L’Inps indica la nuova procedura operativa in caso di omissioni di ritenute INPS in base a quanto stabilito dal Decreto Lavoro (dl 48/2023), che ha ridotto le sanzioni in caso di omissione del versamento di ritenute previdenziali, ovvero da un minimo di 1,5 volte fino a un massimo di 4 volte l’importo omesso.
Non solo le sanzioni diventano più favorevoli ma scatta anche la retroattività e copre anche le omissioni precedenti la data del 5 maggio, data di entrata in vigore del decreto. L’INPS specifica come la natura punitiva della sanzione renda possibile parificare la sanzione amministrativa a quella penale, con conseguente applicazione del principio della retroattività.
Le novità non terminano qui. Si allungano i tempi di notifica, fino a due anni, e si prevede una multa proporzionata alla violazione fino a un massimo di 10.000 €. Analizziamo insieme come funziona il nuovo profilo sanzionatorio più mite a favore dei datori di lavoro.
Decreto Lavoro, le nuove sanzioni per omissioni di ritenute INPS
Il Decreto-legge 48/2023, ovvero il cosiddetto Decreto Lavoro, riduce le sanzioni per omesso versamento delle ritenute previdenziali. Di conseguenza, l’Inps aggiorna le sanzioni e le modulistiche, come indicato nel messaggio INPS 1932/2023, per il ricalcolo in autotutela della minore sanzione per l’omesso versamento di ritenute contributive.
Le nuove sanzioni per omesso versamento di ritenute contributive da parte del datore di lavoro sono amministrative pecuniarie e sono rapportate alla somma omessa. Inoltre, possono essere definite più “miti” e l’importo della sanzione segue il seguente meccanismo:
- da un minimo di 1,5 volte
- fino a un massimo di 4 volte l’importo omesso.
La precedente normativa era più “pesante” e prevedeva sanzioni amministrative a carico del datore di lavoro per omesso versamento dei contributi previdenziali da 10.000 a 50.000 €, indipendentemente dall’entità dell’omissione.
Ritroviamo la nuova disciplina delle sanzioni nell’art. 23 del decreto-legge 48/2023 in relazione alle sanzioni amministrative in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali, che definisce quanto segue: “se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, la sanzione amministrativa pecuniaria da applicare può variare da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Nella previgente versione la sanzione da applicare era individuata nella misura da euro 10.000 a euro 50.000“.
Omissioni di ritenute INPS, allungamento dei termini per la notifica
Il Decreto Lavoro prevede termini più lunghi per la notifica della violazione per le somme inferiori a 10.000 €. Difatti, indica che la notifica degli estremi della violazione possa essere posticipata fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità oggetto della violazione, in relazione ai periodi di omissione dal 1° gennaio 2023. Tutto ciò è previsto dal comma 2 dell’art. 23 del decreto-legge 48/2023, relativo alle “modifiche alla disciplina delle sanzioni amministrative in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali“.
La violazione dell’omesso versamento delle ritenute contributive da parte dei datori di lavoro ai lavoratori costituiva reato fino al 2016. Dopo la depenalizzazione, a seguito del d.lgs. 8/2016, la violazione è soggetta a due regimi sanzionatori:
- penale se l’omesso versamento supera 10.000 € annui;
- pecuniaria se l’omesso versamento non supera 10.000 € annui.
Il Decreto Lavoro non prevede modiche del punto 1 in caso di omissioni superiori i 10.000 € e resta confermato quanto prevede la norma, ovvero la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032 €. Per entrambi le condizioni, il datore di lavoro non è punibile se versa le ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
Sanzioni, quando scatta la retroattività
Le sanzioni per omesso versamento delle ritenute previdenziali non sono solo diventate più favorevoli ma sono anche retroattive, ovvero si applicano per le omissioni commesse prima del 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del decreto. Le nuove sanzioni si applicano anche ai procedimenti in corso, con esclusione delle somme eventualmente già pagate.
Nello specifico, l’INPS equipara la sanzione amministrativa a quella penale ed è quindi possibile applicare il principio della retroattività, in conformità agli artt. 3 e 25 della Costituzione, all’art. 7 della Corte Europea per i diritti dell’uomo e all’interpretazione della Corte Costituzionale per casi analoghi (sentenze 63/2019 e 193/2016).
Inoltre, l’Istituto ha introdotto nuovi criteri che sono applicati in modo retroattivo per le sanzioni non ancora incassate e ha predisposto 4 modelli di rettifica delle ordinanze-ingiunzioni per le seguenti annualità:
- annualità fino al 2015 con contenzioso pendente;
- annualità fino al 2015 con rateazione in corso;
- annualità dal 2016 con contenzioso pendente;
- annualità dal 2016 con rateazione in corso.
Per quanto riguarda i contenziosi che si riferiscono ad annualità fino al 2015 è possibile raggiungere un accordo che preveda una sanzione ridotta della metà e il pagamento in 60 giorni dalla prima udienza, se non ancora svolta, o dall’udienza di trattazione già fissata.
Tuttavia, la retroattività non si applica sulle ordinanze il cui procedimento è definito a fronte del pagamento integrale della sanzione amministrativa. Qualora fosse in corso un pagamento rateale, l’importo residuo dovuto viene ricalcolato in base ai nuovi parametri introdotti dal Decreto Lavoro ed è possibile trovarsi in una delle seguenti condizioni:
- in caso di pagamento di rate superiori alla sanzione amministrativa rielaborata: il procedimento sanzionatorio termina e non è previsto nessuno rimborso;
- in caso le rate versate siano inferiori alla sanzione rideterminata: il nuovo piano rateale deve essere ridefinito.