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Trasferimento di residenza vincolato all’iscrizione AIRE

I giudici della Corte di Cassazione confermano la tesi secondo cui il Trasferimento di Residenza è vincolato all’iscrizione AIRE. La Giurisprudenza trascura il ruolo delle Convenzioni internazionali nei casi di Residenza Estera senza il requisito dell’iscrizione AIRE.

Effettuare una corretta procedura di trasferimento di residenza all’estero non è semplice. Lo scrivo da tempo, e da tempo faccio consulenza su questo aspetto a molte persone che decidono di avere residenza estera. Oltre agli aspetti legati alla non presenza fisica in Italia, dirimente è il trasferimento all’estero di quello che viene chiamato “centro degli interessi vitali“.

Con questo termine ci si riferisce al centro degli interessi familiari ed economici (rilevanti in quest’ordine, tranne qualche raro caso contrario) di un soggetto. Questi interessi, devono trasferirsi assieme alla persona da uno Stato ad un altro. Solo in questo modo si riesce a trasferire anche la residenza fiscale di un soggetto, e con essa i suoi obblighi fiscali. Questo, in buona sostanza, è quanto prevedono le Convenzioni internazionali sul trasferimento di residenza di una persona fisica.

Il nostro legislatore nazionale, tuttavia, subordina tutto questo ad un requisito formale. Mi riferisco all’iscrizione AIRE del soggetto che espatria. Questo requisito, di fatto solo formale, diventa sostanziale nel momento in cui la Giurisprudenza, come nella sentenza in commento, lo indica come requisito dirimente per il trasferimento.

Tutto questo, dimenticandosi il fatto che le convenzioni internazionali hanno un rango superiore rispetto alla normativa fiscale interna. Vediamo, di seguito, il commento all’ordinanza n 16634 del 25.06.2018 della Cassazione, in relazione alla residenza estera di un soggetto. Cominciamo!


RESIDENZA ESTERA ED ISCRIZIONE AIRE: LE NORME

Si considerano in ogni caso residenti in Italia le persone iscritte alle anagrafi della popolazione residente, in applicazione del criterio formale di cui all’articolo 2 del TUIR. Quindi, il trasferimento all’estero non rileva finché non risulti la cancellazione dall’Anagrafe di un Comune italiano. Questo principio è quello affermato dalla Cassazione nell’ordinanza n 16634 del 25 giugno 2018. Questa ordinanza, assume particolare importanza, in quanto conferma un orientamento già accolto dalla Suprema Corte.

Mi riferisco al requisito dell’iscrizione AIRE per il perfezionamento della residenza estera di un contribuente italiano. Sul punto vedasi del sentenze n 21970/2015 e n 1215/98. Infatti, l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in un comune italiano per la maggior parte del periodo di imposta costituisce un elemento formale di per sé sufficiente a determinare l’assoggettamento ad IRPEF del soggetto iscritto e sembra comportare una presunzione assoluta di residenza fiscale (vedasi Cassazione n. 1215/1998, Cassazione n. 9319/2006 e Cassazione n. 677/2015).

Questo orientamento, tuttavia, è stato più volte criticato dalla dottrina (come più volte riportato anche in questo portale).

IL CASO DI RESIDENZA ESTERA TRATTATO DALLA SUPREMA CORTE

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate rinveniva la residenza fiscale italiana in capo a un soggetto.

Si tratta di un cittadino italiano che, pur essendosi trasferito nel Regno Unito, dove svolgeva la propria attività lavorativa e pagava le relative imposte, non si era iscritto all’AIRE.

Pertanto, tale soggetto risultava, quindi, ancora iscritto tra i soggetti anagraficamente residenti in Italia.

La Cassazione ribalta la posizione delle Commissioni tributarie che, nei primi due gradi di giudizio, avevano, invece, accolto la tesi del contribuente, il quale sosteneva di non essere più residente in Italia.

