L’azione revocatoria sta diventando, in un contesto economico segnato dal crescente numero di aziende in crisi, un argomento di notevole interesse. La revocatoria rappresenta uno strumento di tutela degli interessi del ceto creditorio. Allo stesso tempo l’azione revocatoria è uno strumento deterrente per l’inibizione di azioni fraudolente da parte del debitore.
Per questo può essere utile conoscere gli strumenti con quali poter fare valere le proprie pretese nei confronti dei soggetti che fraudolentemente compiono atti volti a sottrarre i propri beni dal patrimonio aziendale. L’azione revocatoria, può essere suddivisa nelle sue due accezioni di:
- Azione revocatoria ordinaria e
- Azione revocatoria fallimentare,
Per capire l’importanza dell’azione revocatoria è necessario avere come punto di riferimento il concetto di responsabilità patrimoniale del debitore per la soddisfazione delle obbligazioni da lui assunte. Proprio per garantire che il debitore non possa compiere atti volti a sottrarre i propri beni dalle azioni del creditore, esistono delle specifiche azioni giudiziarie che il creditore può intraprendere.
Una di queste è l’azione revocatoria, disciplinata dagli articoli da 2901 a 2904 del codice civile. Questo per quanto riguarda l’azione revocatoria ordinaria, e dall’articolo 67 della Legge fallimentare per la l’azione revocatoria fallimentare.
L’azione revocatoria ordinaria
L’azione revocatoria ordinaria (articolo 2901 c.c.) è l’azione che permette al creditore di fare dichiarare inefficaci gli atti dispositivi che il debitore abbia compiuto in pregiudizio alle sue ragioni.
L’effetto dell’azione revocatoria non consiste nella dichiarazione di nullità degli atti di alienazione compiuti dal debitore. Al contrario l’azione revocatoria consente la dichiarazione di inefficacia relativa, degli atti del debitore. Questo nel senso che l’atto di alienazione non può che essere opposto al solo creditore che ha agito, mentre nei riguardi del terzo acquirente e degli altri soggetti è perfettamente valido ed efficace.
Fatta questa indispensabile precisazione vediamo gli elementi essenziali dell’azione revocatoria.
A che cosa serve l’azione revocatoria ordinaria?
Nel caso in cui il debitore ponga in essere atti di disposizione del proprio patrimonio con il solo fine di sottrarre i propri beni all’azione esecutiva del creditore sta commettendo una frode. Attraverso l’azione revocatoria ordinaria il creditore può ottenere la reintegrazione della propria garanzia sul patrimonio del debitore.
Il creditore può dunque domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio, a titolo oneroso o a titolo gratuito, con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni (art. 2901 c.c.). Come detto, l’azione revocatoria porta all’inefficacia relativa degli atti dispositivi del debitore.
Quali sono i presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria?
Il creditore può chiedere l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria per il solo fatto di essere titolare di un diritto di credito. Oltre a questo, i presupposti affinché si possa parlare di una azione revocatoria ordinaria sono i seguenti:
- Consilium Fraudis: vi deve essere stata frode del debitore. Questa frode consiste nella conoscenza del pregiudizio che l’atto di disposizione può arrecare alle ragioni del creditore. Se l’atto è stato compiuto prima che sorgesse il diritto di credito è necessario che l’atto di disposizione fosse dolosamente preordinato al fine di danneggiare il futuro creditore;
- Eventus Damni: l’atto di disposizione posto in essere dal debitore deve essere di natura tale da poter danneggiare gli interessi del creditore. Di conseguenza se il patrimonio del debitore è composto di molti cespiti di rilevante valore, la vendita di alcuni di essi non potrà danneggiare gli interessi del creditore poiché quest’ultimo, in caso di inadempimento, potrà sempre rivalersi sugli altri beni del patrimonio del debitore.
Un’altra condizione necessaria per l’azionabilità dell’azione revocatoria ordinaria consiste in un elemento soggettivo (c.d. “scientia damni“). Con esso si fa riferimento alla ricorrenza in capo al debitore ed eventualmente in capo al terzo (per atti a titolo oneroso), della consapevolezza che, con l’atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale o, circa un atto anteriore al sorgere del credito, lo stesso fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento.
