Residenza fiscale del trust: criteri e novità

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La residenza fiscale di un trust è stabilita in base alla sede di direzione effettiva o alla gestione ordinaria in via principale, se tali luoghi si trovano in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta. Inoltre, esistono presunzioni di residenza per trust istituiti in Paesi non collaborativi se ci sono disponenti/beneficiari residenti.

La residenza fiscale del trust si determina verificando dove, per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni), si trovano la sede legale, la direzione effettiva o l’oggetto principale. In presenza di disponenti e beneficiari residenti in Italia, opera una presunzione relativa di residenza che può essere superata con prova contraria documentale.

L’articolo 73 del TUIR, modificato dal D.Lgs. n. 209/23 e successivamente dal D.Lgs. n. 139/24, ha introdotto cambiamenti sostanziali che vanno oltre la semplice terminologia. La residenza non dipende dalla legge straniera che regola il trust né dal luogo di costituzione formale, ma da elementi concreti di collegamento con il territorio nazionale. Un trust costituito alle Isole Cayman con atto regolato dalla legge di Jersey può risultare fiscalmente residente in Italia se la maggior parte dei collegamenti sostanziali punta verso il nostro Paese.

La riforma ha eliminato il criterio dell’oggetto principale e sostituito la sede dell’amministrazione con la direzione effettiva, allineando l’Italia agli standard internazionali OCSE. Ha inoltre trasformato le presunzioni di residenza da assolute a relative, consentendo al contribuente di fornire prova contraria quando un trust formalmente collegato all’Italia in realtà non vi è effettivamente amministrato. Questa modifica rappresenta un’opportunità concreta per chi può documentare una residenza estera effettiva, ma impone anche obblighi probatori precisi e spesso complessi.

Criteri generali di residenza fiscale

L’articolo 73, comma 3 del TUIR stabilisce che un trust è residente in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta, presenta almeno uno tra tre collegamenti territoriali. Il primo è la sede legale, criterio applicabile quando l’atto istitutivo indica formalmente una sede nel territorio nazionale. Questo requisito si verifica raramente per i trust, che nella prassi internazionale non sempre prevedono una sede legale statutaria come avviene per le società.

Il secondo criterio, introdotto dalla riforma, riguarda la sede di direzione effettiva, concetto che sostituisce la precedente “sede dell’amministrazione“. La direzione effettiva coincide con il luogo dove vengono assunte le decisioni strategiche di gestione del trust. Non si tratta del semplice domicilio del trustee, ma del luogo dove concretamente vengono prese le decisioni relative agli investimenti, alle distribuzioni ai beneficiari e alla gestione ordinaria del patrimonio. Un trustee residente a Londra che gestisce un trust mantenendo rapporti costanti con consulenti italiani e prendendo decisioni operative durante soggiorni prolungati in Italia potrebbe determinare una direzione effettiva italiana.

Il terzo criterio, l’oggetto principale, rimane rilevante per i trust istituiti prima della riforma e identifica la localizzazione dell’attività prevalente. Per un trust patrimoniale che detiene immobili, l’oggetto principale si individua dove sono ubicati i beni. Se gli immobili sono situati in più Stati, occorre applicare un criterio di prevalenza basato sul valore complessivo. Un trust che possiede tre immobili in Italia del valore di 2 milioni e uno in Francia da 500.000 euro ha oggetto principale inale in Italia.

Le presunzioni di residenza dopo la riforma

La vera rivoluzione normativa introdotta dal D.Lgs. n. 209/23 riguarda l’articolo 73, comma 3, ultimo periodo del TUIR. Prima della riforma operavano presunzioni assolute: la presenza di disponente o beneficiari residenti in Italia rendeva automaticamente il trust fiscalmente residente nel nostro Paese, senza possibilità di prova contraria. Oggi queste presunzioni sono diventate relative, il che significa che possono essere superate dimostrando che la direzione effettiva del trust si trova realmente all’estero.

