Tassazione crypto al 33% dal 2026: cosa cambia

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La guida completa al nuovo regime: chi paga il 33% (Bitcoin, Altcoin, USDT) e chi resta al 26% (Stablecoin Euro MiCAR). Perché vendere entro il 31 dicembre 2025 ti fa risparmiare il 7% di imposte.

Dal 1° gennaio 2026 le plusvalenze su criptovalute vengono tassate al 33%, con un aumento di 7 punti percentuali rispetto all’attuale 26%. La norma è già in vigore, stabilita dalla Legge di Bilancio 2025, ma sono in discussione emendamenti che potrebbero bloccare l’aumento. Questa guida ti spiega chi paga davvero il 33%, chi resta al 26%, e cosa puoi ancora fare prima della chiusura dell’anno fiscale.

Cosa cambia dal 1° gennaio 2026

La tassazione delle criptovalute ha vissuto una trasformazione radicale negli ultimi tre anni. Per capire cosa succede nel 2026, serve fare un passo indietro e ricostruire la timeline normativa.

Timeline: dalla Legge di Bilancio 2025 ad oggi

La Legge di Bilancio 2023 ha introdotto per la prima volta in Italia una disciplina fiscale specifica per le crypto-attività. Prima di quella data, le plusvalenze venivano inquadrate in modo incerto, con interpretazioni contrastanti. Dal 2023 in poi, i guadagni da cripto-attività rientrano ufficialmente nei “redditi diversi” e vengono tassati con imposta sostitutiva del 26%, con una franchigia di 2.000 euro annui sotto la quale non si pagavano tasse.

La Legge di Bilancio 2025, approvata a fine dicembre 2024, ha cambiato le carte in tavola:

  • Eliminazione completa della franchigia di 2.000 euro dal 1° gennaio 2025;
  • Aumento dell’aliquota dal 26% al 33% dal 1° gennaio 2026.

Questo secondo punto è quello che genera maggiore dibattito. L’aumento al 33% era stato previsto un anno fa e dovrebbe entrare in vigore tra poche settimane, a meno che gli emendamenti in discussione non lo blocchino.

La bozza della Legge di Bilancio 2026, presentata a ottobre 2025, ha confermato l’aliquota al 33% ma ha introdotto una distinzione importante: i “token di moneta elettronica denominati in eurorestano tassati al 26%. Questa eccezione, contenuta nell’articolo 13 della manovra, serve ad allineare il trattamento fiscale degli e-money token regolamentati con quello della valuta fiat, in coerenza con il regolamento europeo MiCAR.

Chi paga il 33% e chi resta al 26%: la distinzione

Non tutte le criptovalute vengono tassate allo stesso modo. La distinzione introdotta dalla Legge di Bilancio 2026 crea due regimi fiscali paralleli, e comprendere la differenza è fondamentale per calcolare correttamente le imposte dovute.

Bitcoin, Ethereum e stablecoin in dollari: tutti al 33%

Tutte le cripto-attivitàclassicheresteranno soggette all’aliquota del 33% dal 2026. Questo include:

  • Bitcoin (BTC);
  • Ethereum (ETH);
  • Altcoin di ogni tipo;
  • Stablecoin ancorate al dollaro USA, come USDT (Tether) e USDC (USD Coin);
  • NFT;
  • Token derivanti da operazioni DeFi.

In pratica, il 99% degli investitori retail italiani che detengono criptovalute pagherà il 33% sulle plusvalenze realizzate dal 1° gennaio 2026 in poi. Non importa se hai comprato Bitcoin anni fa o se lo vendi domani: quello che conta è quando realizzi la plusvalenza. Se vendi oggi, paghi ancora il 26%. Se vendi dal 1° gennaio 2026, paghi il 33%.

Token di moneta elettronica in euro: il 26% è confermato

L’eccezione al 26% si applica esclusivamente ai “token di moneta elettronica denominati in euro“, definiti dall’articolo 3, paragrafo 1, numero 7 del Regolamento UE 2023/1114 (MiCAR). In termini pratici, si tratta di stablecoin ancorate all’euro, emesse da soggetti autorizzati nell’Unione europea, con riserve detenute integralmente in attività denominate in euro presso intermediari regolamentati.

L’esempio più citato è EURC (Euro Coin di Circle), ma rientrano in questa categoria anche altre stablecoin euro conformi a MiCAR. La norma prevede inoltre che la semplice conversione tra euro e token di moneta elettronica denominati in euro non genera plusvalenze o minusvalenze imponibili. In pratica, convertire 1.000 euro in 1.000 EURC e viceversa è fiscalmente neutro.

