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Lavoro in Portogallo: devo pagare le imposte in Italia?

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Lavoro in Portogallo, devo pagare le imposte in Italia? Proviamo, grazie al quesito posto da un nostro lettore a rispondere definitivamente a questa domanda, dandovi gli strumenti per capire quando in caso di redditi esteri, siete tenuti a pagare le imposte anche in Italia.

La tassazione dei redditi percepiti all’estero è sempre un aspetto che genera molta confusione, in quanto vi sono vari aspetti da tenere in considerazione per capire quale stato ha la potestà impositiva sul reddito percepito.

Si deve tassare il reddito nello Stato ove è stato percepito? Nello Stato di residenza fiscale del percettore del reddito? Oppure si deve tassare in tutti e due gli Stati? 

Per rispondere a questa domanda, poi, devono essere tenute in considerazione le diverse Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato estero ove il reddito è stato percepito, per questo motivo, fornirvi una risposta generale non è possibile. Quando si percepiscono redditi esteri, infatti, è sempre opportuno andare ad analizzare in dettaglio ogni situazione.

In questo contributo ci occuperemo di un quesito riguardante i redditi da lavoro in Portogallo percepiti da un soggetto fiscalmente residente in Italia, che si chiede se e come sia tenuto a dichiarare nel nostro Paese questi redditi.

Il quesito del nostro lettore

Ecco il quesito pervenutoci: “Mi trovo attualmente a Lisbona, sono qui per studio dal oltre un anno. Nel tempo libero effettuo vari lavori saltuari nei ristoranti per contribuire alle spese. Adesso questa attività è diventata continuativa. Ricevo una busta paga sulla quel ho trattenute fiscale al governo portoghese. Non mi sono mai iscritto all’Aire, per mia negligenza (non sapevo di doverlo fare). Quello che mi chiedo è se sono tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi e a pagare le imposte anche in Italia? Dovrei iscrivermi all’Aire adesso? Come iscritto all’Aire dovrei presentare la dichiarazione dei redditi in Italia o sarei tenuto a pagare le tasse solo in Portogallo?

Non sono pochi gli italiani, sia studenti che lavoratori, ad avere deciso di trasferirsi in Portogallo in cerca di una nuova vita. Sicuramente l’opportunità di trovare lavoro in Portogallo non manca, e quindi molti dei nostri lettori si chiedono se, ed in quali casi, sono tenuti a pagare le imposte sui redditi percepiti all’estero anche in Italia.

Non è raro il caso in cui i lavoratori italiani domiciliati all’estero, ma ancora residenti in Italia, ignorino di dover pagare le imposte sul reddito anche in Italia. Vediamo, quindi, di dare una risposta chiara a questo argomento.

L’importanza dell’identificazione della residenza fiscale del lavoratore

Il concetto fondamentale per stabilire ove un soggetto sia tenuto a pagare le imposte sui redditi percepiti è quello di “residenza fiscale“, così come disciplinata dall’articolo 2, comma 2, del DPR n. 917/86 (TUIR). È in base al concetto di residenza fiscale, infatti, che trova applicazione la potestà impositiva, a livello fiscale, di ogni Nazione. Secondo base dell’articolo 2 del TUIR un soggetto si considera fiscalmente residente in Italia se verifica almeno uno dei seguenti requisiti (per la maggior parte del periodo di imposta):

  • È iscritto all’anagrafe della popolazione residente (ANPR);
  • Ha il proprio domicilio (inteso come il luogo ove si sviluppano principalmente le relazioni personali e familiari di una persona);
  • Ha la propria residenza (ai sensi dell’articolo 43 del codice civile in Italia);
  • Presenza fisica per oltre 183 giorni in Italia (contando per intero anche le frazioni di giorno).

Il mantenimento della residenza fiscale in Italia, come nel caso del nostro lettore, che nonostante sia all’estero da oltre 183 giorni nell’anno, non si è mai iscritto all’AIRE, comporta necessariamente l’obbligo di pagare le imposte sui redditi in Italia anche sui redditi prodotti all’estero.

Questo, infatti, è quanto prevede il principio della World Wide Taxation, previsto dall’articolo 3 del DPR n. 917/86, questo principio è uno dei pilastri fondamentali su cui si basa il nostro sistema fiscale, ma anche quello di molti dei sistemi fiscali dei Paesi europei.

Il concetto è molto semplice: un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite), in un unico Stato, quello di residenza, salvo poi ottenere un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della fonte).

