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Obbligo di repêchage: cos’è?

Fisco NazionaleFiscalità del lavoroObbligo di repêchage: cos'è?

L’obbligo di repêchage consiste nel fatto che il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, deve vagliare tutte le possibilità di ricollocazione in azienda del lavoratore in esubero o divenuto inidoneo alle mansioni assegnate.

Il datore di lavoro che intenda effettuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, inteso come licenziamento individuale e non come licenziamento collettivo, ha l’onere di verificare e provare se sussistano o meno posizioni, anche inferiori, in azienda, in cui collocare il lavoratore. Il licenziamento diventa, pertanto, l’ultima ratio.

Che cos’è l’obbligo di repêchage?

L’obbligo di repêchage (ripescaggio) è connesso al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che, ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 604/1966 è dovuto per:

ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. 

La normativa prevede che il datore di lavoro vada a valutare la possibilità di ricollocare il lavoratore dipendente in una posizione diversa all’interno dell’azienda. Può trattarsi anche di una posizione inferiore rispetto a quella precedentemente svolta, ma utile a dargli la possibilità di conservare il posto di lavoro e lo stipendio.

Possono beneficiare di questa normativa tutti i lavoratori dipendenti, compresi i dirigenti. Questo obbligo deriva dal fatto che vi è necessità di proteggere i diritti dei lavoratori e garantire che il licenziamento sia l’ultima ratio possibile per l’azienda. Tuttavia, questo tipo di procedura di applica solo ai licenziamenti legati a motivi economici (individuali o collettivi).

In pratica, prima di procedere con la fuoriuscita del lavoratore (o dei lavoratori), l’azienda deve:

  1. Valutare se esistono altre posizioni disponibili all’interno dell’organizzazione in cui il lavoratore possa essere ricollocato;
  2. Considerare la possibilità di formazione o riqualificazione professionale per permettere al lavoratore di adempiere a un nuovo ruolo;
  3. Valutare se esistono altre misure alternative al licenziamento, come la riduzione dell’orario di lavoro o la sospensione temporanea del contratto;
  4. Osservare la mancata assunzione di nuovo personale nei 6 mesi successivi al recesso.

Se, dopo aver esaminato tutte queste opzioni, l’azienda decide comunque di procedere con il licenziamento, deve fornire una motivazione valida e dettagliata per giustificare la sua decisione.

Le origini dell’obbligo di repêchage

Secondo quanto è previsto dall’art. 3 della Legge n. 604/1966 il datore di lavoro può procedere ad effettuare, un licenziamento per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al funzionamento di essa. Tale facoltà concessa al datore di lavoro è espressione del principio della libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 della Costituzione.

L’obbligo di repêchage ha, pertanto, origine giurisprudenziale, e si tratta di un onere in capo al datore di lavoro di reimpiegare il lavoratore in mansioni diverse rispetto a quelle svolte, in modo da poter consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

L’obbligo si applica principalmente in caso di licenziamenti per motivi economici, ovvero quando l’azienda decide di licenziare un lavoratore a causa di difficoltà economiche, organizzative o produttive.

Quando deve essere applicato l’obbligo di repêchage?

L’obbligo di repêchage è connesso con il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ossia quello imposto da motivazioni economiche e di tipo aziendale. L’obbligo non sussiste nei confronti di tutti i dipendenti, i dirigenti ne sono esclusi.

Il datore di lavoro, ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha l’onere di provare la sussistenza delle ragioni che giustificano il licenziamento e deve, anche, provare l’impossibilitò di reimpiegare il lavoratore in altre mansioni analoghe o inferiori a quelle precedentemente svolte. L’azienda ha l’onere di dimostrare di aver rispettato l’obbligo di repêchage. In caso di contenzioso, sarà l’azienda a dover provare di aver valutato tutte le possibili alternative al licenziamento e di non aver trovato soluzioni idonee.

Nonostante l’obbligo in commento sia un principio fondamentale del diritto del lavoro italiano, esistono situazioni in cui può non trovare applicazione, come nel caso di chiusura totale dell’azienda o di cessazione completa di una determinata attività produttiva.

Demansionamento del lavoratore

Prima di procedere con il licenziamento, il datore di lavoro deve verificare che nell’organigramma non siano presenti mansioni equivalenti o mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento di quelle effettivamente svolte.

L’orientamento giurisprudenziale che prevede l’obbligo di repêchage per mansioni inferiori è stato confermato in seguito alla modifica dell’art. 2103 c.c. che ammette espressamente il demansionamento

  • In via unilaterale, nel caso in cui la modifica degli assetti organizzativi aziendali incida sulla posizione del lavoratore, con la possibilità per quest’ultimo di essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore; 
  • Mediante accordo in sede protetta, qualora la modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione avvenga nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione. 

Su chi ricade l’onere della prova?

