Contratto di lavoro a tempo determinato: guida completa

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Il contratto a tempo determinato permette assunzioni flessibili ma richiede attenzione a durata, causali e proroghe per evitare trasformazioni automatiche in rapporti indeterminati. Ecco tutto quello che devi sapere per gestirlo correttamente.

Il contratto a tempo determinato rappresenta oggi una delle forme contrattuali più utilizzate in Italia, con oltre 3 milioni di lavoratori assunti con questa formula. La sua diffusione risponde all’esigenza di flessibilità delle imprese, specialmente in settori caratterizzati da stagionalità o picchi produttivi non programmabili. Allo stesso tempo, per i lavoratori può costituire una porta d’ingresso nel mercato del lavoro o un’opportunità per acquisire esperienza professionale in contesti diversi.

Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato che prevede una durata predefinita, con indicazione esplicita di una data di scadenza o di un evento futuro e certo. La durata massima è fissata in 12 mesi senza necessità di giustificazioni specifiche, estendibile fino a 24 mesi complessivi solo in presenza di causali legittime. Può essere prorogato fino a quattro volte entro i 24 mesi e deve sempre risultare da atto scritto, salvo rapporti brevissimi non superiori a 12 giorni.

Quando si può utilizzare il contratto a tempo determinato

Il legislatore ha mantenuto il contratto a tempo indeterminato come forma ordinaria del rapporto di lavoro, mentre il contratto a termine costituisce un’eccezione giustificata da esigenze specifiche. Questa impostazione si riflette nelle norme che regolano l’apposizione del termine, contenute nel Decreto Legislativo n. 81/2015 e successivamente modificate dal Decreto Dignità del 2018 e dal Decreto Lavoro del 2023.

Nei primi 12 mesi di durata complessiva, il contratto a tempo determinato può essere stipulato liberamente, senza obbligo di indicare motivazioni specifiche. Questa fascia temporale si calcola sommando tutti i contratti a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore per mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dalle interruzioni tra un contratto e l’altro.

Quando si superano i 12 mesi ma si rimane entro il tetto massimo dei 24 mesi, diventa obbligatorio indicare almeno una delle causali previste dalla normativa. Le causali legittime sono essenzialmente tre:

  • Esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività oppure esigenze sostitutive di altri lavoratori assenti;
  • Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
  • Specifiche esigenze previste dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali.

Prima di superare i 12 mesi di contratto con lo stesso lavoratore, verifica sempre se il tuo CCNL prevede causali specifiche. Molti contratti collettivi individuano situazioni aggiuntive che permettono maggiore flessibilità, ma devono essere indicate espressamente nel contratto scritto.

Esigenze temporanee o oggettive estranee all’ordinaria attività

La prima causale riguarda situazioni temporanee non legate all’attività ordinaria dell’azienda. Un esempio tipico è l’avvio di una nuova linea produttiva sperimentale o la gestione di un progetto con scadenza definita. Rientra in questa categoria anche la sostituzione di dipendenti assenti per maternità, malattia, aspettativa o altre cause che determinano un’assenza temporanea dal lavoro.

Esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria

La seconda causale si riferisce a picchi produttivi imprevisti che richiedono personale aggiuntivo per periodi limitati. L’elemento chiave è la non programmabilità dell’incremento: se un’azienda sa già a gennaio che avrà bisogno di personale extra ad agosto, difficilmente potrà invocare questa causale perché l’esigenza era prevedibile.

Le principali contestazioni sui contratti a tempo determinato riguardano causali generiche o mal formulate. Formulazioni vaghe come “esigenze organizzative” o “necessità aziendali” vengono quasi sempre respinte dai giudici. Meglio essere specifici: “sostituzione della dipendente Rossi assente per maternità fino al 30 settembre”.