Per i giudici di legittimità, infatti, va ribadito quell’orientamento (Cass. n. 21970/15) secondo cui l’articolo 2 del TUIR prevede un criterio formale di individuazione della residenza fiscale in Italia che preclude ogni ulteriore accertamento.

Secondo questa tesi, le persone iscritte nell’anagrafe della popolazione residente:

  • Vanno considerate in ogni caso fiscalmente residenti e soggetti passivi di imposta per i redditi prodotti in Italia e all’estero (worldwide taxation principle) e
  • Il trasferimento della residenza all’estero non rileva, fino a che non risulti l’iscrizione all’AIRE e la cancellazione dall’anagrafe dei residenti in Italia.

Il principio sopra enunciato è ampiamente criticato dalla dottrina.

CON ISCRIZIONE ANAGRAFICA NON E’ AMMESSA PROVA CONTRARIA IN CONTENZIOSO

In ambito tributario, infatti, la giurisprudenza applica un criterio formalistico che,

in presenza di iscrizione anagrafica, non consente la prova contraria

Mentre, in ambito civilistico, le risultanze anagrafiche danno luogo a presunzioni relative, che possono essere vinte con la prova contraria.

Questo formalismo, secondo alcuni, potrebbe violare la Costituzione, in quanto rischia di ledere il principio di capacità contributiva.

Questo, considerando che, di fatto, la mancata iscrizione AIRE prescinde dalla sussistenza di un effettivo legame tra la persona e il territorio. Mentre l’obbligo di contribuire alle spese pubbliche, posto dall’articolo 53 della Costituzione, troverebbe la propria ratio nel godimento dei servizi pubblici forniti dallo Stato.

Per questo il soggetto è, per l’appunto, tenuto a contribuire in quanto esista un legame durevole con il territorio.

In virtù di questo principio legale, la giurisprudenza vincola la residenza estera ad un criterio formale, al posto di un criterio sostanziale ed effettivo.

LE CONVENZIONI INTERNAZIONALI BASANO LA RESIDENZA SU DATI SOSTANZIALI

Il principio enunciato dalla Cassazione nella sentenza in commento non tiene in alcun conto le Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Questi trattati, invece, sono delle vere e proprie fonti vincolanti per gli Stati contraenti, aventi efficacia di legge primaria (dopo la ratifica).

Le Convenzioni, quindi e prevalgono sulle fonti interne (articolo 75 del TUIR e articolo 117 Costituzione) in quanto norme speciali (Cassazione n. 1138/2009).

Pertanto, stupisce che la Suprema Corte continui a ignorare la presenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni. Convenzioni che, seguendo il modello OCSE, forniscono regole apposite per risolvere i conflitti di residenza (tie braker rules). 

LA CONVENZIONE ITALIA REGNO UNITO

Nel caso di specie, in particolare, sarebbe stato necessario fare riferimento alla Convenzione tra Italia e Regno Unito.

Convenzione firmata a Pallanza il 21 ottobre 88 e ratificata con Legge 5 novembre 90 n. 329.

All’articolo 4, la Convenzione detta apposite regole da applicare nel caso in cui un soggetto risulti, in base alla normativa interna, fiscalmente residente in entrambi gli Stati: 

  • in primis, va applicato il criterio dell’abitazione permanente;
  • ove esso non sia dirimente, va accertato il luogo dove è situato il “centro degli interessi vitali”;
  • ove i precedenti principi non siano decisivi, si considera il luogo ove il soggetto “soggiorna abitualmente”;
  • infine, soccorre il criterio della nazionalità e, da ultimo, si fa ricorso all’accordo tra gli Stati.

A fronte di tali regole di diritto internazionale, la decisione della Corte di Cassazione sembra in qualche modo “incompleta”.

Questo, in quanto omette di dare applicazione alle norme che avrebbero consentito di valorizzare elementi fattuali e individuare la residenza fiscale in modo rispettoso dei precetti costituzionali. 

Tutto questo, in virtù del principio secondo il quale la mancanza del rispetto dell’articolo 2 del TUIR, legata all’iscrizione anagrafica, non può essere oggetto di prova contraria da parte del contribuente.


