La pensione minima 2026 passa a € 619,79 mensili con un aumento effettivo di soli € 3,13 rispetto al 2025. L’integrazione al minimo spetta solo con almeno un contributo pre-1996 e redditi sotto € 7.844,20 annui per i non coniugati. La maggiorazione di € 20 mensili riguarda esclusivamente gli over 70 con requisiti specifici.
Vai in pensione nel 2026 e ti chiedi quale sarà l’importo minimo garantito? Il trattamento minimo INPS per il 2026 raggiunge € 619,79 mensili, ma l’accesso all’integrazione richiede requisiti contributivi e reddituali precisi. La Legge di Bilancio 2026 introduce una maggiorazione di € 20 mensili, riservata però esclusivamente ai pensionati over 70 con limiti di reddito specifici. L’aumento effettivo rispetto al 2025 si attesta su € 3,13 mensili, frutto della rivalutazione ordinaria all’1,4% e della riduzione della maggiorazione straordinaria dall’attuale 2,2% all’1,3%.
Capisci subito i meccanismi di calcolo per verificare se hai diritto all’integrazione. Il sistema distingue tra trattamento minimo base, integrazione al minimo per chi non raggiunge la soglia, e maggiorazioni sociali per specifiche categorie. Ogni elemento segue regole precise stabilite dalla normativa INPS. Paghi contributi da anni ma temi che la pensione calcolata sia troppo bassa? L’integrazione al minimo interviene automaticamente se rispetti i requisiti, portando il tuo assegno fino alla soglia garantita dallo Stato.
La pensione minima 2026 ammonta a € 619,79 mensili, comprensivi di rivalutazione ordinaria all’1,4% (che porta il trattamento base a € 611,84) e maggiorazione straordinaria dell’1,3% (€ 7,95). L’integrazione al minimo spetta solo a chi ha almeno un contributo versato nel regime retributivo (prima del 1° gennaio 1996) e redditi personali sotto € 7.844,20 annui.
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Trattamento minimo e integrazione: distinzioni normative fondamentali
Il trattamento minimo INPS costituisce la base di calcolo per tutte le prestazioni pensionistiche integrate. Per il 2026 questo valore raggiunge € 611,84 mensili, determinato applicando la rivalutazione ordinaria dell’1,4% all’importo 2025 di € 603,40. Si tratta del parametro di riferimento stabilito annualmente dall’INPS con circolare specifica, che per il 2025 era la n. 23 del 28 gennaio. L’importo definitivo del 2026 verrà confermato dalla circolare INPS di fine anno, mentre il valore attuale resta provvisorio fino al conguaglio basato sull’inflazione effettiva.
L’integrazione al minimo interviene quando la pensione liquidata risulta inferiore al trattamento minimo. Paghi contributi per 15-20 anni ma l’importo calcolato arriva solo a € 400 mensili? L’INPS aggiunge automaticamente la differenza fino a raggiungere € 611,84, purché tu rispetti i requisiti reddituali. Questa prestazione non costituisce un beneficio assistenziale ma un diritto previdenziale acquisito con i versamenti contributivi, seppur parziali rispetto alla soglia minima. La differenza fondamentale sta nel fatto che l’integrazione richiede almeno un contributo versato nel regime retributivo, quindi prima del 31 dicembre 1995.
Chi ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 rientra interamente nel sistema contributivo. In questo caso non scatta l’integrazione al minimo, indipendentemente dall’importo della pensione calcolata. Prendi € 350 mensili ma tutti i tuoi contributi sono successivi al 1995? Non ottieni l’integrazione fino a € 611,84. Ricevi solo la rivalutazione straordinaria dell’1,3% sull’importo effettivo, quindi € 7,70 in più. Il legislatore ha voluto limitare l’integrazione a chi ha maturato diritti nel vecchio sistema retributivo, considerato più garantista rispetto al contributivo puro.
La maggiorazione straordinaria dell’1,3% si applica invece a tutte le pensioni pari o inferiori al trattamento minimo, anche quelle interamente contributive. Questa misura deriva dall’articolo 1, comma 310, della Legge n. 197/2022, prorogata fino al 2026 con percentuale ridotta rispetto al 2,2% del 2025. L’importo di € 7,95 mensili (€ 103,35 annui) viene riconosciuto automaticamente dall’INPS senza alcuna domanda specifica. A differenza dell’integrazione al minimo, questa maggiorazione non considera i limiti di reddito personale del pensionato.
