Consiglio di amministrazione nelle società offshore: guida

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Costituire un consiglio di amministrazione all’estero, realmente operativo e composto da soggetti residenti, è fondamentale per evitare l’esterovestizione e rafforzare la legittimità di una società offshore. Ecco perché è un passo cruciale nei processi di internazionalizzazione.

Quando un imprenditore decide di avviare una società offshore, spesso sottovaluta l’importanza concreta della struttura del consiglio di amministrazione estero. Tuttavia, la presenza di un CdA composto da amministratori residenti e realmente attivo all’estero è la chiave per dimostrare che il luogo di localizzazione decisionale e di gestione aziendale è effettivamente fuori dai confini italiani, limitando così il rischio di esterovestizione. Questo è fondamentale per ottenere vantaggi in termini di ottimizzazione fiscale lecita all’interno della pianificazione fiscale internazionale, ma anche per evitare sanzioni e contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate. In questo articolo analizziamo le best practice operative e i riferimenti di prassi, offrendo una panoramica completa per imprenditori e professionisti.

Società offshore: definizione, obiettivi e normativa

Le società offshore, o società estere, sono generalmente costituite in paesi a fiscalità privilegiata o in paradisi fiscali, come le Bahamas, Panama, Barbados, Cayman, dove la tassazione è minima. Molti le scelgono per ridurre il carico fiscale, gestire asset internazionali o garantire riservatezza su beni e operazioni. Tuttavia, le autorità fiscali nazionali e la normativa comunitaria (V direttiva UE antiriciclaggio) puntano a promuovere la massima trasparenza delle informazioni su struttura societaria e beneficiario effettivo. La legalità di queste strutture dipende dalla reale sostanza economica e operativa nel paese estero, non solo dall’aspetto formale (deve essere giustificata la valida ragione economica che ha giustificato l’investimento).

L’esterovestizione: rischio centrale nella delocalizzazione societaria

L’esterovestizione societaria si verifica quando una società, formalmente residente all’estero, è in realtà “gestita” dall’Italia, con conseguente riqualificazione della sua residenza fiscale estera e dei redditi imponibili nel territorio italiano. L’art. 73, comma 3, del DPR n. 917/1986 stabilisce che si considera fiscalmente residente in Italia la società che ha qui la sede dell’amministrazione o la gestione quotidiana in via principale. L’Agenzia delle Entrate, con numerosi interventi ed esempi pratici, evidenzia che la residenza si misura attraverso la sostanza: dove viene presa la decisione aziendale e dove si svolge la gestione corrente.

Questo aspetto è dirimente ogni volta che un’imprenditore intende utilizzare una società estera per gestire un business, soprattutto online, che può dirigere direttamente dall’Italia, senza alcuna sostanza economica all’estero. La problematica si fa molto più rilevante ogni volta in cui all’estero si trova soltanto la sede legale e magari un soggetto che funge da agente, ma non da vero e proprio amministratore. In tutti questi casi, ovvero, dove la gestione delle decisioni quotidiane e l’attività lavorativa viene svolta dall’Italia, senza presenza di strutture amministrative o produttive all’estero, siamo di fronte ad una problematica fiscale che può comportare rischi rilevanti.

Da qui, inevitabilmente, l’importanza di realizzare all’estero una sostanza economica effettiva, con la presenza di un consiglio di amministrazione in grado di prendere decisioni quotidiane, operative e strategiche per l’amministrazione della società. Consiglio, nel quale, a determinate condizioni, può partecipare anche l’imprenditore residente in Italia.

Il consiglio di amministrazione estero: sostanza contro forma

Un consiglio di amministrazione estero, realmente dotato di deleghe operative e composto da soggetti residenti nel paese scelto, non è una formalità ma una necessità. Qualora il CdA sia solo “di facciata”, la società rischia la riqualificazione come esterovestita. La presenza di manager locali che possono sottoscrivere contratti, tenere riunioni, gestire rapporti bancari e partecipare alla governance internazionale rappresenta la migliore tutela operativa.

