L’Agenzia delle Entrate ribadisce che i dividendi deliberati dall’assemblea devono considerarsi giuridicamente incassati anche in caso di rinuncia, con conseguente applicazione della ritenuta del 26%.
La rinuncia ai dividendi da parte dei soci di una società non comporta un’esenzione fiscale: l’Agenzia delle Entrate, con le risposte ad interpello n. 59 e 182 del 2025, ha chiarito che tali somme vanno comunque considerate come “incassate” ai fini fiscali e quindi assoggettate alla ritenuta del 26%.
Si tratta di un tema che ha sempre generato dibattito tra imprese, professionisti e giurisprudenza tributaria. Il concetto di “incasso giuridico”, sul quale si basa la posizione dell’Agenzia, si fonda sul principio secondo cui la rinuncia a un dividendo deliberato equivale, sotto il profilo fiscale, a un incasso effettivo seguito da una successiva rinuncia. Questo significa che i soci, anche se non percepiscono materialmente i dividendi, sono comunque tenuti a pagarci le imposte.
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Il caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate
Nella risposta ad interpello n. 59/E/25 la società ALFA S.r.l. ha presentato istanza per ottenere chiarimenti sul trattamento fiscale della rinuncia ai dividendi deliberati, con particolare riferimento a tre aspetti:
- Se la disciplina transitoria della Legge di Bilancio 2018 (art. 1, comma 1006, Legge n. 205/17) sia applicabile ai dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditori;
- Se la rinuncia ai dividendi da parte dei soci possa generare una sopravvenienza attiva in capo alla società ai sensi dell’art. 88, comma 4-bis, del TUIR;
- Se i dividendi non distribuiti e destinati a riserva straordinaria siano irrilevanti ai fini IRES per la società.
L’assemblea dei soci della società aveva deliberato, con il bilancio 2020, la distribuzione di dividendi, ma successivamente aveva deciso di distribuirne solo una parte (20-30%) e destinare il restante 70-80% alla riserva straordinaria.
L’incasso giuridico per i dividendi rinunciati dai soci
Non si tratta di una posizione del tutto nuova: già in passato, l’Agenzia delle Entrate aveva espresso concetti simili nella risoluzione n. 56/E/19 e nel principio di diritto n. 3/E/22. Tuttavia, la novità di questa pronuncia sta nella sua applicazione più rigorosa, che chiude definitivamente la porta a interpretazioni meno restrittive.
La questione verte sulla possibilità che la rinuncia ai dividendi possa generare una sopravvenienza attiva per la società ex art. 88 comma 4-bis del TUIR ( introdotto dal D.Lgs. 147/2015), oppure che debba essere considerata un incasso giuridico in capo ai soci. Come evidenziato dalla Relazione illustrativa, l’intervento normativo ha ricondotto a sostanziale unità il trattamento fiscale, eliminando le differenze tra rinuncia diretta e operazioni precedute dall’acquisto del credito.
Secondo l’Agenzia, il valore fiscale del credito derivante dai dividendi deliberati e non incassati coincide con il suo valore nominale. Questo implica che la rinuncia non crea una sopravvenienza attiva per la società, ma comporta comunque un’imposizione fiscale sui soci, che devono versare la ritenuta del 26% prevista dall’art. 27 del DPR n. 600/73.
La norma stabilisce che la rinuncia si considera sopravvenienza attiva per la parte eccedente il valore fiscale del credito, ma per i soci persone fisiche non imprenditori questo valore coincide sempre con quello nominale, azzerando di fatto la sopravvenienza.
Cosa si intende per incasso giuridico
L’incasso giuridico è un concetto fiscale secondo cui un determinato reddito è considerato percepito dal contribuente per il solo fatto di averne acquisito la disponibilità giuridica, anche se non è stato materialmente incassato. In altre parole, se un soggetto ha il diritto di riscuotere una somma di denaro e rinuncia a tale diritto, il Fisco considera che il reddito sia stato comunque “incassato” ai fini dell’imposizione fiscale.
Ciò si basa su un principio affermato già dalla Circolare n. 73/E del 1994, secondo cui la rinuncia a crediti derivanti da redditi soggetti a tassazione per cassa (come dividendi, compensi agli amministratori, interessi su finanziamenti) presuppone l’avvenuto incasso giuridico e quindi l’obbligo di assoggettare tali somme a tassazione.
L’incasso giuridico viene applicato per evitare distorsioni fiscali, ossia per impedire che un contribuente possa eludere la tassazione semplicemente rinunciando formalmente a un reddito senza subirne le conseguenze tributarie.