Grazie al Decreto Milleproroghe 2025, fino al 31 dicembre 2025 è ancora possibile individuare le causali direttamente nell’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, anche in assenza di previsioni specifiche nei contratti collettivi. Si tratta di una proroga rispetto alla scadenza originaria del 30 aprile 2024, che offre un margine di flessibilità aggiuntivo alle imprese. Dal 1° gennaio 2026, questa facoltà potrebbe venire meno se non ci saranno ulteriori interventi normativi.

Durata massima e limiti temporali

La disciplina della durata del contratto a tempo determinato si articola su tre livelli temporali progressivi, ciascuno con regole specifiche. Il primo livello riguarda i contratti fino a 12 mesi, il secondo quelli tra 12 e 24 mesi, il terzo le possibili deroghe eccezionali.

Contratti fino a 12 mesi

Per quanto riguarda i contratti fino a 12 mesi, non esiste un obbligo di causale e possono essere stipulati per qualsiasi mansione. La durata può essere raggiunta sia con un unico contratto di 12 mesi sia attraverso una successione di contratti più brevi, purché riferiti a mansioni di pari livello e categoria legale presso lo stesso datore di lavoro. Quando si sommano più contratti, vanno conteggiati anche i periodi di missione in somministrazione a tempo determinato presso lo stesso utilizzatore.

Contratti tra 12 e 24 mesi

Tra i 12 e i 24 mesi di durata complessiva, scatta l’obbligo di indicare una delle causali previste dalla legge o dai contratti collettivi. Questo obbligo vale sia per i contratti inizialmente stipulati con durata superiore a 12 mesi, sia per le proroghe o i rinnovi che portano il rapporto oltre la soglia dei 12 mesi. Se si stipula un contratto di durata superiore a 12 mesi senza causale valida, dalla data di superamento dei 12 mesi il contratto si trasforma automaticamente a tempo indeterminato.

Il tetto massimo dei 24 mesi è invalicabile nella maggior parte dei casi. Superato questo limite, anche di un solo giorno, il contratto diventa automaticamente a tempo indeterminato dalla data di superamento. Non serve una pronuncia del giudice: la conversione è automatica per effetto di legge. I contratti collettivi possono derogare a questa regola, prevedendo durate massime inferiori o superiori, ma nella pratica la maggior parte dei CCNL conferma i 24 mesi come limite.

Il calcolo dei 24 mesi tiene conto di tutti i contratti a termine e delle missioni in somministrazione presso lo stesso utilizzatore, anche se non consecutivi. Un lavoratore assunto per 6 mesi nel 2023, poi riassunto per 10 mesi nel 2024 e nuovamente per 9 mesi nel 2025 avrebbe già totalizzato 25 mesi: il terzo contratto si trasformerebbe automaticamente a tempo indeterminato dal primo giorno, perché si supera il limite dei 24 mesi.

Deroga assistita

Esiste un’ulteriore possibilità, definita “deroga assistita“, che permette di stipulare un contratto a tempo determinato aggiuntivo di massimo 12 mesi anche dopo aver raggiunto i 24 mesi. Questa opzione richiede però che il nuovo contratto venga sottoscritto presso la sede territoriale competente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, alla presenza dei funzionari ispettivi. La procedura è complessa e viene concessa solo in casi eccezionali, quando sussistono effettive esigenze temporanee documentabili.

Fanno eccezione a queste regole le attività stagionali individuate dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963 numero 1525 e dai contratti collettivi. Per questi contratti non si applicano né i limiti di durata né l’obbligo di causali, permettendo una gestione molto più flessibile dei rapporti di lavoro legati a cicli produttivi ricorrenti.

Proroga o rinnovo: differenze e quando scegliere

Proroga e rinnovo sono due strumenti diversi per prolungare il rapporto di lavoro a termine, ma hanno caratteristiche, costi e vincoli differenti. Comprendere questa distinzione è fondamentale per scegliere la soluzione più conveniente caso per caso.

