La Corte di Cassazione ribadisce che il TFM degli amministratori non segue l’art. 2120 c.c. L'importo deve essere determinato secondo ragionevolezza ed in proporzione alla realtà economica dell’impresa.
La pronuncia Cass. n. 18026/2025 chiude il contenzioso sull’erronea assimilazione tra TFM e TFR, riaffermando che l’indennità di fine mandato degli amministratori è deducibile per competenza solo se prevista da atto scritto con data certa anteriore all’inizio del rapporto e con importo/criterio definito, mentre in difetto si applica il principio di cassa, senza applicazione della formula dell’art. 2120 c.c. pensata per i dipendenti.
Il focus interpretativo si sposta quindi sulla “misura congrua” dell’accantonamento, che la giurisprudenza collega alla dimensione e alla redditività dell’impresa, nonché al ruolo e all’apporto effettivo dell’amministratore, in linea con precedenti consolidati come l’ordinanza n. 28827/2021. L’articolo che segue analizza il ragionamento della Corte, offre un confronto critico con la prassi e propone linee operative per ridurre il rischio di contestazioni sulla congruità degli accantonamenti.
Nessuna analogia tra TFM e TFR
La Corte accoglie il ricorso delle società e annulla gli avvisi, affermando che non esiste norma che imponga di determinare il TFM come il TFR ex art. 2120 c.c., con conseguente inapplicabilità di limiti o formule proprie del rapporto di lavoro subordinato. Viene confermato che, per la deducibilità per competenza delle quote di TFM, occorre un atto scritto con data certa anteriore all’inizio del rapporto che indichi l’importo o un criterio oggettivo, altrimenti vale la deduzione per cassa nell’esercizio di corresponsione. L’enfasi della Corte si concentra quindi sui presupposti formali e sul rifiuto di analogie con il TFR, spostando il baricentro del controllo fiscale sul profilo sostanziale della misura congrua.
Perché cade l’analogia con il TFR
La Suprema Corte richiama un orientamento ormai “granitico”: il TFM degli amministratori non è disciplinato dall’art. 2120 c.c. e non può subirne trapianti interpretativi, pena la violazione dell’autonomia statutaria e della disciplina fiscale specifica per i compensi e le indennità degli organi sociali. In coerenza con la sentenza n. 28827/2021, la quantificazione dell’accantonamento non va commisurata a mensilità “alla TFR”, ma a una valutazione prudenziale delle dimensioni e della realtà economico-aziendale, rispetto alla quale il compenso annuo dell’amministratore è un parametro utile ma non esclusivo. La decisione si allinea inoltre alle recenti pronunce 2025 (es. 16354/2025) che ribadiscono il combinato disposto di art. 105 TUIR e art. 17 TUIR per la deducibilità per competenza delle quote accantonate, in presenza di atto antecedente con data certa e importo/criterio.
Sul piano dei principi, la sentenza appare ineccepibile. L'amministratore opera in un contesto di autonomia gestionale e responsabilità che mal si concilia con la standardizzazione propr...
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