Nel caso dei dividendi:
- Senza il principio dell’incasso giuridico, un socio potrebbe rinunciare alla distribuzione per ridurre la sua tassazione personale, creando un vantaggio fiscale senza una reale uscita di denaro;
- Questo potrebbe generare un salto d’imposta (cioè una tassazione evitata senza una giustificazione economica reale), perché i dividendi rinunciati potrebbero aumentare il valore della partecipazione senza essere tassati.
Evoluzione interpretativa dell’Agenzia delle Entrate
L’orientamento consolidato dell’Agenzia delle Entrate si è sviluppato attraverso diverse pronunce: dalla risoluzione n. 124/2017, che aveva già chiarito l’equiparazione tra valore fiscale e nominale per i crediti verso persone fisiche non imprenditori, fino alla recente risposta a interpello n. 182/2025 che ha definitivamente ribadito il principio.
La comunicazione del valore fiscale del credito, normalmente richiesta dall’art. 88 comma 4-bis del TUIR, non è necessaria quando i soci sono persone fisiche non imprenditori, semplificando significativamente gli adempimenti amministrativi.
Le implicazioni per i soci e le società
La decisione dell’Agenzia delle Entrate ha un impatto significativo sulle strategie fiscali delle società e dei loro soci. Fino ad ora, in molti casi, la rinuncia ai dividendi era vista come uno strumento per evitare la tassazione immediata e ridurre il carico fiscale complessivo. Con questa interpretazione, però, l’imposizione fiscale diventa inevitabile.
Le conseguenze pratiche sono rilevanti:
- Per i soci persone fisiche non imprenditori, la rinuncia ai dividendi non cambia la sostanza fiscale: devono comunque considerare l’importo come incassato e assoggettato a ritenuta;
- Per le società, la rinuncia non genera sopravvenienze attive, quindi non crea un reddito imponibile per l’impresa, ma nemmeno un vantaggio fiscale per i soci.
Questa impostazione ha lo scopo di evitare possibili distorsioni fiscali, impedendo che i soci possano aumentare il valore della loro partecipazione sociale senza pagare le imposte sui dividendi.
Differenze operative tra tipologie di soci
Il trattamento fiscale della rinuncia ai dividendi varia significativamente in base alla natura giuridica del socio rinunciante. Per i soci persone fisiche non imprenditori, il valore fiscale del credito corrisponde sempre al valore nominale, non sussistendo le distorsioni derivanti da svalutazioni tipiche dell’attività d’impresa.
Questa distinzione assume rilievo cruciale per determinare l’eventuale sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata. Mentre per i soci imprenditori possono verificarsi differenze tra valore fiscale e nominale del credito, per le persone fisiche non imprenditori tale differenza è strutturalmente esclusa (senza che vi sia reddito imponibile).
Posizione della giurisprudenza
Nonostante l’Agenzia delle Entrate abbia adottato un’interpretazione chiara e stringente, non mancano posizioni contrastanti. La dottrina tributaria, supportata da alcune sentenze come quella della C.T. Reg. Friuli Venezia Giulia n. 19/1/20, ha spesso sostenuto che il valore fiscale del credito per dividendi deliberati e non incassati sia pari a zero, il che porterebbe a conclusioni differenti. Da segnalare anche la recente posizione della Cassazione n. 16595/23 in tema di credito da interessi di finanziamento, dove anche i giudici di legittimità hanno superato la tesi dell’incasso giuridico. Tuttavia, l’Agenzia ha scelto una strada diversa, basandosi sulla necessità di garantire che i dividendi siano tassati anche se non incassati materialmente.
L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate ha trovato ulteriore supporto nell’ordinanza della Cassazione n. 14921/2025, che ha consolidato la posizione amministrativa. L’Amministrazione finanziaria ha precisato che la fattispecie dei dividendi si differenzia da quella degli interessi su finanziamenti esaminata nella sentenza n. 16595/2023, proprio per la coincidenza tra valore fiscale e nominale del credito.
La distinzione operata dall’Agenzia evidenzia come il principio dell’incasso giuridico mantenga piena validità per i dividendi deliberati, diversamente da altre tipologie di crediti dove possono sussistere valutazioni fiscali differenziate.
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La certezza interpretativa fornita dalle recenti pronunce dell’Agenzia delle Entrate impone una revisione delle strategie di pianificazione fiscale societaria. L’inevitabile applicazione della ritenuta del 26% sui dividendi deliberati, anche se rinunciati, deve essere considerata nelle valutazioni di convenienza delle operazioni di ricapitalizzazione
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