Qualora il dipendente impugni il licenziamento, il datore di lavoro deve provare la legittimità del licenziamento, ovvero:

  • Le ragioni poste alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
  • Il nesso causale tra la posizione lavorativa del dipendente licenziato ed il motivo posto alla base del licenziamento;
  • Il rispetto dell’obbligo di repêchage.

Nel caso in cui il datore dopo un congruo periodo dal licenziamento, assuma una nuova risorsa attribuendole le medesime mansioni del lavoratore licenziato, il lavoratore può intervenire. Infatti, il giudice ha la possibilità di valutare come non legittimo il licenziamento e disporre, pertanto, il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e il pagamento di un’indennità monetaria in suo favore.

Tuttavia, secondo quanto previsto dall’Ordinanza del Tribunale di Roma del 27 ottobre 2014 l’obbligo di ripescaggio non sarebbe stato violato per un’assunzione con contratto a tempo determinato avvenuta poco prima del licenziamento. Questo, in relazione al fatto che questa tipologia contrattuale escluderebbe l’obbligo per il datore di proporre la posizione al lavoratore come alternativa al licenziamento.

Consultazione sindacale

Prima di procedere con un licenziamento collettivo, l’azienda è tenuta a consultare i rappresentanti sindacali dei lavoratori. Durante questa fase, l’azienda deve fornire informazioni dettagliate sulle ragioni del licenziamento e sulle misure considerate per evitare o ridurre gli esuberi.

Sul punto, l’ordinanza n. 118 del 7 gennaio 2020 ha affermato che la scelta dei lavoratori da estromettere in una ristrutturazione di un reparto aziendale non può ricadere esclusivamente sul personale di quel reparto. L’azienda deve provare la presenza di esigenze aziendali alla base della scelta dei destinatari del progetto di ristrutturazione, anche in caso di presenza di accordo sindacale.

Cosa deve provare il datore di lavoro?

In sede di contenzioso il datore di lavoro che vuole difendere la legittimità del licenziamento è chiamato a provare l’assolvimento degli obblighi di repêchage. In particolare, questo onere può essere soddisfatto attraverso la seguente documentazione:

  • Dimostrando che i posti di lavoro che riguardano mansioni equivalenti al momento del licenziamento erano già occupati da altri lavoratori;
  • Che per l’azienda non era possibile creare posti di lavoro nuovi nelle stesse mansioni occupate da altri lavoratori;
  • È trascorso un lasso di tempo ragionevole non è stata effettuata alcuna assunzione con la medesima qualifica del lavoratore;
  • Che il mantenimento della postazione lavorativa del lavoratore licenziato richiederebbe una riorganizzazione della struttura societaria complessa, antieconomica e gravosa in termini di costi;
  • Legata alla dimostrazione che la professionalità del lavoratore licenziato non è utilizzabile in alcun altro modo nell’ambito dell’organizzazione produttiva e aziendale.

Valutazione anche delle posizioni lavorative disponibili in un arco temporale prossimo alla data del recesso

Secondo quanto previsto dalla sentenza. 12132 dell’8 maggio 2023 il datore di lavoro deve prendere in considerazione non solo le posizioni lavorative vacanti al momento del recesso, ma anche quelle che si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il recesso.

Trasferimento in altra sede del lavoratore

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 16 marzo 2021, n. 7360, ha stabilità che il datore di lavoro ha assolto al suo obbligo di ripescaggio dimostrando l’impossibilità di ricollocare il lavoratore nelle sedi aziendali site in dette zone dove il lavoratore era disponibile al trasferimento.

Passaggio da contratto full time a part time

L’ordinanza n. 1499 del 21 gennaio 2019 della Corte di Cassazione ha stabilito che deve ritenersi dimostrato l’avvenuto obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro che, in alternativa al licenziamento, propone al dipendente in esubero di modificare il proprio orario di lavoro.

È necessario il consenso del lavoratore?

Un tema rilevante è legato al consenso del lavoratore in caso di ricollocazione in altri ruoli o mansioni. In particolare, occorre tenere in considerazione diversi scenari:

  • Nessuna necessità di consenso del lavoratore: nel caso in cui le mansioni disponibili appartengono allo stesso livello e categoria legale, ex art. 2103, co. 1, c.c.;
  • Necessità di consenso del lavoratore condizionata: nel caso in cui le mansioni disponibili riguardano un livello di inquadramento inferiore, purché della medesima categoria legale, con una modifica degli assetti organizzativi aziendali è richiesto il consenso del lavoratore (ex art. 2103, co. 2, c.c.). In questo caso è importante comunicare al lavoratore che la nuova assegnazione dipende dalla necessità di evitare l’esubero;
  • Necessità di consenso del lavoratore: nel caso di un mutamento di mansioni sia più rilevante è necessario il consenso del lavoratore (Ex art. 2013, co. 6 c.c.). In particolare, in caso di contemporaneo esercizio di mansioni proprie della qualifica e mansioni di minori competenze professionali, equivale al consenso implicito del lavoratore al suo demansionamento.