L’integrazione al minimo e la maggiorazione straordinaria seguono logiche normative differenti. La prima richiede contributi pre-1996 e limiti reddituali; la seconda spetta a tutti con pensioni sotto il minimo, senza vincoli di reddito. Verifica sempre il tuo estratto contributivo per capire quale meccanismo si applica al tuo caso.
Requisiti contributivi per l’integrazione al minimo
L’accesso all’integrazione al minimo richiede la presenza di almeno un contributo settimanale accreditato entro il 31 dicembre 1995. Hai lavorato anche solo un mese prima di questa data? Risulti nel regime misto retributivo-contributivo e l’integrazione può scattare. L’INPS verifica automaticamente l’estratto contributivo al momento della liquidazione della pensione. Non serve presentare domande aggiuntive: il sistema calcola se rispetti i requisiti e applica l’integrazione d’ufficio.
I contributi validi comprendono quelli obbligatori, volontari, da riscatto e figurativi. Hai versato contributi volontari nel 1994-1995 per coprire periodi di studio? Questi contano per il requisito del regime misto. Anche i contributi figurativi per maternità, malattia o disoccupazione antecedenti al 1996 risultano validi. L’INPS considera l’intero montante contributivo presente in estratto, senza distinzioni sulla natura dei versamenti.
Attenzione invece al periodo di riferimento per il calcolo contributivo. Se hai iniziato a versare contributi dal 2000, sei interamente nel sistema contributivo: nessuna integrazione al minimo, qualunque sia l’importo della tua pensione. Prendi € 500 mensili ma tutti i contributi partono dal 1997? Ricevi solo la maggiorazione straordinaria dell’1,3%, non l’integrazione completa. Il sistema distingue nettamente tra chi ha anche solo un contributo nel retributivo e chi è totalmente nel contributivo.
Limiti reddituali per l’integrazione: calcolo e verifiche
L’integrazione al minimo scatta solo se il reddito complessivo annuo non supera specifiche soglie. Per i pensionati non coniugati o legalmente separati, il limite è € 7.844,20 annui nel 2025 (importo che verrà aggiornato nel 2026). Hai un reddito personale di € 6.000 annui e una pensione calcolata di € 400 mensili? Ottieni l’integrazione completa fino a € 611,84 mensili. Superi invece € 7.844,20 di reddito annuo? Nessuna integrazione, percepisci solo i € 400 effettivi più la maggiorazione straordinaria.
Il reddito rilevante comprende tutte le entrate del pensionato: pensioni dirette e indirette, redditi da lavoro dipendente o autonomo, redditi fondiari, proventi finanziari. L’INPS esclude dal calcolo solo poche voci: la pensione stessa da integrare, le prestazioni assistenziali come l’assegno sociale, la maggiorazione sociale, l’indennità di accompagnamento. Anche i redditi esenti da IRPEF devono essere dichiarati se superano determinate soglie.
Per i pensionati coniugati non separati legalmente, i limiti reddituali raddoppiano considerando anche il reddito del coniuge. L’integrazione piena spetta se il reddito coniugale complessivo non supera € 15.688,40 annui (doppio del limite per i single). Calcoli quindi: tuo reddito + reddito coniuge + eventuali pensioni. Se la somma resta sotto € 15.688,40, ottieni l’integrazione completa. Superi questa soglia ma resti comunque sotto € 31.376,80? Scatta l’integrazione ridotta, calcolata sulla differenza.
L’integrazione ridotta si calcola sottraendo il reddito complessivo dal limite massimo, dividendo poi per 13 mensilità. Esempio pratico: sei coniugato con reddito totale di € 20.000 annui, pensione calcolata di € 350 mensili. Limite massimo € 31.376,80 meno € 20.000 reddito = € 11.376,80. Dividi per 13 mensilità = € 875,14 mensili di integrazione teorica. Ma l’integrazione non può portare la pensione oltre il minimo di € 611,84, quindi ricevi: € 611,84 meno € 350 = € 261,84 mensili di integrazione effettiva.
Tabella: limiti di reddito per integrazione
| Situazione familiare | Limite integrazione piena | Limite integrazione ridotta | Oltre |
| Non coniugato/separato | € 7.844,20 annui | € 15.688,40 annui | Nessuna integrazione |
| Coniugato | € 15.688,40 annui | € 31.376,80 annui | Nessuna integrazione |
La verifica reddituale per l’integrazione al minimo avviene annualmente. L’INPS richiede ogni anno la dichiarazione dei redditi aggiornata. Ometti di presentarla? L’integrazione viene sospesa fino alla regolarizzazione della posizione. Mantieni sempre aggiornata la tua situazione reddituale presso l’INPS.
