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Ne bis in idem e reati tributari

Ne bis in idem: cosa identifica il principio in esame? Quando si può parlare di violazione del ne bis in idem? Analizziamo il principio con particolare riferimento ai reati tributari.

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In una sua recente sentenza (Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 29/04/2021) 07/09/2021, n. 33071) la Suprema Corte ha offerto un importante contributo relativamente all’applicazione del principio del ne bis in idem alle ipotesi di violazioni tributarie. Quest’ultimo afferma che un soggetto non può essere processato più di una volta per un idem factum, che nel nostro ordinamento sembra esser stato consacrato all’art. 649 c.p.p..

Quando si parla di identità naturalistica del fatto, con riferimento al principio del ne bis in idem, non facciamo riferimento solo alla condotta.

Il fatto è composto da una triade, condotta, rapporto di causalità ed evento. Affinché ci sia diversità del fatto può cambiare una delle tre cose. Quindi la stessa condotta che cagiona un diverso evento è un diverso fatto.

Il principio del bis in idem è, quindi, esteso non solo ai processi penali, ma anche ai rapporti tra procedimento penale e formalmente amministrativo, ma sostanzialmente penale. In altri termini la conclusione di un procedimento amministrativo, ma sostanzialmente penale, preclude l’avevo di un procedimento penale e viceversa, se il fatto è naturalisticamente identico. 

Tuttavia, il doppio procedimento sembra ammissibile laddove sia individuabile un legame temporale. Tale ipotesi sovente si realizza con riferimento ai reati tributari.


Il principio del ne bis in idem

Il principio del ne bis in idem, secondo il quale un soggetto non può essere processato più di una volta per un idem factum, che nel nostro ordinamento sembra esser stato consacrato all’art. 649 c.p.p..

Sull’interpretazione del principio in questione sussistono due orientamenti.

Un primo orientamento processuale che prende in considerazione l’istituto del concorso formale di reati. Il principio è inteso, dunque, in senso formalistico, quindi se una condotta integra più reati, è possibile porre in essere più processi per reati distinti, ma non per il medesimo reato.  

Si sosteneva che per fatto dovesse intendersi il fatto in senso formale, la diversità del reato consentiva di superare la preclusione derivante dal bis in idem. La questione è stata affrontata con riferimento al noto caso Eternit e ai reati di omicidio e disastro innominato.

Il caso può esserci utile per individuare un esempio tangibile. Sul punto si diceva che il processo per disastro non precludesse un processo per omicidio, anche se i fatti alla base dell’omicidio sono gli stessi fatti alla base del disastro. Ciò accadeva in quanto il titolo del reato mutava.

Si accoglieva la nozione formale e giuridica dello  stesso fatto.

Tuttavia, la propsettiva cambia alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima ha accolto una nozione naturalistica del concetto di stesso fatto. La Corte costituzionale, adeguandosi alla giurisprudenza sovranazionale, ha dichiarato illegittimo l’art. 649, nella parte in cui consente di celebrare un secondo processo nonostante l’identità naturalistica del fatto, soltanto perché il fatto è diverso sotto dal punto di vista giuridico formale.

In buona sostanza, afferma la Corte Costituzionale che bisogna andare a verificare se c’è lo stesso fatto dal punto di vista naturalistico. Quindi se è lo stesso fatto il secondo processo non lo posso fare.

Identità naturalistica del fatto

Quando si parla di identità naturalistica del fatto, con riferimento al principio del ne bis in idem, non facciamo riferimento solo alla condotta.

Il fatto è composto da una triade, condotta, rapporto di causalità ed evento. Affinché ci sia diversità del fatto può cambiare una delle tre cose. Quindi la stessa condotta che cagiona un diverso evento è un diverso fatto.

L’identità della condotta non basta, perché il fatto si compone di condotta rapporto casualità ed evento, e serve l’identità di tutti e tre elementi.

La corte ha affermato, sempre con riferimento al caso precedente, che l’autorità giudiziaria può instaurare due processi. La contestazione, con oggetto l’omicidio o la lesione, deve riguardare lavoratori diversi da quelli che sono stati indicati come vittime dei reati di disastro aggravato o omissioni di cautela.

Per gli eventi già verificati, il giudice puà intervenire nuovamente. Occorrerà, tuttavia, accertare se la loro morte o lesione siano state specificamente considerate unitamente al nesso di causalità. Se il fatto già giudicato sia nei suoi elementi materiali il medesimo anche se differentemente qualificato.

Bisogna constatare se il fatto precedentemente contestato include già quell’evento e quel rapporto di causalità.

Ne bis in idem e procedimento amministrativo

La giurisprudenza Cedu ha esteso il ne bis in idem  anche ai procedimenti amministrativi sostanzialmente punitivi. In tal sede l’interprete ha accolto il concetto di pena sostanziale, sicché alcune sanzioni amministrative sono state considerate sostanzialmente penali, in base ai criteri engel.

Questi ultimi prevedono la possibilità di qualificare alternativamente una sanzione come pena, nonostante nasca formalmente amministrativa, tuttavia non è tale in considerazione delle conseguenze afflittive o la natura della violazione. Quindi può accadere che una sanzione formalmente amministrativa sia per gli interessi che tutela sia per la particolare affettività delle conseguenze considerata punitiva.

Criteri Engel

La vicenda Grade Stevens non è altro che il prodotto di una evoluzione giurisprudenziale, ancora in essere, ad opera della Corte EDU, sul principio del ne bis in idem, iniziata già con l’ampliarsi del concetto di materia penale.