La presunzione scatta quando, per la maggior parte del periodo d’imposta, almeno uno dei disponenti originari e almeno uno dei beneficiari individuati o divenuti tali risultano fiscalmente residenti in Italia. Questa formulazione cumulativa significa che devono sussistere entrambe le condizioni: non basta la residenza italiana del solo disponente o dei soli beneficiari. La norma considera “disponenti originari” coloro che hanno effettuato l’attribuzione patrimoniale iniziale, escludendo eventuali disponenti aggiunti successivamente.

Per vincere la presunzione occorre fornire prova contraria documentale che dimostri la direzione effettiva estera. Non bastano elementi formali come la residenza estera del trustee o la sede legale offshore. Servono prove sostanziali: verbali delle riunioni del trustee tenute stabilmente all’estero, contratti con consulenti esteri per la gestione operativa, registrazioni degli ordini di investimento impartiti da località estere, documentazione bancaria che attesti decisioni assunte presso filiali estere. Un trust con trustee svizzero che però riceve indicazioni operative continue dal disponente italiano tramite email e videoconferenze da Milano difficilmente potrà dimostrare una direzione effettiva elvetica.

Il trustee residente in Italia

Quando il trustee è una persona fisica residente in Italia, la presunzione di residenza italiana del trust diventa particolarmente forte. Anche se formalmente il trust è costituito e regolato dalla legge di un Paese estero, la circostanza che le decisioni vengano assunte quotidianamente da un soggetto che vive e opera stabilmente in Italia rende estremamente difficile sostenere una diversa localizzazione della direzione effettiva. L’Agenzia delle Entrate considera questo elemento un indizio decisivo nelle contestazioni.

La situazione si complica ulteriormente quando esistono più trustee: alcuni residenti in Italia, altri all’estero. In questo caso diventa determinante verificare chi ha effettivamente il potere decisionale prevalente secondo l’atto istitutivo e come vengono assunte concretamente le delibere. Se l’atto prevede che le decisioni più rilevanti (distribuzione ai beneficiari, vendita di immobili) richiedano l’unanimità o la maggioranza qualificata includendo necessariamente il trustee italiano, la direzione effettiva sarà italiana. Al contrario, se il trustee italiano ha solo poteri di vigilanza o di gestione ordinaria mentre le decisioni strategiche competono a un board estero, la situazione può essere diversa.

Trust in Stati white list e Paesi non collaborativi

La collocazione del trust in un Paese incluso nella white list degli Stati con adeguato scambio di informazioni assume rilevanza significativa. Non determina automaticamente la residenza fiscale, ma incide sulla presunzione di evasione fiscale e sugli obblighi dichiarativi. Un trust costituito in Svizzera, Regno Unito o Lussemburgo – tutti Paesi white list – beneficia di una minore diffidenza amministrativa rispetto a trust localizzati in giurisdizioni non collaborative.

Per i trust ubicati in Stati o territori non inclusi nella white list, l’articolo 73, comma 3 del TUIR prevede comunque la possibilità di superare le presunzioni negative dimostrando lo svolgimento di un’attività economica effettiva e il collegamento ragionevole con il mercato di quello Stato. Questo significa che un trust costituito in una giurisdizione considerata non cooperativa può comunque risultare validamente residente all’estero se dimostra di svolgere concretamente attività in quel territorio. Un trust delle Bermuda che gestisce un portafoglio di immobili commerciali locali tramite struttura operativa locale può avere una residenza estera riconoscibile, mentre un trust vuoto costituito alle stesse Bermuda ma controllato interamente dall’Italia subirà contestazioni.

Nelle verifiche l’Agenzia delle Entrate tende a richiedere i registri delle decisioni del trustee con indicazione di luogo e data. La mancanza di questa documentazione rende quasi impossibile superare la presunzione di residenza italiana.