L’IMPORTANZA DELLA VALUTAZIONE DELLA RESIDENZA FISCALE

Ho voluto approfondire questa ordinanza perché si pone in un contesto ove diventa sempre più importante valutare la propria residenza fiscale se si hanno interessi all’estero.

Questa valutazione si rivela, infatti, decisiva, quando si deve effettuare la propria dichiarazione dei redditi.

E’ necessario tenere in considerazione le disposizioni di cui all’articolo 3 del TUIR. Secondo il quale, fatti salvi gli effetti delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, i residenti sono tassati in Italia per i redditi ovunque prodotti. Mentre i non residenti sono tassati in Italia solo per i redditi che si considerano prodotti in Italia secondo le disposizioni dell’articolo 23 del TUIR.

La valutazione di residenza, presuppone spesso analisi di una certa “invasività” nelle informazioni (anche, e spesso soprattutto, di natura personale) da richiedere al soggetto. Per questo essa si rivela normalmente più delicata nel momento in cui gli interessi nei confronti dell’estero iniziano, o hanno termine, nel periodo d’imposta oggetto di dichiarazione.

Il caso classico è rappresentato dalla persona che cessa un’attività lavorativa per iniziarne una oltreconfine, o che al contrario ritorna in Italia dopo avere svolto un periodo lavorativo all’estero.

Non di rado, però, analisi più approfondite sono necessarie anche in altre situazioni.

Pensa ad un cittadino straniero che vive e ha una famiglia in Italia, ad esempio, pur avendo interessi economici all’estero. Questi, in molti casi può rivestire la qualifica di residente fiscale italiano, con gli obblighi che conseguono a questo status.

RESIDENZA FISCALE PER LA NORMATIVA INTERNA

In termini generali, l’articolo 2 comma 2 del TUIR riserva la residenza fiscale italiana alle persone che per la maggior parte del periodo d’imposta:

  • Sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o
  • Hanno in Italia il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Per ogni anno, quindi, la cancellazione entro il 1° luglio dall’anagrafe italiana e l’iscrizione all’AIRE, se accompagnate dalla contestuale perdita di residenza e domicilio italiano, sono idonei a qualificare il soggetto come non residente in base alla norma interna.

SITUAZIONI DI DOPPIA RESIDENZA FISCALE

L’acquisizione di residenza estera, come detto, non è sempre così semplice.

Nella maggior parte dei casi, infatti, sussistono conflitti di doppia residenza.

Situazioni derivanti dalla circostanza per cui lo Stato estero considera la persona un proprio residente in base alla sua normativa interna e l’Italia fa altrettanto in base alla propria.

Il caso tipico è quello della persona emigrata all’estero per lavoro ma che, per diversi motivi (non da ultimo una mera inerzia) non si è mai iscritta all’AIRE.

In questa situazione, il conflitto di doppia residenza è risolto attraverso le Convenzioni contro le doppie imposizioni che, se redatte secondo i criteri OCSE, assegnano la residenza in primis in base al criterio dell’abitazione permanente (di rado, però, decisivo) e in secondo luogo accertando il luogo dove è situato il centro degli interessi vitali.

In questo contesto, per fare un esempio molto semplice, la situazione di una persona sposata e con figli, mantenuti in Italia al di là dell’attività lavorativa all’estero, è molto diversa da quella di una persona single.

Soggetto per il quale è più semplice presumere che lo spostamento fisico all’estero comporti un parallelo spostamento nell’altro Stato del centro degli interessi vitali. Questo specie se le attività e i redditi di fonte italiana diversi da quelli legati all’attività lavorativa sono modesti.

RISCHI DI CONTESTAZIONE SENZA ISCRIZIONE AIRE

Per i soggetti che non si sono cancellati dall’anagrafe della popolazione residente i rischi di contestazione risultano, quindi, più elevati.