Un aspetto spesso trascurato è la separazione tra socio e amministratore: la coincidenza delle cariche, soprattutto se ricoperte dalla stessa persona residente in Italia, rappresenta un chiaro indizio di amministratore di fatto e di gestione italiana, rafforzando il rischio di contestazioni. Meglio, quindi, designare amministratori delegati residenti e operativi nel paese estero, con poteri gestionali sostanziali.

L’assetto che maggiormente si riscontra, anche nei gruppo multinazionali, è quello di un consiglio di amministrazione composto, per la maggior parte da componenti residenti nello Stato di ubicazione della società. Questi consiglieri sono, per la maggior parte, dotati di deleghe operative, per poter sostanzialmente operare quotidianamente per conto della società e dimostrare che la gestione amministrativa e quotidiana sono svolte in loco. Tale consiglio di amministrazione, può essere composto anche da soggetti residenti in Italia (come l’imprenditore stesso, ad esempio), ma il numero di questi componenti deve essere inferiore rispetto al numero dei membri del CdA residenti. In questo modo è possibile rispettare la prassi legata alla fittizia residenza estera.

Compliance fiscale internazionale e legislazione antiriciclaggio

L’evoluzione normativa, anche grazie alla V direttiva UE antiriciclaggio (dir. 2018/843) e al recepimento in Italia (D.Lgs. n. 125/2019 che modifica il D.Lgs. n. 231/2007), impone maggiore attenzione al tema della trasparenza societaria, alla individuazione del titolare effettivo e all’adozione di procedure di compliance internazionale. L’identificazione certa e la verifica dei soggetti che detengono poteri di direzione e rappresentanza è obbligatoria. Questo tipo di normativa, indirettamente, attraverso anche lo scambio automatico di informazioni (CRS), possono rappresentare una leva verso possibili accertamenti da parte dell’Amministrazione finanziaria verso posizioni non regolari.

Inoltre, ai fini della tax compliance e per evitare l’applicazione delle disposizioni sulle Controlled Foreign Companies (CFC) (art. 167 TUIR), è necessario che la società dimostri la propria autonomia gestionale e decisionale all’estero. Questo passa anche per la revisione dei bilanci e la tracciabilità dei flussi finanziari attraverso istituti di credito del paese di costituzione.

Scambio internazionale delle informazioni e black list

La crescente adesione agli scambi automatici d’informazione finanziaria (CRS OCSE, FATCA per i rapporti con gli USA) e la presenza delle black list e white list UE rendono sempre più semplice l’individuazione di società offshore fittizie e l’attribuzione di redditi esteri al beneficiario effettivo residente in Italia. Il rispetto delle procedure antiriciclaggio e della normativa comunitaria rafforza l’immagine di serietà e la sostenibilità dell’operazione estera, oltre che la sua legittimità.

Pianificazione fiscale lecita vs. abuso del diritto

Gestire correttamente una società internazionale significa evitare pratiche di abuso del diritto. L’art. 10-bis della legge n. 212/2000 sanziona ogni meccanismo volto a realizzare vantaggi fiscali indebiti tramite strutture societarie solo apparentemente formalizzate all’estero ma prive di reale sostanza economica ed operativa. L’attività di pianificazione fiscale internazionale deve sempre seguire un approccio di ottimizzazione fiscale lecita e mai di elusione.

Per questo, prima di avviare un processo di costituzione di società estera occorre sempre domandarsi se si sta concretamente realizzando un’impresa, nel vero termine della parola, ovvero un business personale. In quest’ultimo caso, la prima problematica è, sicuramente, l’abuso del diritto, che potrebbe sfociare in problematiche più complesse, come l’esterovestizione. Per questo, in caso di accertamento, è necessario valutare quali potrebbero essere le conseguenze a carico dell’imprenditore/amministratore della società offshore.

Le responsabilità del socio amministratore in caso di contestazione di esterovestizione

Quando l’Agenzia delle Entrate contesta l’esterovestizione di una società offshore, le responsabilità che ricadono su soci e amministratori sono molto ampie e possono coinvolgere sia il profilo fiscale che quello civile e penale. Dal punto di vista operativo, è fondamentale comprendere che la responsabilità non è solo formale o limitata alle figure di facciata.

