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Controllo di società estera porta a residenza fiscale in Italia

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Corte di Cassazione sentenza n. 2458 del 2 febbraio 2025 sull'esterovestizione: il controllo italiano di una società estera porta a residenza fiscale in Italia.

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 2458 del 2 febbraio 2025 ha affrontato un importante caso di esterovestizione societaria, fornendo chiarimenti su presunzioni e prove in materia di residenza fiscale. Il caso riguarda una società formalmente residente nei Paesi Bassi ma controllata al 100% da una società italiana, sollevando interrogativi sull’applicazione delle norme anti-abuso del sistema fiscale italiano.

Il caso e la decisione della Suprema Corte

La sentenza si è concentrata su un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate alla società Alfa s.p.a., con sede legale nei Paesi Bassi, per il recupero a tassazione della quota imponibile ex art. 89 TUIR per l’anno 2007. L’amministrazione fiscale aveva rilevato “presunzioni gravi e precise” che la direzione effettiva della società provenisse dall’Italia, evidenziando come “gli amministratori sarebbero meri esecutori delle decisioni adottate in Italia“.

Un elemento fondamentale della contestazione era che “il capitale sociale è posseduto al 100% dalla Gamma Sas“, società residente in Italia operante nel settore della consulenza per impianti di energia eolica. Dopo un primo grado favorevole all’Agenzia, la CTR della Campania aveva accolto l’appello della società, principalmente in ragione “del mancato contraddittorio tra Amministrazione e contribuente“.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti […] vertendosi in ambito di indagini cd. ‘a tavolino’“. La Suprema Corte ha infatti ribadito che l’art. 12 comma 7 dello Statuto del contribuente si applica esclusivamente agli accertamenti conseguenti ad “accessi“, “ispezioni” e “verifiche” nei locali del contribuente.

Da evidenziare, tuttavia, che attualmente il co. 7 citato è oggi abrogato e sostitutivo dall’art. 6-bis, riguardante l’obbligo generale di attivazione del contraddittorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente.

La definizione di esterovestizione secondo la Cassazione

La Corte ha chiarito che l’esterovestizione ricorre “quando una società, pur mantenendo nel territorio dello Stato la sede amministrativa, intesa quale luogo di concreto svolgimento dell’attività di direzione e gestione dell’impresa, localizza la propria residenza fiscale all’estero, al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa“. Di fatto, quindi, tutte le volte in cui si è in assenza di una valida ragione economica tale da giustificare l’insediamento all’estero.

Facendo proprio il ragionamento della precedente sentenza n. 16697 del 21 giugno 2019, la Cassazione ha identificato il luogo di residenza fiscale effettiva in quello “in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni“, qualificando implicitamente la società estera come una costruzione artificiosa.

Un aspetto particolarmente significativo della sentenza riguarda l’insufficienza probatoria del certificato di residenza fiscale estera. La Corte ha infatti affermato che tale documento rappresenta “un elemento del tutto marginale e recessivo, dal punto di vista probatorio“. Per la Cassazione, l’esterovestizione “può essere dimostrata mediante presunzioni, purché gli indici della fittizia localizzazione […] siano esaminati nel loro insieme, non atomisticamente, secondo i criteri della gravità, precisione e concordanza”. Il certificato di residenza fiscale estera resta, comunque, un elemento di prova ma sicuramente non sufficiente da solo a fornire prova della residenza estera di una società.

Questioni interpretative sull’applicazione dell’art. 73 comma 5-bis TUIR

La sentenza solleva alcune questioni interpretative degne di approfondimento. Nella motivazione, la Corte richiama l’operatività “della presunzione di cui all’art. 73 co. 5-bis TUIR, in ragione della posizione di controllo totalitario rivestita“. Tuttavia, questa norma detta una presunzione legale relativa di residenza nel territorio dello Stato per le società estere controllanti una società residente nel territorio dello Stato e, a loro volta, controllate da soggetti residenti in Italia (o amministrate da un organo composto principalmente da soggetti residenti in Italia).

Nel caso in esame, dai fatti descritti nella sentenza, non sembra emergere che la società olandese Alfa controllasse a sua volta una società italiana, ma piuttosto che fosse essa stessa controllata al 100% dalla società italiana Gamma Sas. Questo potrebbe rendere tecnicamente impreciso il riferimento all’art. 73 comma 5-bis del TUIR, ma piuttosto al precedente co. 3.

Come evidenziato anche dall’Amministrazione finanziaria nella risposta a interpello n. 164 del 2023, la presunzione legale di residenza è inapplicabile in assenza del requisito del controllo da parte della società non residente su una società italiana.

Valutazione complessiva e implicazioni pratiche

Nonostante il possibile riferimento normativo impreciso, la sentenza mantiene la sua validità sostanziale. La Corte ha infatti rilevato che l’Agenzia delle Entrate “aveva fornito plurimi elementi atti a dimostrare presuntivamente l’esistenza del fenomeno“, tra cui le vicende dell’acquisizione societaria, la composizione dell’organo amministrativo e la posizione di controllo totalitario.

La Cassazione, pur non affrontando direttamente la questione se l’esterovestizione sia da collocare tra i fenomeni abusivi o tra le patologie dei meccanismi di ripartizione del potere impositivo, ha comunque valorizzato le presunzioni semplici che testimoniano per la residenza in Italia della società formalmente estera.

La sentenza dimostra come, anche in assenza di una specifica presunzione legale, l’amministrazione finanziaria possa comunque dimostrare l’esterovestizione attraverso un insieme di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. Ciò avviene quando, come nel caso specifico, emerge chiaramente l’eterodirezione della società estera dall’Italia, indipendentemente dalla sua formale residenza fiscale estera.

Consulenza fiscale online

La sentenza n. 2458/2025 costituisce un importante precedente nella giurisprudenza in materia di esterovestizione, confermando l’approccio sostanziale della Corte di Cassazione nell’identificazione della residenza fiscale delle società. La pronuncia ribadisce la centralità del luogo di effettiva direzione e gestione dell’impresa, superando gli aspetti formali come i certificati di residenza estera.

Le imprese con strutture societarie internazionali dovranno prestare particolare attenzione a questo orientamento giurisprudenziale, che privilegia la sostanza sulla forma e considera decisivo il luogo da cui promanano effettivamente le decisioni strategiche, indipendentemente dalla localizzazione formale della sede legale o amministrativa.

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