Trust trasparenti e opachi: differenze fiscali

La residenza fiscale del trust si intreccia con la qualificazione come trust trasparente o opaco, distinzione che produce effetti radicalmente diversi sulla tassazione. Un trust si qualifica fiscalmente trasparente quando i beneficiari sono individualmente individuati nell’atto istitutivo e sono titolari del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quote determinate del reddito. In questo caso il reddito viene tassato direttamente in capo ai beneficiari per trasparenza, indipendentemente dall’effettiva distribuzione.

Il trust opaco, al contrario, è quello in cui i beneficiari non hanno un diritto attuale alla percezione dei redditi, ma solo un’aspettativa alla futura attribuzione secondo le decisioni discrezionali del trustee. Se il trust opaco è residente in Italia, diventa autonomo soggetto passivo IRES con aliquota del 24% sui redditi prodotti. Quando distribuisce somme ai beneficiari, questi scontano un’ulteriore tassazione, creando un effetto di doppia imposizione economica attenuato solo parzialmente dal credito d’imposta.

La residenza fiscale del trust opaco estero produce conseguenze peculiari. Se i beneficiari sono residenti in Italia, i redditi distribuiti vengono tassati in capo a loro nell’anno di percezione, con ritenuta a titolo d’imposta del 26% per redditi di capitale o aliquote progressive IRPEF per altre tipologie reddituali. La Circolare 34/E del 2022 ha chiarito che quando il trust opaco estero è localizzato in uno Stato white list, la tassazione dei beneficiari italiani avviene solo al momento dell’effettiva distribuzione. Se invece il trust opaco è situato in un Paese non collaborativo, opera la presunzione di distribuzione immediata dei redditi prodotti, con tassazione per trasparenza anche senza materiale percezione da parte dei beneficiari italiani.

Tipo trustResidenzaSoggetto tassatoMomento tassazioneAliquota
TrasparenteItaliaBeneficiariMaturazione redditoIRPEF progressiva
TrasparenteEstero white listBeneficiari italianiMaturazione redditoIRPEF progressiva
OpacoItaliaTrust (soggetto IRES)Maturazione reddito24% + tassazione beneficiario alla distribuzione
OpacoEstero white listBeneficiari italianiDistribuzione effettiva26% (redditi capitale)
OpacoPaese non collaborativoBeneficiari italianiPresunta (anche senza distribuzione)IRPEF progressiva

La qualificazione come trasparente o opaco non dipende dalla volontà delle parti ma dalla struttura giuridica effettiva risultante dall’atto istitutivo. Un trust formalmente definito discrezionale ma che di fatto distribuisce sistematicamente tutti i redditi ai beneficiari rischia riqualificazioni amministrative.

Obblighi dichiarativi e monitoraggio fiscale

I trust residenti in Italia devono presentare annualmente la dichiarazione dei redditi utilizzando il modello Redditi Enti non commerciali, indicando tutti i redditi prodotti ovunque nel mondo secondo il criterio del worldwide taxation. Il codice fiscale del trust deve essere richiesto all’Agenzia delle Entrate territorialmente competente rispetto alla sede legale o, in mancanza, rispetto al domicilio fiscale del trustee. Nella dichiarazione devono essere indicati separatamente i redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi secondo le rispettive discipline.

Quando il trust è fiscalmente residente all’estero ma presenta collegamenti con l’Italia, gli obblighi dichiarativi ricadono sui soggetti residenti italiani coinvolti. Il disponente residente in Italia che ha costituito un trust estero deve compilare il quadro RW del modello Redditi Persone Fisiche per il monitoraggio fiscale delle attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero tramite il trust. L’obbligo sussiste indipendentemente dalla qualificazione del trust come trasparente o opaco e dalla circostanza che il disponente abbia o meno conservato poteri di revoca o modifica.

