Una delle questione maggiormente discusse dai vertici di Governo e dell’Unione Europea è il tema dell’inflazione. Sono, infatti, dello scorso 21 dicembre i dati, invero poco rassicuranti, sul tasso di crescita dei prezzi dei beni di consumo, e di conseguenza anche sul tasso di inflazione.
Il problema principale che tale repentino aumento, sicuramente incentivata dalla crisi economica conseguente l’emergenza sanitaria, è che presumibilmente eliminerà gli effetti benefici del tasso di crescita del Paese.
Il 21 dicembre l’Istat ha infatti pubblicato in Gazzetta Ufficiale la variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi) relativa a novembre: +3,6% rispetto allo stesso mese del 2020 (da non confondere con il +3,7% dell’indice Istat “generale” Nic).
Proprio il timore delle ripercussioni, soprattutto sulle famiglie, di questo aumento che a gran voce si invoca l’intervento delle Banche Centrali. Sul punto è necessario un intervento strutturale da parte delle Banche Centrali, che, come in parte già annunciato, dovranno impegnarsi a riportare l’inflazione su un valore medio di lungo periodo di circa il 2%, contro l’atteso 3% del prossimo anno.
Vediamo allora cosa c’è da sapere e quali sono le prospettive a medio e lungo termine.
Come l’inflazione influisce sull’economia?
Uno degli aspetti che preoccupa maggiormente le istituzioni europee è l’incidenza del tasso di inflazione sull’economia del Paese. Nonostante la timida crescita di alcuni Stati, l’inflazione sembra impattare pesantemente sulle tasche degli italiani e non solo, in un momento storico in cui l’economia ancora risente dell’emergenza sanitaria.
Il 15 dicembre il ministero dell’Economia ha divulgato al riguardo dati poco confortanti. E’ stato reso noto qual il tasso di inflazione per quest’anno, che è salito all’1,9 %, contro un tasso di crescita di appena 0,3%.
Come è immaginabile, quindi, la crescita è fortemente scoraggiata dall’aumento dei prezzi dei beni sia di consumo, che essenziali.
Il 21 dicembre l’Istat ha invece pubblicato in Gazzetta Ufficiale la variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi) relativa a novembre: +3,6% rispetto allo stesso mese del 2020 (da non confondere con il +3,7% dell’indice Istat “generale” Nic).
Inoltre, il Ministro dell’Economia ha anche comunicato quello che il saggio d’interesse legale valido dal 1° gennaio 2022, che salirà dall’attuale 0,01% (minimo storico) all’1,25 per cento.
Dopo quasi 15 anni di silenzio, con tassi di crescita dei prezzi che dopo la crisi finanziaria del 2008 si erano stabilizzati su una media annua inferiore all’1%, con picchi negativi del -0,1% nel 2016 e del -0,2% nel 2020.
Sul punto, Federico Ferri, senior partner di JobPricing:
“I dati ci mostrano tendenze preoccupanti.La dinamica dei salari, seppur positiva, non compensa minimamente l’aumento dell’inflazione. Se questo trend dovesse continuare potrebbe ridurre o addirittura azzerare l’effetto positivo della riduzione dell’Irpef prevista per il 2022”.
Cosa comporta l’aumento dell’inflazione?
L’aumento dell’inflazione comporta non poche conseguenze sull’economia generale, che risente della crisi derivante dalla pandemia. Invero, il fenomeno dell’aumento è sicuramente connesso all’emergenza sanitaria, che ha comportato un rincaro considerevole dei prezzi.
Questa crescita repentina, se dovesse continuare le ripercussioni, soprattutto sul risparmio, potrebbero essere ingenti. Sembra, tuttavia, che con il fenomeno dell’inflazione dovremmo imparare a convivere, almeno per alcuni anni. Laddove questa prospettiva dovesse effettivamente realizzarsi, l’erosione del capitale a disposizione delle famiglie.
Sul punti, invero, si è espressa anche la Banca d’Italia. Come accertato dalle stime sui conti correnti delle famiglie vi sono giacenze liquide superiori ai 1.800 miliardi di euro, mentre sui conti delle imprese il cash depositato in banca ammonta a circa 500 miliardi.
Tuttavia, se da un lato le aziende sanno come gestire in modo attivo delle proprie liquidità, le famiglie potrebbero ampiamente risentirne. Infatti, per le famiglie l’erosione del capitale rischia di assumere importanti ripercussioni.
Sarà un fenomeno transitorio?
Una delle questioni su cui si dibatte maggiormente negli ultimi giorni dell’anno, è se questo fenomeno è transitorio o purtroppo dovremo imparare a conviverci. Negli scorsi decenni, in specie fino agli anni ’90, l’inflazione era una componente ordinaria della vita economica del Paese. Molte, invero, sono state le relative ripercussioni. Cosa dobbiamo aspettarci allora per il futuro?
Negli ultimi 25 anni di inflazione è stata, invero, complessivamente contenuta a causa della spinta al ribasso o al congelamento dei prezzi dovuta alla globalizzazione. Nell’arco di tempo che si estende dal 1996 al 2021, l’inflazione e la relativa perdita di potere d’acquisto della moneta non ha posto particolari criticità.
Infatti, come è stato stimato, grazie ad una stabilizzazione dell’inflazione e la contestuale crescita delle borse globali, hanno consentito un considerevole accumulo di ricchezza delle attività investite in capitale di rischio.
Tuttavia, negli ultimi anni siamo stati colpiti da un vero e proprio tsunami, e l’economia risente totalmente del cambio di scenario, sia a causa della pandemia che dei processi di rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato (reshoring).
Dunque, gli effetti di questi due fenomeni, che hanno prodotto come conseguenza l’aumento del tasso di inflazione, sono difficilmente preventivabili.
Sul punto, quindi, è necessario un intervento strutturale da parte delle Banche Centrali. Queste, come in parte già annunciato, dovranno impegnarsi a riportare l’inflazione su un valore medio di lungo periodo di circa il 2%, contro l’atteso 3% del prossimo anno.
Se questi livelli di inflazione annua dovessero confermarsi nei prossimi 10 anni la perdita di potere d’acquisto del capitale mantenuto liquido e non investito ammonterebbe al 28,5%. La stima è ben superiore a quanto, invece, si attendeva in precedenza. Era, infatti, previsto un ben più modesto 6% se la media dei prezzi del prossimo decennio si fosse confermata quella del 2019.