Proroga

La proroga consiste nello spostamento in avanti della data di scadenza del contratto esistente, senza interruzione del rapporto di lavoro. Il contratto rimane lo stesso, cambia solo il termine finale. La proroga richiede sempre il consenso scritto del lavoratore e deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per cui era stato stipulato il contratto originario. Non è possibile, attraverso una proroga, modificare mansioni o inquadramento del lavoratore.

Nei primi 12 mesi di durata complessiva del rapporto, la proroga può essere effettuata liberamente, senza necessità di indicare causali. Quando invece il termine complessivo supera i 12 mesi, la proroga è consentita solo se sussiste almeno una delle causali legittime previste dalla normativa. Il numero massimo di proroghe possibili è quattro nell’arco di 24 mesi, indipendentemente dal numero di contratti sottoscritti. Alla quinta proroga, il contratto si trasforma automaticamente a tempo indeterminato.

Prendiamo un esempio concreto. Un lavoratore viene assunto con contratto a tempo determinato dal 1° gennaio 2025 al 30 giugno 2025, quindi per sei mesi. L’azienda può prorogare liberamente il contratto fino al 30 settembre 2025, poi al 15 dicembre 2025, poi al 31 marzo 2026. Queste tre proroghe portano la durata complessiva a 15 mesi. Una quarta proroga potrebbe estendere il contratto fino al massimo di 24 mesi totali, ma dalla seconda proroga in poi (quella che porta oltre i 12 mesi) serve indicare una causale valida.

Rinnovo

Il rinnovo, invece, implica la stipula di un nuovo contratto dopo la scadenza del precedente. Tra i due contratti deve intercorrere un periodo minimo di interruzione del rapporto di lavoro, chiamato “stop and go” o pausa intermedia. Questo intervallo è di 10 giorni se il contratto precedente aveva durata fino a sei mesi, oppure di 20 giorni se il contratto superava i sei mesi di durata.

Attenzione

Molte aziende cercano di aggirare i limiti sulle proroghe ricorrendo a rinnovi fittizi. Se un lavoratore viene riassunto il giorno dopo la scadenza senza rispettare lo stop and go, oppure durante l’interruzione continua di fatto a lavorare, il secondo contratto si trasforma automaticamente in rapporto a tempo indeterminato. L’Ispettorato del Lavoro verifica anche i badge di accesso e le comunicazioni email per accertare eventuali prestazioni durante la pausa.

Valutazioni di convenienza

Il rinnovo, a differenza della proroga, richiede sempre l’indicazione di una causale, a prescindere dalla durata complessiva raggiunta. Questo perché si tratta di un nuovo contratto e non della prosecuzione del precedente. La causale deve essere specificamente indicata nell’atto scritto di rinnovo, pena la trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato.

Sotto il profilo economico, il rinnovo risulta significativamente più oneroso per il datore di lavoro rispetto alla proroga. A ogni rinnovo si applica un incremento dello 0,5% del contributo addizionale NASPI, che parte da una base dell’1,4% della retribuzione imponibile. Quindi al primo rinnovo il contributo sale all’1,9%, al secondo rinnovo al 2,4%, e così via. Con una retribuzione lorda annua di 25.000 euro, questo significa un costo aggiuntivo di 125 euro al primo rinnovo, 225 euro al secondo, 350 euro al terzo.

La proroga, invece, non determina l’aumento contributivo, mantenendo fisso l’1,4% del contributo addizionale NASPI. Dal punto di vista dei costi, quindi, la proroga è sempre più conveniente del rinnovo. Tuttavia, la proroga ha un limite di quattro volte, mentre non esiste un limite numerico ai rinnovi, purché si rispettino gli stop and go e il tetto massimo di 24 mesi complessivi.

Quando conviene scegliere la proroga?