I beneficiari residenti in Italia di trust esteri devono dichiarare nel quadro RW il valore delle attività estere intestate al trust quando hanno la disponibilità o la facoltà di movimentazione delle attività, oppure quando ne sono beneficiari individuati con diritto attuale alla percezione. La giurisprudenza ha chiarito che la semplice qualità di beneficiario potenziale di un trust discrezionale non fa scattare l’obbligo dichiarativo se il soggetto non ha alcun potere dispositivo né diritto esigibile. Il valore da indicare corrisponde al valore di mercato delle attività al 31 dicembre, con applicazione dell’IVAFE per i prodotti finanziari (0,2% annuo) e dell’IVIE per gli immobili esteri (1,06% annuo).

​Regime sanzionatorio del monitoraggio fiscale

Il mancato monitoraggio nel quadro RW di un trust estero costituisce violazione sanzionabile dal 3% al 15% degli importi non dichiarati, con raddoppio delle sanzioni per attività detenute in Paesi non collaborativi. Inoltre, la violazione comporta il raddoppio dei termini di accertamento, che passano da 5 a 10 anni.

Casi particolari: trust autodichiarato e “dopo di noi

Il trust autodichiarato, in cui disponente e trustee coincidono nella stessa persona, presenta criticità specifiche sulla determinazione della residenza fiscale. Formalmente il trust può essere costituito all’estero con legge regolatrice straniera, ma la circostanza che il disponente-trustee continui a risiedere stabilmente in Italia rende praticamente insuperabile la presunzione di residenza italiana. La direzione effettiva si trova inevitabilmente dove risiede il soggetto che mantiene contemporaneamente entrambi i ruoli.

I trust “dopo di noi” istituiti ai sensi della Legge n. 112/16 a favore di persone con disabilità grave seguono le regole ordinarie per la determinazione della residenza fiscale, ma beneficiano di importanti esenzioni tributarie. Quando il trust dopo di noi risulta fiscalmente residente in Italia, gode dell’esenzione dalle imposte di successione e donazione per i conferimenti, dell’esenzione dall’imposta di bollo sul rendiconto annuale e di agevolazioni IMU per gli immobili destinati alla residenza del beneficiario disabile. Queste esenzioni operano solo se il trust rispetta tutti i requisiti sostanziali previsti dalla normativa speciale, inclusa la finalità esclusiva assistenziale e la clausola di intrasferibilità delle quote.

Contestazioni e prova contraria

Le verifiche fiscali sui trust si concentrano sistematicamente sulla residenza effettiva quando l’impianto formale indica una localizzazione estera ma esistono elementi di collegamento con l’Italia. L’Agenzia delle Entrate contesta la residenza estera richiedendo al contribuente di dimostrare dove è stata concretamente esercitata la direzione effettiva. Gli elementi investigativi tipicamente utilizzati includono i movimenti bancari, le comunicazioni telematiche tra disponente e trustee, i viaggi documentati del trustee, la residenza dei consulenti professionali che assistono il trust.

​Il dossier probatorio

Per vincere una contestazione sulla residenza occorre costruire un dossier probatorio completo che includa:

  • Verbali originali delle riunioni del trustee con indicazione di luogo, data e partecipanti;
  • Contratti di consulenza con professionisti esteri effettivamente operativi nella giurisdizione di residenza del trust;
  • Estratti conto bancari che dimostrino operazioni disposte da filiali estere; corrispondenza con controparti commerciali che confermi l’operatività estera;
  • Dichiarazioni fiscali eventualmente presentate nello Stato estero di presunta residenza. La semplice produzione dell’atto costitutivo e del certificato di incorporazione non è sufficiente.

La giurisprudenza tributaria ha progressivamente innalzato gli standard probatori richiesti. Non basta dimostrare che il trustee risiede stabilmente all’estero: occorre provare che le decisioni strategiche sul trust vengono effettivamente assunte in quella giurisdizione. Un trustee che formalmente risiede a Londra ma che opera costantemente seguendo indicazioni vincolanti impartite dal disponente italiano rende il trust fiscalmente residente in Italia per direzione effettiva italiana, anche se le delibere formali vengono firmate nel Regno Unito. La sostanza economica prevale sempre sulla forma giuridica.