Vi sono poi ulteriori presupposti per l’azione revocatoria ordinaria in relazione al tipo di atto messo in piedi dal debitore. In particolare:
- Se l’atto è a titolo oneroso per agire in revocatoria, oltre la frode e il danno, è anche necessario che il terzo fosse consapevole del pregiudizio che arrecava alle ragioni del creditore (e cioè fosse malafede). Trattandosi di atto di disposizione compiuto prima della nascita dell’obbligazione, è necessario che il terzo abbia partecipato alla dolosa preordinazione con il debitore per pregiudicare gli interessi del creditore;
- Se l’atto è a titolo gratuito per agire in revocatoria sarà sufficiente dimostrare l’esistenza della frode e il prodursi del danno. Mentre sarà irrilevante l’eventuale buona fede del terzo che abbia acquisito il diritto
Quali gli effetti dell’azione revocatoria ordinaria?
L’azione revocatoria opera ad esclusivo vantaggio del creditore che ha agito (e non verso tutti i creditori). Questo significa che l’atto revocato rimane perfettamente valido, ma esso è inefficace nei confronti del creditore che ha agito, che potrà soddisfarsi sul bene oggetto dell’atto revocato come se esso non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore e sottoporlo ad esecuzione forzata (ex art. 2902 c.c.).
Sostanzialmente, l’effetto tipico dell’azione revocatoria ordinaria è quello di rendere inefficaci verso il creditore procedente gli atti di disposizione impugnati, consentendogli di agire esecutivamente sul bene come se su di esso vantasse un diritto di seguito.
L’azione revocatoria ordinaria mantiene valido l’atto di disposizione revocato mantenendo, quindi anche verso i creditori, la propria efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo all’acquirente. Tuttavia, tramite la revoca dell’atto di disposizione, si crea in capo al creditore un’azione esecutiva nei confronti di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, ossia nei confronti del terzo acquirente, assoggettato, quanto al bene oggetto dell’atto revocato, all’aggressione esecutiva del creditore, fino alla concorrenza del debito verso il creditore che ha agito in revocatoria.
Attenzione! Possono essere oggetto di revocatoria anche i pagamenti di debiti non scaduti, qualora vi siano azioni traslative pregiudizievoli da parte del debitore.
Quali termini di prescrizione dell’azione revocatoria ordinaria?
L’azione revocatoria ordinaria si prescrive nel termine di 5 anni dal compimento dell’atto pregiudizievole da parte del debitore. Questo ai sensi dell’art. 2903 c.c.
Onere probatorio a carico del creditore
Per atti compiuti anteriormente al sorgere del credito, il creditore ha l’onere di dimostrare che l’attuale debitore, alla data della sua stipulazione, era intenzionato a contrarre debiti (o comunque era consapevole del fatto che in futuro sarebbe sorta l’obbligazione) ed ha compiuto l’atto dispositivo proprio in funzione del sorgere della futura obbligazione, allo scopo di precludere o rendere più difficile al creditore la riscossione del credito.
Per gli atti compiuti posteriormente al sorgere del credito, la consapevolezza dell’evento dannoso da parte del terzo contraente, consiste nella generica conoscenza del pregiudizio che l’atto a titolo oneroso posto in essere dal debitore può arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra il terzo ed il debitore. In conclusione, circa il riferimento temporale, è il momento in cui il credito sorge, non quello in cui lo stesso viene accertato giudizialmente.
Attuazione dell’azione revocatoria ordinaria
L’applicazione dell’azione revocatoria ordinaria consente una richiesta diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto di disposizione del debitore, che viene accertata con effetto retroattivo. Conclusa questa fase vi è l’esperimento delle eventuali azioni esecutive o cautelari sui beni oggetto dell’atto revocato che rimane di proprietà del terzo acquirente.
Sono fatte salve dal codice civile le norme sull’azione revocatoria in sede fallimentare (art. 64 ss. Legge Fallimentare), riguardanti gli atti del debitore, che rivesta la qualifica di imprenditore commerciale di cui sia stato accertato lo stato di insolvenza. A questo riguardo deve segnalarsi che sono revocabili anche i pagamenti di debiti scaduti, in quanto si considerano effettuati in spregio del principio della par condicio creditorum.