Calcolo dell’integrazione: esempi operativi con diversi scenari
Esamini ora alcuni casi concreti per comprendere il meccanismo di calcolo. Primo scenario: pensionato single con contributi misti (alcuni pre-1996), pensione calcolata € 450 mensili, reddito personale annuo € 5.000. Verifichi i requisiti: contributi misti presenti, reddito sotto € 7.844,20. Integrazione piena: € 611,84 meno € 450 = € 161,84 mensili. Totale pensione 2026: € 611,84 base + € 7,95 maggiorazione straordinaria = € 619,79 mensili.
Secondo scenario: pensionato coniugato con contributi misti, pensione calcolata € 300 mensili, reddito personale € 8.000 annui, reddito coniuge € 10.000 annui. Reddito complessivo € 18.000, superiore al limite piena (€ 15.688,40) ma inferiore al limite ridotta (€ 31.376,80). Calcoli l’integrazione ridotta: € 31.376,80 meno € 18.000 = € 13.376,80, diviso 13 = € 1.028,98 mensili teorici. Ma questo importo porterebbe la pensione oltre il minimo, quindi l’integrazione effettiva è: € 611,84 meno € 300 = € 311,84 mensili. Totale: € 619,79 mensili.
Terzo scenario: pensionato single con tutti contributi post-1996 (contributivo puro), pensione calcolata € 400 mensili, reddito personale € 4.000 annui. Nessun contributo nel retributivo: non scatta l’integrazione al minimo, indipendentemente dal reddito basso. Ricevi: € 400 base + € 5,20 maggiorazione straordinaria 1,3% = € 405,20 totali. L’assegno resta fermo a € 405,20 mensili, ben sotto il minimo di € 619,79.
Quarto scenario: pensionato coniugato con contributi misti, pensione calcolata € 500 mensili, reddito personale € 12.000 annui, reddito coniuge € 25.000 annui. Reddito totale € 37.000, superiore al limite ridotta (€ 31.376,80). Nessuna integrazione al minimo. Pensione effettiva: € 500 base + € 6,50 maggiorazione straordinaria = € 506,50 mensili. Non raggiungi il minimo garantito perché superi i limiti reddituali, anche avendo contributi nel retributivo.
Rivalutazione ordinaria e meccanismo di perequazione a scaglioni
La rivalutazione ordinaria adegua annualmente le pensioni all’inflazione rilevata dall’ISTAT attraverso l’indice FOI (Famiglie Operai Impiegati). Per il 2026 l’INPS stima una perequazione dell’1,4%, rivista al ribasso rispetto all’1,7% ipotizzato inizialmente. Questo adeguamento si applica con un meccanismo a scaglioni, differenziando le percentuali in base all’importo della pensione. Il sistema riattiva quanto previsto dalla Legge n. 160/2019, articolo 1, comma 478, sospeso parzialmente negli anni precedenti.
Gli scaglioni di rivalutazione seguono questa logica: rivalutazione piena al 100% per pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo (€ 2.413,60 mensili nel 2026), rivalutazione al 90% per la quota tra 4 e 5 volte il minimo (da € 2.413,61 a € 3.017,00), rivalutazione al 75% per la quota eccedente 5 volte il minimo (oltre € 3.017,00). Prendi € 2.000 mensili? L’1,4% si applica sull’intero importo: € 2.000 × 1,4% = € 28 mensili di aumento. Prendi € 3.500 mensili? Calcoli l’aumento su tre fasce differenti.
Esempio di calcolo su pensione elevata: € 3.500 mensili lordi. Prima fascia fino a € 2.413,60: € 2.413,60 × 1,4% × 100% = € 33,79. Seconda fascia da € 2.413,61 a € 3.017,00 (€ 603,40): € 603,40 × 1,4% × 90% = € 7,60. Terza fascia da € 3.017,01 a € 3.500 (€ 482,99): € 482,99 × 1,4% × 75% = € 5,07. Totale aumento: € 33,79 + € 7,60 + € 5,07 = € 46,46 mensili. Nuova pensione 2026: € 3.546,46 mensili.