Per questo motivo è necessario in sede di difesa evidenziare che le disposizioni delle Convenzioni prevalgono sulla normativa interna.

Il principio, che si rinviene nell’articolo 75 del DPR 600/73, è pacifico. Tuttavia, è bene ricordare che in alcune decisioni di giurisprudenza (sopra citate), esso è stato inopinatamente disatteso.

La decisione citata, che presenta la grave lacuna di non considerare il ruolo delle Convenzioni (nella fattispecie, quella con il Regno Unito). Essa ha, infatti, portato a considerare residente in Italia un soggetto per il solo fatto della mancata cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente.

ATTENZIONE ALLE CONVENZIONI IN VIGORE

Una particolare attenzione deve, poi, essere posta per le Convenzioni che, via via, entrano in vigore.

Se, ad esempio, un soggetto non iscritto all’AIRE vive a Panama, lo Stato italiano ha titolo a considerarlo un proprio residente fiscale sino al 2017.

Questo avviene in quanto non vi erano Trattati in vigore per quell’anno che potevano dirimere il conflitto di residenza.

Al contrario, l’entrata in vigore della Convenzione dal 2018 offre una protezione significativa a questa persona, la quale ha titolo a considerarsi dal 2018 un non residente agli effetti dell’imposizione italiana. Questo per il semplice fatto di non avere un’abitazione permanente in Italia (primo criterio previsto dal Trattato) o se, in presenza di abitazioni permanenti in entrambi gli Stati, il centro dei propri interessi vitali è all’estero.

RESIDENZA FISCALE E REGIMI FISCALI AGEVOLATIVI

La residenza fiscale va, da ultimo, attentamente valutata per i soggetti che intendono beneficiare di regimi agevolativi:

Queste norme fanno esclusivo riferimento alla residenza così come determinata a norma dell’articolo 2 del TUIR, escludendo quindi dai benefici i cittadini italiani emigrati all’estero ma mai iscrittisi all’AIRE.

L’Agenzia delle Entrate ha interpretato la norma in modo letterale nelle proprie circolari, anche se questa linea non sembra insuperabile in sede contenziosa, vista la sua scarsa sistematicità.

Inoltre, si deve tenere presente l’apertura che sul punto è arrivata dal DL n 34/19. Questa norma ha modificato la disciplina legata all’agevolazione dei lavoratori impatriati e al rientro dei cervelli.

Per queste agevolazioni, infatti, è possibile superare la mancata iscrizioene AIRE per valutare la permanenza all’estero, ma solo se il trasferimento è avvenuto in Paesi con cui è in vigore una Convenzione con l’Italia. Tutto questo, a partire dai rimpatrii che avverranno dal 1° gennaio 2020.


RESIDENZA ESTERA ED ISCRIZIONE AIRE: CONCLUSIONI

In questo articolo ho voluto ripercorrere da un punto di vista di giurisprudenza e prassi la questione legata alla residenza estera.

Il fatto che la giurisprudenza continui, in modo del tutto contestabile, a determinare la residenza fiscale sull’iscrizione AIRE è paradossale. Questo se consideriamo che le Convenzioni internazionali hanno un “rango” superiore alla norma nazionale.

Sul punto occorre accogliere con favore l’intervento normativo del DL n 34/19 che ha svincolato l’ottenimento di agevolazioni legate al rientro in Italia di lavoratori dall’iscrizione AIRE. Tutto questo, come detto, se il trasferimento è avvenuto in Paesi con cui è in vigore una Convenzione.

Per questo motivo si spera che anche la Giurisprudenza possa modificare il proprio orientamento arrivando finalmente a considerare come preminenti i requisiti convenzionali (quindi fattuali) per determinare la residenza. Un mero requisito formale, come l’iscrizione AIRE, da solo non può essere un requisito fondamentale per determinare la residenza fiscale di un individuo.

Questo è quello che continuo a ribadire da tempo. Come sempre ti aggiornerò su eventuali sviluppi futuri.

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Federico Migliorini
Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.

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