In questa sentenza, la corte stabilisce tre criteri, attraverso i quali poter determinare quali misure hanno natura sostanzialmente penale e, come tali, fanno discendere in capo alle parti le garanzie connesse. Tali criteri, che nella causa Engel vengono riferiti all’ambito del diritto militare, sono resi criteri generali e consolidati dalla giurisprudenza.

La giurisprudenza ha, dunque, individuato i tre seguenti criteri per individuare la sanzione penale:

  • La qualificazione giuridica interna, secondo la quale “occorre anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l’illecito in questione appartengono, secondo il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o entrambi assieme” (Grande Stevens);
  • La natura dell’illecito e la funzione del conseguente provvedimento previsto, che deve essere applicabile in modo generale e avere scopo preventivo e repressivo;
  • In ultimo, la gravità della sanzione, che non deve necessariamente essere privativa della libertà personale, come confermato in successive sentenze.

Il doppio procedimento

Il principio del bis in idem è, quindi, esteso non solo ai processi penali, ma anche ai rapporti tra procedimento penale e formalmente amministrativo, ma sostanzialmente penale.

In altri termini la conclusione di un procedimento amministrativo, ma sostanzialmente penale, preclude l’avevo di un procedimento penale e viceversa, se il fatto è naturalisticamente identico. 

Non è un problema di cumulo sanzionatorio, non è di bis in idem sostanziale.

Il ne bis in idem preclude non è applicare due sanzioni, ma di non applicare due sanzioni all’esito di due diversi procedimenti sul medesimo fatto.

Il principio del bis in idem, elaborato dalla sent. AB contro la norvegia, che è stato recepito alla lettera dalla Corte di giustizia, perché il principio è espressamente recepito anche dalla carta di Nizza.

Questo doppio procedimento è ammissibile quando c’è una connessione temporale e sostanziale stretta tra i due procedimenti. Devono essere due procedimenti che anche se diversi hanno un legame sia sostanziale che temporale stretto. Questo accade quando perseguono scopi non identici, ma complementari. 

Dunque, affinché sia ammissibile il doppio procedimento:

  • deve esser conseguenza prevedibile della stessa condotta,
  • deve essere prevista adeguata interazioni tra i procedimenti.
  • è necessario evitare duplicazioni probatorie, quindi le prove raccolte in un procedimento possono esser utilizzate anche nell’altro.
  • I due procedimento si succedono in un tempo non lungo, per evitare la  protrazione irragionevole per arrivare a definire il scendo procedimento. Ricordiamo a tal proposito che vi è l’esigenza di ragionevole durata dei procedimenti connessi.

Doppio binario e reati tributari

La giurisprudenza della Cassazione, di recente, è intervenuta proprio sul sistema del doppio binario con riferimento ai reati tributari.

Il sistema del “doppio binario”, in questo contesto, è giustificato dalla rilevanza degli interessi nazionali e dalla diversità dei fini perseguiti dalle due procedure.

Mentre il procedimento amministrativo è volto al recupero a tassazione delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia tributaria. In altri termini, la minaccia di una sanzione detentiva per condotte particolarmente allarmanti, in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria, persegue, infatti, legittimi scopi di rafforzare l’effetto deterrente.

In tal modo si cerca di affermare la riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei. Inoltre si tenta di assicurare ex post l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell’amministrazione grazie ai meccanismi premiali connessi all’integrale saldo del debito tributario”. 

Tale interpretazione ha mosso la Corte di Cassazione a escludere la sussistenza del principio del ne bis in idem in relazione a sanzione penale (ex art. 4 D.Lgs. 74/2000) e amministrativa relative al medesimo fatto di dichiarazione infedele.

Rispetto ai procedimenti in questione, sussisterebbe il legame temporale che la Grande camera ha individuato come fondamento per giustificare il doppio procedimento.

Le recenti applicazioni

In una sua recente sentenza (Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 29/04/2021) 07/09/2021, n. 33071) la Suprema Corte ha offerto un importante contributo relativamente all’applicazione del principio del ne bis in idem alle ipotesi di violazioni tributarie.

La Cassazione ricorda come in base agli orientamenti giurisprudenziali più recenti in materia di ne bis in idem “deve essere respinta la tendenza ad espandere il concetto di identità del fatto fino a richiedere, quale unico presupposto per la sua sussistenza, la sola generica identità della condotta”.

Nella sentenza in esame, la giurisprudenza della Corte di cassazione è intervenuta nuovamente sul principio in questione, riaffermando i profili che poc’anzi abbiamo esposto. Anche in questa sede, quindi, l’interprete ha ricordato l’ormai accertata definizione di indentità del fatto, facendo riferimento alla c.d. triade: condotta, nesso di causalità ed evento.

In ragione poi del principio del nesso temporale e del sopracitato concetto di “fatto naturalistico”, la corte ha respinto il ricorso. Nell’ipotesi esaminata, infatti, non solo non era possibile discorrere di identità del fatto, ma era anche eventualmente rintracciabile il legame temporale.

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Avvocato "Laureatasi in Giurisprudenza con la votazione di 110 e Lode presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" e con approfondita conoscenza delle materie del Diritto Civile e del Diritto Amministrativo. Ha brillantemente concluso la pratica forense in diritto civile e il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Napoli Nord".

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