Il prestanome

L’amministratore formale, anche se operativamente passivo (“prestanome”), non è mai completamente esente da responsabilità. Le più recenti sentenze della Cassazione e della giurisprudenza civile e penale hanno chiarito che anche l’amministratore di diritto deve vigilare e impedire violazioni e mala gestio, a pena di una responsabilità concorrente rispetto al manager “di fatto” che prende le decisioni all’ombra. In caso di contestazione di esterovestizione, la prova di una governance solo apparente o di una commistione tra ruolo di socio e consigliere di amministrazione – ad esempio quando il socio residente in Italia esercita di fatto il potere decisionale – espone entrambe le figure a sanzioni rilevanti.

Le responsabilità personali

Il socio-amministratore che ha mantenuto il controllo effettivo dell’azienda pur avendo delegato formalmente la gestione a terzi, può essere chiamato a rispondere per le imposte non versate, per sanzioni amministrative e, nei casi più gravi, anche per reati tributari o per omessa vigilanza (secondo l’art. 40 c.2 c.p.). La posizione si aggrava laddove venga dimostrato che la società estera era priva di reale sostanza economica, che le decisioni venivano prese in Italia e che la società era utilizzata come mera “scatola vuota” per pianificazioni elusive.

Nel caso specifico delle società offshore, la normativa antiriciclaggio (V Direttiva UE recepita dal D.Lgs 125/2019) impone la tracciabilità della figura del titolare effettivo: amministratori di comodo o prestanome rischiano, oltre alle contestazioni fiscali, responsabilità penali in caso di omissioni o condotte funzionali al riciclaggio.

Sul piano operativo, la prevenzione è la miglior tutela: solo una governance trasparente, documentata e realmente operativa all’estero evita che gravino sui soci e sugli amministratori oneri accertativi e sanzionatori difficilmente contestabili in sede di verifica fiscale. È quindi fondamentale curare la documentazione, separare nettamente il ruolo di socio da quello di amministratore, selezionare manager esteri realmente coinvolti e dotati di deleghe e assicurarsi che tutta la gestione decisionale, finanziaria e contrattuale sia coerente con la sede estera della società.

Documentazione utile

Per dimostrare la reale sostanza estera della società estera e della sua governance effettiva, occorre curare i seguenti elementi. Il socio imprenditore residente in Italia è chiamato a conservare documentazione al fine di superare nel migliore dei modi un possibile accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

La documentazione utile, in questi casi, è riassumibile nel modo seguente:

  • Presenza di un consiglio di amministrazione composto prevalentemente da componenti residenti nello Stato di residenza fiscale della società. Si tratta del requisito di base da documentare per dimostrare la sostanza economica della società;
  • Verbali delle riunioni redatti e conservati nel paese estero. Si tratta di dimostrare con evidenze documentali che le principali decisioni strategiche della società sono state svolte dall’estero, con apposite riunioni verbalizzate. Nel caso, in presenza anche del socio componente del CdA italiano;
  • Contratti stipulati e firmati nei locali della sede legale. Dimostrazione del fatto che i principali contratti sono stati firmati e stipulati all’estero (quindi non in Italia);
  • Rapporti bancari operativi nel paese di residenza. L’evidenza deve essere che le movimentazioni bancarie, quindi la delega operativa sul conto, sono di spettanza di un amministratore residente dotato di apposita delega operativa;
  • Coinvolgimento di consulenti locali e gestione della corrispondenza tramite indirizzo estero. Il fatto che la società si interfacci con consulenti locali ed abbia reale corrispondenza in loco aiutano a dimostrarne la reale sostanza economica.

Queste prassi riducono fortemente il rischio di accertamento, contestazione o disconoscimento della residenza fiscale estera da parte dell’Agenzia delle Entrate. È opportuno ricordare che la presenza di un solo elemento documentato non è in grado di garantire il superamento dei controlli. La dimostrazione deve essere legata alla presenza di documentazione su vari punti (meglio se tutti), in modo da avere maggiori garanzie di dimostrazione della bontà dell’operazione e la sua valida ragione economica.