Riassumendo, quindi, un lavoratore Italiano che svolge la sua attività lavorativa e ha la sua vita all’estero, ha ugualmente l’obbligo del versamento delle imposte sul reddito anche in Italia in concomitanza di almeno uno dei seguenti requisiti:

  • Essere residente in Italia, per almeno 183 giorni all’anno (la maggior parte dell’anno solare).
  • Essere iscritto nelle anagrafi comunali della popolazione residente in Italia (quindi, non essere iscritto all’AIRE).
  • Avere eletto nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio o la propria residenza , ai sensi dell’articolo 43 del codice civile.

Per approfondire: AIRE: “Anagrafe degli Italiani residenti all’estero“.

Tra queste fattispecie vi è una presunzione assoluta: un soggetto iscritto all’anagrafe di un comune italiano per almeno 183 giorni (anche non consecutivi), in un anno, è considerato fiscalmente residente in Italia, indipendentemente dalla prova della sua presenza nel territorio del nostro Paese.

Nella fattispecie del nostro lettore, non essendosi mai cancellato dall’anagrafe della popolazione residente, per questa presunzione assoluta, è considerato comunque residente fiscalmente in Italia, anche se dovesse fornire prove certe e non confutabili della sua residenza estera. Questo aspetto è fondamentale e dovrebbe essere chiaro a quanti di voi stanno per andare a lavorare all’estero o progettano di andarci.

Questo non soltanto sui redditi prodotti in Italia, ma anche sui redditi prodotti all’estero, anche se questi ultimi hanno già scontato le imposte nel Paese estero in cui il reddito è stato prodotto. Per questo motivo il nostro lettore è tenuto ogni anno a presentare la dichiarazione dei redditi in Italia e dichiarare i redditi esteri.

La tassazione dei redditi da lavoro dipendente percepiti all’estero

Se il lavoratore ha residenza fiscale in Italia e svolge attività lavorativa (come dipendente) all’estero, l’art. 23 del TUIR prevede che tale reddito debba essere imponibile anche in Italia. In questo caso, viene a crearsi una fattispecie di doppia imposizione giuridica del reddito. Questo, in quanto la prestazione è resa all’estero, ed ivi tassata, ma il soggetto mantiene la residenza fiscale italiana (ed ai sensi dell’art. 3 del TUIR anche in Italia).

Accanto a questa regola generale vi sono due disposizioni derogatorie che riguardano:

  • L’applicazione delle retribuzioni convenzionali: la prestazione di lavoro deve essere svolta all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, e deve essere svolta all’estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi;
  • I lavoratori frontalieri: Il lavoro dipendente deve essere svolto in zone di frontiera o in altri Stati limitrofi in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro, e il lavoratore deve recarsi quotidianamente all’estero per lo svolgimento della prestazione.

Qualora non possano trovare applicazione queste due disposizioni si applica il regime ordinario sopra indicato.

Convenzioni contro le doppie imposizioni 

Le disposizioni nazionali devono essere coordinate anche con le disposizioni presenti nelle convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia. In particolare, il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero è disciplinato dal modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni all’art. 15, secondo il quale:

  • In linea generale, il reddito di lavoro dipendente è tassato nello Stato dove l’attività viene svolta, oltre che, in base ai principi generali, nello Stato di residenza del lavoratore;
  • È però prevista la tassazione nel solo Stato di residenza del lavoratore se questo soggiorna nell’altro Stato per un periodo che non oltrepassa i 183 giorni nel corso di un periodo di 12 mesi e, contemporaneamente, le retribuzioni sono pagate da (o per conto di) un datore di lavoro non residente nello Stato dove viene svolta l’attività (e non sono pagate da una stabile organizzazione di cui il datore di lavoro dispone nello Stato in cui viene svolta l’attività). 

Secondo l’Agenzia delle Entrate deve seguire questi criteri anche la tassazione del TFR (Risoluzione n. 341/08, Risposte ad interpello n. 343/E/2020, e n. 460/E/2020).

Le retribuzioni convenzionali

Accanto alla regola generale legata alla tassazione ordinaria in Italia del reddito da lavoro dipendente prestato all’estero da parte di soggetto residente abbiamo detto che vi è una disciplina derogatoria legata alle retribuzioni convenzionali. Si tratta della disciplina dettata dall’art. 51, co. 8, del TUIR, secondo il quale:

il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministro del Lavoro e della previdenza sociale”

Si tratta di una norma agevolativa che consente di vedersi tassare non il reddito estero da lavoro dipendente effettivamente percepito ma, piuttosto, un reddito figurativo (solitamente più favorevole) previsto dalle tabelle ministeriali delle retribuzioni convenzionali. Questa disciplina, tuttavia, non è applicabile in tutti i casi. Infatti, prima di tutto occorre verificare che il settore economico in cui viene svolta l’attività da parte del lavoratore dipendente sia previsto nel Decreto ministeriale che determina le retribuzioni convenzionali. Si tratta di un Decreto che viene puntualmente pubblicato e aggiornato ogni anno. Inoltre, è necessario il rispetto di ulteriori specifici requisiti legati all’attività del lavoratore:

  • Il lavoratore dipendente deve mantenere residenza fiscale in Italia;
  • Svolgimento di lavoro dipendente all’estero in via continuativa che opera in uno dei settori di attività individuati nel nel decreto ministeriale sulle retribuzioni convenzionali;
  • Il lavoro sia oggetto esclusivo del rapporto;
  • Soggiorno all’estero per un periodo superiore a 183 giorni anche non consecutivi.