Attenzione però: se converti Bitcoin in EURC, quella operazione è tassabile al 33%, perché stai realizzando una plusvalenza sul Bitcoin. Solo successivamente, quando convertirai EURC in euro, quella seconda operazione sarà neutrale.

Il caso USDT: zona grigia da chiarire

USDT (Tether) è ancorato al dollaro USA, non all’euro. Secondo la definizione normativa, non rientra nei “token di moneta elettronica denominati in euro” e quindi dovrebbe essere tassato al 33%. Tuttavia, alcuni operatori ritengono che l’Agenzia delle Entrate potrebbe considerare USDT come moneta elettronica in senso ampio, applicando un regime simile. Al momento non esistono chiarimenti ufficiali, quindi la prudenza suggerisce di considerare USDT soggetto all’aliquota del 33%.

Tabella: confronto aliquote per tipo di asset (2026)

Tipo di assetEsempiAliquota 2025Aliquota 2026
Criptovalute classicheBitcoin, Ethereum, Cardano, Solana26%33%
Stablecoin in dollariUSDT, USDC, DAI26%33%
Token di moneta elettronica euroEURC e simili (MiCAR compliant)26%26%
NFTBored Ape, CryptoPunks, ecc.26%33%
Token DeFiUNI, AAVE, COMP, ecc.26%33%
ETF su BitcoiniShares Bitcoin ETF, ecc.26%26%
USDT (caso particolare)Tether26%33% (da confermare AdE)

Gli emendamenti in discussione: scenario aperto fino a fine dicembre

Il dibattito parlamentare sulla Legge di Bilancio 2026 ha riaperto la partita. Tra i 5.500 emendamenti presentati, circa 400 sono stati segnalati come prioritari, e diversi riguardano proprio la tassazione delle criptovalute.

L’emendamento più strutturato è quello presentato dai deputati Pellegrino e Gelmetti, segnalato per l’esame in Commissione. Questo emendamento propone tre modifiche principali:

  1. Bloccare l’aumento al 33%: riportare l’aliquota al 26% per tutte le cripto-attività, eliminando la distinzione tra token euro e altre crypto. L’obiettivo è uniformare il trattamento fiscale delle criptovalute a quello degli altri strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, ETF), che restano tassati al 26%.
  2. Rivalutazione annuale permanente: rendere strutturale la possibilità di rivalutare le cripto-attività con imposta sostitutiva del 18%, non più come misura temporanea ma come opzione esercitabile ogni anno. Questo consentirebbe ai contribuenti di aggiornare periodicamente il prezzo di carico fiscale delle proprie crypto, pagando il 18% sul valore di mercato al momento della rivalutazione.
  3. Compensazione tra plusvalenze e minusvalenze: permettere di compensare plusvalenze da criptovalute con minusvalenze su azioni e altri strumenti finanziari, e viceversa. Attualmente le minusvalenze crypto possono essere compensate solo con altre plusvalenze crypto, mentre quelle su azioni solo con altre azioni. L’emendamento eliminerebbe questa separazione, creando un regime fiscale più flessibile.

Altri emendamenti depositati vanno nella stessa direzione, ma si limitano a posticipare di un anno l’aumento al 33% (dal 2026 al 2027) senza modificare l’impianto strutturale della norma.

Tempistiche parlamentari: quando sapremo l’esito definitivo

Le votazioni sugli emendamenti sono iniziate il 3 dicembre 2025 in Commissione Bilancio al Senato. Il ministero dell’Economia ha espresso il suo parere sugli emendamenti ammissibili entro il 2 dicembre. Intorno al 15 dicembre, il Senato voterà il maxiemendamento del Governo, che incorporerà le modifiche approvate. Successivamente, il testo passerà alla Camera per l’approvazione definitiva, prevista tra Natale e Capodanno.

In sintesi: entro il 31 dicembre 2025 sapremo se l’aliquota resta al 33% o torna al 26%. Fino ad allora, ogni investitore deve comportarsi come se il 33% fosse confermato, perché quello è lo scenario base stabilito dalla legge vigente.

Rivalutazione al 18%: l’occasione per ridurre le imposte

La Legge di Bilancio 2025 aveva introdotto una misura temporanea chiamata “rivalutazione” o “affrancamento“, pensata proprio in previsione dell’aumento dell’aliquota al 33%. Vediamo di cosa si trattava e perché oggi parliamo di un’opportunità ormai chiusa.