Principalmente quando si è ancora entro i primi 12 mesi di durata complessiva e non si vuole interrompere la continuità lavorativa. Oppure quando l’esigenza che aveva giustificato il contratto iniziale persiste e serve solo più tempo per completare l’attività. La proroga è anche preferibile dal punto di vista gestionale perché più semplice: basta un accordo scritto con il lavoratore senza necessità di stop and go.

Il rinnovo diventa invece inevitabile quando si sono già esaurite le quattro proroghe possibili ma si è ancora sotto i 24 mesi complessivi. Oppure quando cambia la natura dell’esigenza che giustifica il contratto e serve indicare una causale diversa rispetto al contratto originario. Il rinnovo permette anche di rimodulare alcuni aspetti del rapporto, come l’orario di lavoro o la retribuzione accessoria, cosa impossibile con una semplice proroga.

Forma scritta e requisiti del contratto

Il contratto a tempo determinato deve sempre risultare da atto scritto, salvo l’eccezione dei rapporti di durata non superiore a 12 giorni. L’assenza della forma scritta comporta la trasformazione automatica del contratto in rapporto a tempo indeterminato fin dall’inizio. Non serve una pronuncia giudiziale: la conversione opera direttamente per effetto di legge.

La giurisprudenza ha chiarito che non basta predisporre il contratto scritto: è necessario che il documento sia stato firmato da entrambe le parti e che una copia sia stata effettivamente consegnata al lavoratore. Se il lavoratore non ha mai ricevuto il contratto firmato, anche se era stato informato oralmente dell’apposizione del termine, il contratto si considera a tempo indeterminato. Questa interpretazione rigorosa risponde all’esigenza di tutelare il lavoratore, che deve poter conoscere con certezza i termini del proprio rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di consegnare una copia del contratto scritto al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. La violazione di questo termine non determina la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma espone il datore a possibili contestazioni e rende più difficile dimostrare la validità del termine apposto.

Contenuto del contratto

Il contenuto minimo del contratto scritto deve includere l’indicazione precisa del termine finale. Questo può avvenire in due modi: attraverso l’indicazione di una data precisa di calendario, oppure attraverso il riferimento a un evento futuro e certo. Nel primo caso si scrive ad esempio “il presente contratto terminerà il 31 dicembre 2025″. Nel secondo caso si fa riferimento a un evento il cui verificarsi è certo ma la cui data esatta non è prevedibile, come “il presente contratto terminerà al rientro in servizio della dipendente Rossi attualmente in congedo di maternità“.

Quando il contratto supera i 12 mesi di durata, oppure in caso di rinnovo indipendentemente dalla durata, l’atto scritto deve contenere anche la specificazione della causale che legittima l’apposizione del termine. La causale deve essere indicata in modo sufficientemente dettagliato da permettere di verificarne la sussistenza. Formule generiche come “esigenze organizzative” o “necessità aziendali” sono considerate insufficienti dalla giurisprudenza e comportano la trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato.

Nel contratto devono inoltre essere indicati tutti gli elementi essenziali del rapporto: inquadramento, livello, mansioni, retribuzione, sede di lavoro, orario. Il lavoratore a tempo determinato ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo dei colleghi a tempo indeterminato comparabili, in proporzione al periodo lavorato. Il principio di non discriminazione è tassativo: per le stesse mansioni e lo stesso livello, la retribuzione oraria deve essere identica.

Periodo di prova

Un aspetto spesso trascurato riguarda il periodo di prova. A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge 203/2024, entrata in vigore il 12 gennaio 2025, la durata del periodo di prova nei contratti a tempo determinato è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario dall’inizio del rapporto. In ogni caso, la prova non può essere inferiore a 2 giorni e non può superare: 15 giorni per contratti fino a sei mesi; 30 giorni per contratti tra sei e dodici mesi; la durata prevista dal CCNL per i contratti a tempo indeterminato quando il contratto supera i 12 mesi.