Errori comuni da evitare nella costituzione

Nella pratica occorre tenere presente che i principali errori da evitare assolutamente sono i seguenti:

  • L’amministratore “prestanome: Uno degli errori più frequenti è nominare amministratori esteri che esistono solo sulla carta. Questi soggetti, pur avendo la carica formale, non partecipano mai alle decisioni e non hanno poteri operativi reali. In caso di controllo, questa configurazione è facilmente smascherabile e può portare a gravi conseguenze legali;
  • La gestione “remota” dall’Italia: Molti imprenditori pensano di poter dirigere la società offshore comodamente dall’Italia attraverso videoconferenze e comunicazioni digitali. Questo approccio è rischioso perché non crea la sostanza economica necessaria e può essere facilmente contestato dalle autorità fiscali;
  • Documentazione insufficiente: Sottovalutare l’importanza della documentazione è un errore costoso. Ogni decisione, ogni riunione, ogni operazione significativa deve essere tracciata e conservata nel paese estero per dimostrare la reale operatività locale.

Casi pratici di esterovestizione: esempi concreti

Vediamo adesso un paio di esempi pratici tratti da consulenze reali su questo argomento.

Il caso del consulente IT

Un consulente informatico costituisce una società alle Bahamas per gestire clienti internazionali, mantenendo però l’ufficio operativo e le decisioni strategiche in Italia. Nonostante la sede legale estera, l’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di contestare la residenza fiscale estera per mancanza di sostanza economica locale.

La soluzione potrebbe essere quella di trasferire parte dell’infrastruttura IT all’estero, nominare un amministratore delegato locale con poteri operativi e documentare che le decisioni tecniche e commerciali vengano prese nel paese di costituzione. In Italia non devono essere prese decisioni o svolta attività per conto della società.

Il caso dell’e-commerce

Un imprenditore apre una società a Dubai per vendere online in Europa, ma continua a gestire magazzino, customer service e marketing dall’Italia. La società viene riqualificata come esterovestita perché l’attività principale si svolge in territorio italiano.

La possibile soluzione potrebbe essere quella di creare un vero hub operativo a Dubai con personale locale, amministratori residenti e processi decisionali documentati in loco.

Consulenza fiscale online

Chi intende realizzare una struttura societaria internazionale o offshore deve evitare ogni soluzione “standard” o “fai da te”: è essenziale avvalersi di un consulente esperto di internazionalizzazione e fiscalità internazionale capace di valutare ogni dettaglio, predisporre la governance e validare la sostanza economica della società.

Solo così è possibile utilizzare la società offshore come leva di ottimizzazione fiscale lecita, minimizzando i rischi di contestazione, preservando i vantaggi e rispettando la normativa vigente. Naturalmente, non si tratta di soluzioni adatte per tutti, semplici, o con scarsi budget a disposizione.

Se hai letto questo articolo e ti stai rendendo conto che necessiti dell’analisi della tua situazione personale, ti invito a contattarci attraverso il form di cui al link seguente. Come Dottore commercialista esperto di fiscalità internazionale posso aiutarti a valutare e risolvere i tuoi dubbi su questa materia.

Riceverai il preventivo per una consulenza personalizzata in grado di risolvere i tuoi dubbi sull’argomento, mettendo a disposizione la mia esperienza di ausilio di privati ed imprese. Soltanto in questo modo, infatti, potrai essere sicuro di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.

Consulenza fiscalità internazionale

Domande frequenti

Quanti amministratori deve avere una entità estera?

Non esiste un numero minimo stabilito per legge, ma la prassi consolidata suggerisce almeno 3 consiglieri, di cui la maggioranza deve essere residente nel paese di costituzione della società. Questo assetto garantisce una governance equilibrata e riduce significativamente il rischio di residenza estera fittizia.

Quanto costa mantenere un consiglio di amministrazione estero?

I costi variano in base al paese scelto e al livello di operatività richiesta. Generalmente si parte da 15.000-25.000 euro annui per membro locale qualificato, includendo compensi, assicurazioni professionali e costi di gestione. L’investimento è giustificato dalla protezione legale e fiscale che offre.

Posso essere io stesso amministratore della mia struttura internazionale?

Sì, ma con importanti limitazioni. Come socio-fondatore italiano puoi far parte del consiglio, purché rappresenti la minoranza dei componenti. La maggioranza deve essere composta da residenti esteri con poteri operativi reali e documentabili.

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Federico Migliorini
Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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