Deve essere evidenziato, inoltre, che tranne il caso di un mutamento significativo di mansioni la retribuzione deve restare identica. In caso di mutamento rilevante delle mansioni la retribuzione è quella corrispondente al livello assegnato.

L’offerta al lavoratore deve essere fatta prima del licenziamento?

Nel caso in cui l’azienda abbia a disposizione un posto con mansioni appartenenti allo stesso livello e categoria legale, esso deve essere attribuito al lavoratore in via preferenziale al recesso e quindi senza dar corso ad alcun licenziamento.

Se le mansioni disponibili appartengono a un livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale (art. 2103, comma 2, c.c.), una soluzione sistematica impone che la soluzione sia la stessa e che la loro assegnazione avvenga in automatico al posto del recesso.

Sanzioni

Se un’azienda non rispetta l’obbligo di repechage e procede con un licenziamento senza aver valutato adeguatamente le alternative, il licenziamento potrebbe essere dichiarato illegittimo. In tal caso, il lavoratore potrebbe avere diritto al reintegro nel posto di lavoro o a un’indennità risarcitoria.

Per quanto riguarda il regime sanzionatorio, occorre effettuare una distinzione tra i lavoratori assunti prima o dopo il 7 marzo 2015:

  • I lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 : qualora sia accertato che non ci siano gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di un’indennità di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità;
  • I lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015: continua ad applicarsi l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato nel 2012, che prevede due diverse tutele nel caso di licenziamento per GMO illegittimo;
    • In caso di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, il lavoratore può essere reintegrato con un risarcimento di 12 mensilità al massimo dell’ultima retribuzione globale di fatto.;
    • Nelle “altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo”, per le quali è prevista una sanzione esclusivamente risarcitoria tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.

La giurisprudenza

Sul tema particolarmente interessante è l’ordinanza della Cassazione n. 9937/24. Il principio espresso dai giudici è il seguente:

“In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla “insussistenza del fatto” – ipotesi comprensiva dell’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore – consegue sempre la tutela reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti dì legittimità del recesso”

Nel caso del licenziamento intimato al lavoratore, l’azienda non avrebbe fornito prova che tutti i posti di lavoro erano stabilmente occupati al momento del licenziamento e che, dopo di esso e per un determinato periodo di tempo, non erano state effettuate assunzioni.

Pertanto, se il datore di lavoro non rispetta l’obbligo di repêchage, il licenziamento del lavoratore deve considerarsi illegittimo. Il lavoratore può quindi impugnare il licenziamento e richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro o, in alternativa, un’indennità risarcitoria.

Conclusioni

L’obbligo di repechage rappresenta una delle principali tutele previste dal diritto del lavoro a favore dei lavoratori. Esso impone alle aziende di esplorare tutte le possibili alternative al licenziamento prima di procedere con questa drastica misura. La finalità è quella di garantire la stabilità occupazionale e di evitare, ove possibile, l’interruzione del rapporto di lavoro.

Le aziende sono chiamate a dimostrare di aver adempiuto a tale obbligo, e la mancata osservanza può comportare significative conseguenze giuridiche e economiche. In un contesto lavorativo sempre più dinamico e complesso, la corretta applicazione dell’obbligo assume un ruolo cruciale nella gestione delle risorse umane e nella relazione tra datore di lavoro e lavoratore. L’approfondimento della propria situazione personale passa attraverso l’ausilio di un consulente del lavoro o di un legale esperto di diritto del lavoro.

Domande frequenti

In quali situazioni si applica?

Si applica principalmente in caso di licenziamenti per motivi economici, organizzativi o produttivi.

Chi ha l’onere della prova?

L’azienda ha l’onere di dimostrare di aver rispettato tale obbligo.

Quali sono le conseguenze se un’azienda non rispetta l’obbligo?

Il licenziamento potrebbe essere dichiarato illegittimo, con possibili conseguenze risarcitorie o reintegrative a favore del lavoratore.

L’obbligo impone all’azienda di creare nuovi posti di lavoro?

No, l’obbligo non impone di creare nuovi posti ma di valutare la possibilità di reimpiegare il lavoratore in posizioni già esistenti e compatibili con le sue qualifiche.

Esistono eccezioni all’obbligo?

Sì, ad esempio in caso di chiusura totale dell’azienda o di cessazione completa di una determinata attività produttiva.

Come può un lavoratore verificare se l’azienda ha rispettato l’obbligo?

Il lavoratore può richiedere all’azienda informazioni in merito e, in caso di contenzioso, sarà l’azienda stessa a dover dimostrare di aver adempiuto all’obbligo.

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    Andrea Baldini
    Andrea Baldinihttps://fiscomania.com/
    Laurea in Economia Aziendale nel 2014 presso l'Università degli Studi di Firenze. Collabora stabilmente nella redazione di Fiscomania nel ambito fiscale. Appassionato da sempre di Start-up, ha il sogno di diventare business angel per il momento opera come consulente azienda nel mondo delle Start up. [email protected]
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