Quando non si può assumere a termine

Il legislatore ha individuato alcune situazioni in cui l’apposizione del termine al contratto di lavoro è espressamente vietata, anche se sussisterebbero le causali legittime. Questi divieti rispondono a esigenze di tutela dei lavoratori e di corretto funzionamento del mercato del lavoro.

Sostituire lavoratori in sciopero

Non è possibile stipulare contratti a tempo determinato per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero. Questo divieto tutela il diritto costituzionale di sciopero, impedendo al datore di lavoro di vanificare l’azione sindacale assumendo personale sostitutivo. La violazione di questo divieto comporta la trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato, oltre a possibili sanzioni amministrative.

Sostituzione a seguito di licenziamenti collettivi

Il secondo divieto riguarda le unità produttive in cui si è proceduto, nei sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi per riduzione di personale che hanno interessato lavoratori adibiti alle stesse mansioni per cui si vorrebbe stipulare il contratto a termine. Il ragionamento alla base di questa norma è semplice: se l’azienda ha dichiarato di avere personale in eccesso procedendo a licenziamenti collettivi, non può poco dopo sostenere di avere bisogno di nuovo personale per le stesse mansioni.

Esistono però alcune eccezioni a questo divieto. È possibile assumere a termine nonostante i licenziamenti collettivi quando il contratto ha durata iniziale inferiore a tre mesi e serve per sostituire lavoratori assenti, oppure quando si assumono lavoratori iscritti nelle liste di mobilità. Queste eccezioni riconoscono che possono esserci esigenze temporanee legittime anche in contesti di riduzione di personale.

Riduzioni dell’orario per cassa integrazione

Il terzo divieto si applica presso unità produttive in cui sono operanti sospensioni del lavoro o riduzioni dell’orario in regime di Cassa Integrazione Guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferirebbe il contratto a tempo determinato. Anche qui il principio è chiaro: se ci sono lavoratori in cassa integrazione per mancanza di lavoro, non ha senso assumere nuovo personale per le stesse mansioni.

Il quarto divieto riguarda i datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della normativa sulla sicurezza sul lavoro. Il Documento di Valutazione dei Rischi è obbligatorio per tutte le aziende che hanno almeno un dipendente. L’assenza di questo documento impedisce qualsiasi assunzione, sia a tempo determinato che indeterminato. La ratio della norma è garantire che la sicurezza sul lavoro sia sempre assicurata prima di assumere personale.

Conseguenze in caso di violazione

La violazione di uno qualsiasi di questi divieti comporta sempre la trasformazione automatica del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato dalla data di assunzione. Si tratta di una sanzione molto pesante, che può avere conseguenze economiche rilevanti per il datore di lavoro, soprattutto considerando che il lavoratore acquisisce anche tutti i diritti connessi al rapporto a tempo indeterminato, inclusa la maggiore tutela contro i licenziamenti.

Limiti quantitativi e soglie percentuali

Il numero complessivo di contratti a tempo determinato che un datore di lavoro può stipulare non è illimitato. La legge prevede un limite percentuale del 20% calcolato sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Se l’attività inizia in corso d’anno, il calcolo si effettua sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato presenti al momento dell’assunzione.

Per le aziende che occupano fino a cinque dipendenti a tempo indeterminato è sempre possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato, indipendentemente dalla percentuale. Quindi un’azienda con tre dipendenti a tempo indeterminato può comunque assumere un lavoratore a termine, superando ampiamente il 20%. Questa deroga riconosce che le micro-imprese hanno necessità di flessibilità particolari.

Calcolo del 20%

Il calcolo del 20% presenta alcune particolarità pratiche. Si arrotonda il decimale all’unità superiore quando è uguale o superiore a 0,5. Un’azienda con 12 dipendenti a tempo indeterminato può assumere fino a 2,4 lavoratori a termine, che arrotondati diventano 2. Con 13 dipendenti a tempo indeterminato, il 20% fa 2,6 che arrotondato diventa 3 lavoratori a termine. Rientrano nel computo dei contratti a tempo determinato anche i lavoratori in somministrazione a termine presso l’utilizzatore.