Qualora non trovi concreta applicazione una delle condizioni esposte non potrà trovare applicazione l’applicazione delle retribuzioni convenzionali per la tassazione del reddito. In questo caso il reddito deve essere dichiarato prendendo a riferimento la retribuzione effettivamente percepita (secondo il principio di “cassa“).

Attenuazione della doppia imposizione del reddito da lavoro dipendente estero

Come abbiamo visto, il lavoro in Portogallo come stage presso un’azienda, può comportare il pagamento delle imposte sui redditi in Italia. Questo è quanto è dovuto, almeno per il nostro lettore, che si trova a dover pagare le imposte sia in Portogallo che in Italia, a fronte di uno stesso reddito percepito.

Al fine di evitare questa doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, sia la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Portogallo (firmata a Roma il 14 maggio 1980), sia il TUIR, prevedono un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito. In particolare sia l’art. 24 della Convenzione che l’art. 165 del TUIR prevedono la possibilità che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo.

Imposte a titolo definitivo

A prima vista può sembrare complicato, ma in pratica l’articolo 165 del DPR n. 917/86 prevede che il nostro lettore, cittadino Italiano, che sostanzialmente svolge la sua vita all’estero ma continua ad essere iscritto all’anagrafe comunale della popolazione residente abbia l’obbligo di contribuire alle imposte sul reddito in Italia.

Nella sua dichiarazione dei redditi italiana, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef (l’imposta sui redditi) pari all’ammontare delle imposte pagate in Portogallo a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero.

Ad esempio se per un reddito pari a 1.000 euro la tassazione in Portogallo è pari al 20% ed in Italia pari al 23% il nostro lettore verserà all’Amministrazione finanziaria portoghese il 20% del reddito e all’Amministrazione finanziaria Italiana la sola differenza del 3%. In questo modo è correttamente applicato il principio di divieto di doppia imposizione di uno stesso reddito, previsto dall’articolo 165 del TUIR.

Le aliquote fiscali di tassazione delle persone fisiche in Portogallo

FASCIA DI REDDITOALIQUOTA %
0 – 7,47914.5
7,479 – 11,28421.0
11,284 – 15,99226.5
15,992 – 20,70028.5
20,700 – 26,35535.0
26,355 – 38,63237.0
38,632 – 50,48343.5
50,483 – 78,83445.0
78,83448.0

Lavoro in Portogallo e tassazione dei redditi: conclusioni

Cosa possiamo imparare dall’esperienza del nostro lettore?

Prima di tutto è bene ribadire che in questi casi è fondamentale consultare un Commercialista esperto in fiscalità internazionale, quando si intende trasferirsi all’estero per periodi maggiori di 6 mesi, sia per studio che per lavoro, in modo da pianificare correttamente gli adempimenti fiscali conseguenti.

Non potendo tuttavia generalizzare in quanto ogni situazione personale ha le sue peculiarità, quello che posso dirvi è che se un cittadino Italiano svolge la sua vita (personale e/o lavorativa) all’estero, per evitare il pagamento delle imposte sul reddito anche in Italia dovrebbe trasferire la propria residenza fiscale all’estero, iscrivendosi all’AIRE.

La questione però non si risolve così semplicemente, è necessario che il contribuente che intende trasferirsi all’estero (in questo caso per lavoro in Portogallo) sposti con se il c.d. “centro degli interessi vitali“, intendendo con tale locuzione sia i suoi principali interessi familiari e lavorativi. Un soggetto che vuole trasferirsi all’estero lasciando la sua famiglia in Italia o i suoi principali interessi economici in Italia sarà sicuramente soggetto a controlli ed accertamenti, per questo è bene pianificare con cura ed in anticipo questi aspetti legati alla normativa fiscale.

Questo, anche se potrà sembrarvi poco conveniente, vi consentirà di risparmiarvi in futuro un possibile lungo e costoso contenzioso fiscale con l’Amministrazione finanziaria.

Se tutto questo non dovesse essere sufficiente?

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    Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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