Quando costituisci un trust estero destinato a rimanere non residente, fai redigere al trustee un verbale trimestrale che documenti le decisioni assunte, il luogo delle riunioni e l’assenza di interferenze del disponente. Questa prassi, mantenuta con continuità, costituisce la migliore difesa in caso di contestazione.

Erroi nella pratica

Per la nostra esperienza il primo errore ricorrente consiste nel ritenere che la costituzione formale di un trust in uno Stato estero con legge regolatrice straniera sia sufficiente a garantire la residenza fiscale estera. La normativa guarda alla sostanza economica: dove vengono concretamente assunte le decisioni di gestione. Un trust costituito alle Bahamas ma di fatto controllato interamente dall’Italia risulterà fiscalmente residente nel nostro Paese con tutte le conseguenze dichiarative e impositive.

Il secondo errore riguarda la nomina di trustee compiacenti che agiscono come meri esecutori delle volontà del disponente. Questa prassi, oltre a violare i principi giuridici del trust che impongono al trustee poteri-doveri autonomi, determina la riqualificazione fiscale del trust come strumento interposto privo di sostanza. L’Agenzia delle Entrate può applicare le norme antielusive generali contenute nell’articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente per disconoscere completamente il trust e attribuire redditi e patrimonio direttamente al disponente.

Il terzo errore comune riguarda la documentazione: molti trust operano per anni senza produrre una traccia scritta delle decisioni assunte dal trustee, della periodicità delle riunioni, delle valutazioni effettuate prima di distribuzioni o investimenti. Questa carenza documentale rende impossibile fornire prova contraria alla presunzione di residenza italiana quando scattano i requisiti dell’articolo 73, comma 3 del TUIR. La mancanza di verbali, rendiconti dettagliati e documentazione bancaria completa costituisce un elemento negativo pressoché insuperabile.

Consulenza fiscale online

Determinare correttamente la residenza fiscale di un trust richiede un’analisi approfondita della documentazione costitutiva, della governance effettiva e dei collegamenti territoriali con l’Italia e altri Stati. Le conseguenze di una qualificazione errata possono essere molto pesanti: dalla doppia imposizione internazionale alle contestazioni amministrative con sanzioni che possono raggiungere il 120% delle imposte evase nei casi più gravi. La riforma ha introdotto nuovi spazi di pianificazione attraverso le presunzioni relative, ma ha anche aumentato gli oneri probatori a carico dei contribuenti.

Se stai costituendo un trust internazionale o gestisci un trust esistente con elementi di transnazionalità, una consulenza specialistica ti permette di verificare la corretta residenza fiscale, gli obblighi dichiarativi derivanti e le strategie per evitare contestazioni future. Analizziamo insieme l’atto istitutivo, la struttura di governance del trustee, la localizzazione dei beni e dei beneficiari per costruire una qualificazione fiscale solida e documentata. Possiamo valutare se esistono margini per riorganizzare la gestione del trust in modo da ottimizzare la residenza fiscale nel rispetto della sostanza economica e delle norme antielusive.

Contattami per una consulenza personalizzata: analizzeremo la tua situazione specifica e costruiremo una strategia fiscale compliant che ti metta al riparo da contestazioni dell’Agenzia delle Entrate.

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    Fonti

    • Articolo 73, comma 3, TUIR (modificato da D.Lgs. 209/2023 e D.Lgs. 139/2024)
    • Circolare Agenzia delle Entrate 34/E del 2022
    • Decreto Legislativo 209/2023
    • Decreto Legislativo 139/2024
    • Legge 112/2016
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    Federico Migliorini
    Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
    Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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