I contratti collettivi possono prevedere limiti percentuali diversi, sia inferiori che superiori al 20%. Alcuni CCNL stabiliscono limiti più restrittivi, ad esempio il 15%, mentre altri permettono percentuali superiori in presenza di condizioni specifiche. Prima di assumere è sempre opportuno verificare cosa prevede il contratto collettivo applicato in azienda.

Sono esclusi dal limite percentuale diverse categorie di contratti. Non contano nel calcolo i contratti stipulati in fase di avvio di nuove attività per i periodi individuati dalla contrattazione collettiva, i contratti con startup innovative, le assunzioni per sostituzione di lavoratori assenti, le attività stagionali, i contratti per spettacoli o programmi radiofonici e televisivi, i dirigenti. Dal 2023 sono inoltre esclusi dal computo i contratti a tempo determinato con lavoratori assunti con contratto di apprendistato trasformato.

Violazione del limite e conseguenze

La violazione del limite percentuale comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa, ma non la trasformazione dei contratti a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato. La sanzione è progressiva: pari al 20% della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto quando la violazione riguarda un solo lavoratore assunto in eccedenza; pari al 50% della retribuzione quando la violazione riguarda due o più lavoratori assunti in eccedenza.

Per una retribuzione mensile di 1.800 euro, se l’azienda ha un solo lavoratore in eccedenza per sei mesi, la sanzione sarebbe di 2.160 euro. Se i lavoratori in eccedenza fossero tre, sempre per sei mesi, la sanzione salirebbe a 16.200 euro complessivi. Si tratta quindi di importi tutt’altro che trascurabili, che devono indurre a verificare sempre con attenzione il rispetto dei limiti quantitativi.

Prosecuzione oltre la scadenza e maggiorazioni

Quando il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione. L’ammontare della maggiorazione varia in base alla durata della prosecuzione: è del 20% fino al decimo giorno successivo alla scadenza, sale al 40% per ciascun giorno ulteriore.

Questa disciplina rappresenta un incentivo per il datore di lavoro a rispettare le scadenze oppure a regolarizzare tempestivamente la situazione attraverso una proroga scritta o un nuovo contratto. Le maggiorazioni si applicano automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine, anche se la prosecuzione avviene per iniziativa implicita del datore che continua a richiedere la prestazione lavorativa.

Prendiamo un caso concreto. Un lavoratore con retribuzione giornaliera di 80 euro ha un contratto che scade il 30 settembre 2025. Se continua a lavorare fino al 10 ottobre senza formalizzazione, avrà diritto a 80 euro più il 20% per dieci giorni, quindi 960 euro invece di 800 euro. Se la prosecuzione arriva fino al 20 ottobre, ai primi dieci giorni maggiorati del 20% si aggiungono altri dieci giorni maggiorati del 40%, quindi ulteriori 1.120 euro invece di 800 euro. In totale per 20 giorni incasserebbe 2.080 euro invece di 1.600 euro.

Soglie temporali

La prosecuzione di fatto oltre la scadenza non può però protrarsi indefinitamente. Quando supera determinate soglie temporali, il contratto si trasforma automaticamente in contratto a tempo indeterminato. La conversione opera dalla scadenza dei seguenti termini: oltre il trentesimo giorno per i contratti di durata inferiore a sei mesi; oltre il cinquantesimo giorno per i contratti di durata superiore a sei mesi.

Quindi un contratto di quattro mesi che prosegue per 31 giorni oltre la scadenza si trasforma a tempo indeterminato dal trentunesimo giorno. Un contratto di otto mesi che continua per 51 giorni diventa a tempo indeterminato dal cinquantunesimo giorno. La trasformazione è automatica e retroagisce al momento del superamento del termine massimo di tolleranza.