Come funzionava la rivalutazione al 1° gennaio 2025

La rivalutazione permetteva di “aggiornare” il prezzo di carico fiscale delle criptovalute possedute al 1° gennaio 2025. In pratica, potevi assumere come nuovo prezzo di acquisto il valore di mercato delle tue crypto al 1° gennaio 2025, pagando un’imposta sostitutiva del 18% su quel valore.

Facciamo un esempio concreto. Hai comprato 1 Bitcoin a 10.000 euro nel 2020. Al 1° gennaio 2025, Bitcoin valeva 90.000 euro. Se nel 2026 vendi quel Bitcoin a 100.000 euro, senza rivalutazione pagheresti il 33% su 90.000 euro di plusvalenza (100.000 – 10.000), cioè 29.700 euro di imposte.

Con la rivalutazione, potevi pagare subito il 18% su 90.000 euro (16.200 euro) e “azzerare” la plusvalenza maturata fino al 1° gennaio 2025. Quando venderai quel Bitcoin a 100.000 euro nel 2026, la plusvalenza tassabile sarà solo 10.000 euro (100.000 – 90.000), su cui pagherai il 33%, cioè 3.300 euro. Totale: 16.200 + 3.300 = 19.500 euro, con un risparmio di 10.200 euro rispetto allo scenario senza rivalutazione.

La convenienza dipendeva da tre fattori:

  • Entità delle plusvalenze latenti (quanto hai guadagnato sulla carta dal prezzo di acquisto al 1° gennaio 2025)
  • Intenzione di vendere nel breve-medio termine
  • Disponibilità di liquidità per pagare subito il 18%

Perché la scadenza del 30 novembre era cruciale

La rivalutazione richiedeva il versamento dell’imposta sostitutiva del 18% entro il 30 novembre 2025 (slittato al 1° dicembre perché il 30 cadeva di domenica). Chi non ha versato entro quella data non può più accedere alla rivalutazione, almeno non in base alla normativa attuale.

Questo significa che, se possiedi criptovalute acquistate anni fa con forti plusvalenze latenti e non hai rivalutato, dovrai pagare il 33% sull’intera plusvalenza quando venderai dal 2026 in poi. L’unica eccezione sarebbe l’approvazione dell’emendamento Pellegrino-Gelmetti, che renderebbe la rivalutazione permanente e ripetibile ogni anno, ma al momento si tratta solo di una proposta.

Pianificazione fiscale: vendite strategiche e compensazione minusvalenze

Se possiedi criptovalute con plusvalenze latenti e hai intenzione di venderle nel breve termine, vendere entro il 31 dicembre 2025 ti fa risparmiare 7 punti percentuali di imposte. Su una plusvalenza di 100.000 euro, sono 7.000 euro di differenza.

Attenzione però a due aspetti:

  1. Timing di mercato: vendere solo per motivi fiscali, ignorando le dinamiche di mercato, può essere controproducente. Se Bitcoin sta per salire da 90.000 a 150.000 euro, risparmiare 7.000 euro di imposte ma perdere 60.000 euro di plusvalenza non è una scelta razionale.
  2. Compensazione minusvalenze: se hai anche posizioni in perdita, puoi realizzare le minusvalenze entro fine anno per compensare le plusvalenze. Le minusvalenze su criptovalute possono compensare solo altre plusvalenze su criptovalute, non quelle su azioni o altri strumenti. E le minusvalenze possono essere riportate nei quattro anni successivi.

Un’altra strategia, se hai liquidità disponibile e credi nel lungo termine delle crypto, è vendere le posizioni in guadagno entro fine 2025 (pagando il 26%) e riacquistare immediatamente dopo. Questa operazione, chiamata “bed and breakfast” in gergo fiscale, ti permette di cristallizzare il 26% e ripartire da un nuovo prezzo di carico più alto, riducendo le plusvalenze future. L’Agenzia delle Entrate non ha contestato finora questo tipo di operazioni sulle criptovalute, a differenza di quanto avviene per le azioni dove esistono limitazioni specifiche.

Timeline e scadenze fiscali 2025-2026

DataDescrizione
1 gennaio 2025Eliminazione franchigia 2.000 euro Attivo
30 nov 2025Scadenza rivalutazione al 18%
3-15 dicembre 2025Votazione emendamenti Senato
31 dicembre 2025Ultima opportunità aliquota 26%
1 gennaio 2026Aliquota 33% operativa
30 giugno 2026Versamento imposte su plusvalenze 2025 
31 ottobre 2026Dichiarazione redditi 2026 

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