La rivalutazione viene applicata dall’INPS automaticamente sulla rata di gennaio 2026. Non devi presentare alcuna domanda: l’adeguamento scatta d’ufficio su tutte le pensioni in pagamento al 31 dicembre 2025. Eventuali conguagli per differenze tra inflazione provvisoria (1,4%) e definitiva verranno regolati nella perequazione 2027. L’INPS pubblica entro fine anno la circolare definitiva con gli importi confermati e le tabelle complete di rivalutazione.
Tabella: perequazione delle pensioni per fasce
| Importo pensione mensile (lordo) | Fascia | Percentuale di Rivalutazione applicata | Aumento stimato (es. 1,4% annuo) |
| Fino a € 2.413,60 | 1° | 100% | € 8,44 ogni € 603,40 |
| € 2.413,61 – € 3.017,00 | 2° | 90% | € 7,60 ogni € 603,40 |
| Oltre € 3.017,01 | 3° | 75% | € 6,33 ogni € 603,40 |
I coefficienti di trasformazione per chi va in pensione nel 2026 sono stati aggiornati al ribasso rispetto al 2024. Un lavoratore con montante contributivo di € 420.000 a 67 anni percepirà € 23.562 annui nel 2025, contro i € 23.987 che avrebbe ottenuto nel 2024. Valuta attentamente il momento dell’uscita dal lavoro.
Maggiorazione sociale di € 20: requisiti e modalità applicative
La Legge di Bilancio 2026 introduce una maggiorazione sociale aggiuntiva di € 20 mensili (€ 260 annui), ma con requisiti molto stringenti che limitano fortemente la platea dei beneficiari. L’articolo 41 del disegno di legge rimanda all’articolo 38, comma 1, della Legge n. 448/2001, che disciplina le maggiorazioni per soggetti in condizioni economiche disagiate. Il requisito anagrafico fondamentale fissa l’età minima a 70 anni, riducibile di un anno ogni 5 anni di contributi previdenziali versati.
Beneficiano della maggiorazione tre categorie specifiche: titolari ultrasessantacinquenni di pensioni a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) per invalidità, vecchiaia e superstiti, percettori di assegno sociale, titolari di pensione sociale. Hai 68 anni e vai in pensione nel 2026? Non ricevi immediatamente i € 20, devi attendere il compimento del 70° anno. Hai però 40 anni di contributi? L’età si riduce di 8 anni (40 diviso 5 = 8), quindi ottieni la maggiorazione già a 62 anni se rispetti gli altri requisiti.
I limiti reddituali per la maggiorazione risultano più restrittivi rispetto all’integrazione al minimo. Per i pensionati non coniugati, il reddito personale non deve superare la somma annua della pensione minima più l’ammontare della maggiorazione sociale. Calcoli: € 7.844,20 (pensione minima annua) + € 260 (maggiorazione annua) = € 8.104,20. Superi anche di un euro questo limite? La maggiorazione non spetta. Per i coniugati, il reddito di coppia non deve eccedere il doppio di questa cifra, quindi € 16.208,40 annui.
La maggiorazione viene riconosciuta dall’INPS automaticamente se risulti già in pagamento con integrazione al minimo o assegno sociale. In caso contrario, devi presentare specifica domanda tramite i canali INPS (sito web con SPID, patronati, contact center). L’INPS verifica i requisiti anagrafici, reddituali e contributivi prima dell’erogazione. La decorrenza parte dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda, non retroattivamente. Presenti domanda a marzo 2026? L’importo aggiuntivo scatta da aprile.
Domande frequenti
€ 619,79 mensili lordi, comprensivi di rivalutazione ordinaria e maggiorazione straordinaria.
Solo chi ha almeno un contributo versato prima del 1° gennaio 1996 e rispetta i limiti reddituali.
€ 7.844,20 annui per i non coniugati, € 31.376,80 annui per i coniugati (con integrazione ridotta).
Fonti
- Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025) – Art. 1, comma 180
- Disegno di Legge di Bilancio 2026, Atto Senato n. 1689 – Art. 41
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448 – Art. 38
- Legge 29 dicembre 2022, n. 197 – Art. 1, comma 310
- Legge 11 dicembre 2019, n. 160 – Art. 1, comma 478
- Decreto Legislativo 12 settembre 1983, n. 463 – Art. 6, comma 1
- Circolare INPS n. 23 del 28 gennaio 2025