Se ti accorgi che un lavoratore ha continuato a prestare attività oltre la scadenza del contratto, agisci immediatamente. Entro i primi dieci giorni puoi ancora regolarizzare con una proroga scritta retroattiva, evitando problemi. Oltre il decimo giorno le opzioni si riducono e dopo il trentesimo o cinquantesimo giorno (a seconda della durata originaria) il contratto si trasforma irreversibilmente a tempo indeterminato.

Principio di non discriminazione e parità di trattamento

Il lavoratore assunto a tempo determinato ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, in proporzione al periodo lavorativo prestato. Il principio di non discriminazione opera su tutti i fronti: retribuzione base, indennità di contingenza, tredicesima e quattordicesima mensilità, ferie, permessi, trattamento di fine rapporto, accesso alla formazione.

Per lavoratore comparabile si intende un dipendente a tempo indeterminato inquadrato nello stesso livello contrattuale e che svolge le medesime mansioni o mansioni analoghe. Se in azienda non esistono lavoratori a tempo indeterminato comparabili, il parametro di riferimento è quello previsto dal contratto collettivo applicabile. Il trattamento deve essere proporzionato al periodo lavorato: un lavoratore assunto per sei mesi maturerà metà delle ferie annuali spettanti a un collega a tempo indeterminato.

La violazione del principio di non discriminazione comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro. Il lavoratore può inoltre agire in giudizio per ottenere le differenze retributive e normative non corrisposte. La giurisprudenza ha chiarito che la discriminazione può riguardare anche trattamenti economici accessori come buoni pasto, auto aziendale, bonus produttività: se sono riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato, devono essere riconosciuti proporzionalmente anche ai lavoratori a termine.

Come funziona il diritto di precedenza

Il lavoratore a tempo determinato che ha prestato attività lavorativa presso la stessa azienda per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dall’azienda entro i successivi 12 mesi, con riferimento alle mansioni già svolte in esecuzione del rapporto a termine. Questo diritto rappresenta un riconoscimento dell’esperienza acquisita e un incentivo alla stabilizzazione del rapporto.

Il diritto di precedenza può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto. Se questa manifestazione di interesse non arriva, il diritto decade. Una volta esercitato correttamente, il diritto si estingue trascorso un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Il contratto scritto deve contenere espressamente l’indicazione del diritto di precedenza, altrimenti questo non sorge. Si tratta di una formalità essenziale che molti datori trascurano, ma che è richiesta espressamente dall’articolo 24 del Decreto Legislativo 81/2015. In assenza di questa indicazione nel contratto, il lavoratore non può far valere il diritto di precedenza anche se ha lavorato per più di sei mesi.

Trasformazione e conversione in contratto indeterminato

Diverse situazioni possono determinare la trasformazione automatica del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. Conoscere questi casi è fondamentale sia per il datore di lavoro, che deve evitarli, sia per il lavoratore, che può far valere i propri diritti.

La trasformazione opera sempre dalla data di stipulazione del contratto quando manca la forma scritta, salvo i rapporti di durata non superiore a 12 giorni. Non serve un accertamento giudiziale: dalla data di assunzione il rapporto è considerato a tempo indeterminato con tutte le conseguenze del caso.

Si verifica la conversione quando viene superato il limite massimo di 12 mesi in assenza di causali valide. La trasformazione opera dalla data di superamento del dodicesimo mese. Quindi un contratto stipulato per 18 mesi senza causale diventa a tempo indeterminato dal tredicesimo mese in poi.

La conversione scatta automaticamente quando si superano i 24 mesi complessivi di rapporti a termine tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore per mansioni di pari livello. Il superamento può avvenire per effetto di un unico contratto o per sommatoria di più contratti. La trasformazione opera dalla data di superamento dei 24 mesi.

