secondo periodo dell’art. 1 co. 40-ter della L. 145/201821, la “percentuale rappresentativa” è riconducibile alle seguenti proporzioni:

  • Nel caso di ricavi derivanti da un servizio di “veicolazione su una interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia”, alla proporzione dei messaggi pubblicitari collocati su un’interfaccia digitale in funzione di dati relativi ad un utente che consulta tale interfaccia mentre è localizzato nel territorio italiano;
  • Nel caso di ricavi derivanti da un servizio di “messa a disposizione di una interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni e servizi”:
    • Se il servizio comporta una interfaccia digitale multilaterale che facilita le corrispondenti cessioni di beni o prestazioni di servizi direttamente tra gli utenti, alla proporzione delle operazioni di consegna di beni o prestazioni di servizi per le quali uno degli utenti dell’interfaccia digitale è localizzato nel territorio italiano;
    • Se il servizio comporta una interfaccia digitale multilaterale di un tipo diverso da quella di cui al punto precedente, alla proporzione degli utenti che dispongono di un conto aperto nel territorio italiano che consente di accedere a tutti o parte dei servizi disponibili dell’interfaccia e che hanno utilizzato tale interfaccia durante l’anno solare in questione;
  • Infine, nel caso di un servizio di “trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo dell’interfaccia digitale”, alla proporzione degli utenti per i quali tutti o parte dei dati venduti sono stati generati o raccolti durante la consultazione, quando erano localizzati nel territorio italiano, di un’interfaccia digitale.

Obbligo di tenuta di apposita contabilità mensile

Ai sensi del co. 44-bis dell’art. 1 della L. 145/2018, introdotto dall’art. 1 co. 678 lett. i) della legge di bilancio 2020, i soggetti passivi di imposta devono tenere una apposita contabilità per rilevare, mensilmente, sia le informazioni sui ricavi derivanti dai servizi imponibili, sia le informazioni sugli elementi quantitativi utilizzati per calcolare, a seconda della tipologia dei servizi, le proporzioni da cui discendono i calcoli della c.d. “percentuale rappresentativa” di cui al precedente co. 40-ter.

Quando va effettuato il versamento dell’imposta?

Ai sensi del co. 42 dell’art. 1 della Legge n. 145/2018, come sostituito dalla lett. g) dell’art. 1 co. 678 della Legge di bilancio 2020, il versamento dell’imposta da parte dei soggetti passivi è dovuto entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello con riferimento al quale l’imposta dovuta è stata calcolata.

Ai sensi del co. 42 dell’art. 1 della L. 145/2018, come sostituito dalla lett. g) dell’art. 1 co. 678 della legge di bilancio 2020, il versamento dell’imposta da parte dei soggetti passivi è dovuto entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello con riferimento al quale l’imposta dovuta è stata calcolata.

Inoltre, i soggetti passivi sono tenuti alla presentazione, entro il 31 marzo dell’anno solare successivo a quello con riferimento al quale la dichiarazione viene presentata, della dichiarazione annuale dell’ammontare dei servizi tassabili forniti.

Ulteriori prescrizioni di carattere attuativo ed applicativo potranno essere dettagliate dal decreto di attuazione e dai provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, che renderanno concretamente operativo il nuovo tributo Ai sensi del co. 42 dell’art. 1 della Legge n. 145/2018, come sostituito dalla lett. g) dell’art. 1 co. 678 della Legge di bilancio 2020, il versamento dell’imposta da parte dei soggetti passivi è dovuto entro il 16 febbraio dell’anno solare successivo a quello con riferimento al quale l’imposta dovuta è stata calcolata.

Inoltre, i soggetti passivi sono tenuti alla presentazione, entro il 31 marzo dell’anno solare successivo a quello con riferimento al quale la dichiarazione viene presentata, della dichiarazione annuale dell’ammontare dei servizi forniti.

Conclusioni

L’imposta sui servizi digitali, per come concepita dal Governo nel 2020 è destinata a compire i grandi operatori del mercato digitale. Si tratta, sostanzialmente, di una via interna scelta dall’Italia nel più ampio dibattito aperto nell’OCSE all’interno del progetto BEPS.

Sicuramente è un tentativo apprezzabile, ma potrebbe rivelarsi una soluzione difficilmente applicabile da parte di operatori digitali che, anche in passato, hanno dimostrato in vario modo “reticenza” nei confronti di interventi di singoli stati. Questo significa che, se non vi sarà una scelta sovranazionale condivisa la tassazione dei servizi digitali rimarrà solo teorica.

Oltre a questo deve essere sottolineato che questa disposizione va comunque a rafforzare un’altra disposizione interna particolarmente importante in questo ambito, ovvero la lettera f-bis) dell’articolo 162 del TUIR, relativa alla definizione di stabile organizzazione immateriale.

Se tutto questo non fosse sufficiente a chiarire i tuoi dubbi lascia un commento di seguito. Qualora si tratti di un commento in grado di aumentare il valore del testo per i lettori sarà pubblicato ed avrai la nostra risposta.

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