Violazioni dei divieti e superamento limiti

Il contratto diventa a tempo indeterminato quando si viola uno dei divieti previsti dalla legge: sostituzione di scioperanti, assunzioni presso unità produttive con licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti per le stesse mansioni, presenza di lavoratori in cassa integrazione per le medesime mansioni, mancata valutazione dei rischi. In questi casi la conversione opera dalla data di assunzione.

Si trasforma il contratto quando si supera il numero massimo di quattro proroghe nell’arco di 24 mesi. Alla quinta proroga, il rapporto diventa a tempo indeterminato dalla data di decorrenza di tale proroga. Questo vale anche se la quinta proroga era stata prevista per un periodo brevissimo: il meccanismo scatta comunque.

La trasformazione opera quando non si rispettano gli intervalli tra contratti, lo “stop and go”. Se un lavoratore viene riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla scadenza di un contratto fino a sei mesi, o entro venti giorni dalla scadenza di un contratto superiore a sei mesi, il secondo contratto diventa automaticamente a tempo indeterminato. Fanno eccezione le attività stagionali e le sostituzioni.

Il contratto si trasforma quando la prosecuzione oltre la scadenza supera i termini di tolleranza: trenta giorni per contratti inferiori a sei mesi, cinquanta giorni per contratti superiori. La conversione retroagisce dalla scadenza dei termini di tolleranza.

Novità normative 2025 e 2026

Il quadro normativo del contratto a tempo determinato è stato interessato da diverse modifiche negli ultimi anni, con interventi che hanno cercato di bilanciare l’esigenza di flessibilità delle imprese con la necessità di tutelare la stabilità occupazionale dei lavoratori.

Decreto Lavoro 2023

Il Decreto Lavoro 48/2023, convertito in Legge 85/2023, ha introdotto una significativa semplificazione in materia di rinnovi e proroghe. La modifica più rilevante riguarda la possibilità di rinnovare liberamente i contratti a tempo determinato nei primi 12 mesi, senza necessità di indicare causali. In precedenza questa libertà riguardava solo le proroghe, mentre i rinnovi richiedevano sempre una causale. Ora entrambi gli istituti possono operare senza giustificazioni specifiche fino al dodicesimo mese.

Questa novità ha reso molto più semplice la gestione dei contratti brevi. Un’azienda può assumere un lavoratore per sei mesi, farlo lavorare fino alla scadenza rispettando lo stop and go, e poi riassumerlo per altri sei mesi senza dover indicare alcuna causale, purché non si superino complessivamente i 12 mesi. Solo dal tredicesimo mese in poi tornano necessarie le giustificazioni specifiche.

Un altro elemento importante introdotto dalla Legge 85/2023 riguarda il calcolo dei 12 mesi iniziali acausali. Ai fini della verifica del superamento dei 12 mesi, si considerano solo i contratti stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del Decreto Lavoro. I contratti precedenti a quella data non rilevano per il calcolo dei primi 12 mesi senza causale. Questo ha permesso a molte aziende di ripartire da zero con maggiore flessibilità.

Decreto Milleproroghe 2025

Il Decreto Milleproroghe 2025 ha posticipato al 31 dicembre 2025 la possibilità per le parti individuali di individuare autonomamente le causali in caso di assenza di previsioni nei contratti collettivi. Questa proroga riguarda i contratti di durata superiore a 12 mesi ma non eccedente i 24 mesi. In pratica, fino al 31 dicembre 2025 un’azienda può superare i 12 mesi di contratto anche se il suo CCNL non prevede causali specifiche, indicando direttamente nell’accordo individuale le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano il termine.

Dal 1° gennaio 2026, se non ci saranno ulteriori proroghe, questa possibilità verrà meno. Le causali per superare i 12 mesi dovranno essere necessariamente previste dalla contrattazione collettiva di qualsiasi livello. Le aziende il cui CCNL non prevede causali specifiche non potranno più stipulare contratti oltre i 12 mesi, salvo invocare le causali legali generiche di sostituzione o incrementi temporanei significativi e non programmabili.

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