L’azione revocatoria fallimentare
L’azione revocatoria fallimentare (articolo 67 della Legge Fallimentare) è uno strumento utilizzabile dal curatore fallimentare allo scopo di ricostituire il patrimonio del fallito destinato alla soddisfazione dei suoi creditori. L’obiettivo è di far rientrare nel patrimonio del debitore quanto ne era uscito nel periodo antecedente al fallimento (il cosiddetto periodo sospetto).
L’azione revocatoria fallimentare consente, infatti, di colpire gli atti del debitore insolvente che hanno inciso sul suo patrimonio in violazione del principio della par condicio creditorum.
L’azione revocatoria fallimentare è assistita da una serie di presunzioni a favore del fallimento. Essa deve essere esperita, a pena di decadenza entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento. Oppure, se il termine è inferiore, 5 anni dal compimento dell’atto. Sono aggredibili per mezzo della proposizione dell’azione revocatoria fallimentare.
Chi esercita l’azione revocatoria fallimentare?
E’ legittimato ad esercitare l’azione revocatoria fallimentare il curatore fallimentare, il quale deve proporla davanti al Tribunale che ha dichiarato il fallimento. Questo, entro il termine di tre anni dalla dichiarazione e comunque non oltre cinque anni dal compimento dell’atto, a pena di decadenza.
Quando si attiva l’azione revocatoria fallimentare?
L’azione revocatoria fallimentare è uno strumento che il legislatore ha previsto per permettere la ricostituzione del patrimonio del fallito, andando a rendere inefficaci gli atti che il fallito ha posto in essere nel periodo antecedente la dichiarazione del fallimento, in violazione del principio della par condicio creditorum.
Mediante l’azione revocatoria fallimentare, tutti gli atti di disposizione, i pagamenti e le garanzie poste in essere dal fallito nell’anno o nei sei mesi antecedenti il fallimento, sono dichiarati inefficaci. È fatta eccezione per la circostanza in cui la controparte non fosse a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore. L’onere probatorio è a carico del curatore.
Nel momento in cui il terzo per effetto dell’azione revocatoria fallimentare ha restituito quanto ricevuto dal debitore, anche costui è ammesso al passivo fallimentare per il credito che dovesse eventualmente ancora vantare.
Quali sono gli atti che sono considerati anomali da parte del debitore?
Atti considerati anomali per i quali spetta al terzo l’onere di provare la sua buona fede (c.d. “inversione dell’onere della prova“). Ovvero la sua non conoscenza dello stato di decozione del soggetto poi fallito, (art. 67 comma 1 L.F.). Si tratta di:
- Atti per i quali esiste una sproporzione di almeno 1/4 fra la prestazione resa e quella ottenuta dal fallito, compiuti nell’anno precedente a quello della sentenza di fallimento;
- Pagamento di debito scaduto effettuato con mezzi anomali (datio in solutum), eseguito dal fallito nell’anno antecedente la sentenza di fallimento;
- Garanzie per debiti non ancora scaduti, prestate dal fallito nell’anno antecedente la sentenza di fallimento;
- Garanzie per debiti già scaduti, prestate dal fallito nei 6 mesi antecedenti la sentenza di fallimento.
Atti a titolo gratuito
Per quanto riguarda gli atti a titolo gratuito (ad esempio, una rinuncia o una remissione), compiuti dal fallito nei due anni precedenti la dichiarazione di fallimento, la revoca avviene in forza di legge.
Crediti
La revoca è prevista anche per i pagamenti di crediti scadenti nel giorno della dichiarazione di fallimento o successivamente alla dichiarazione di fallimento. In questo caso il fallito deve aver effettuato l’operazione anomala nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. Anche in questo caso gli atti compiuti sono privi di effetto. L’azione eventualmente promossa dal creditore per poterne fare dichiarare l’inefficacia ha una natura dichiarativa, e non è soggetta a prescrizione.
Atti a titolo oneroso
Per gli atti a titolo oneroso l’art. 67 L.F. ha distinto quattro diverse categorie per gli atti che siano compiuti dal fallito nell’anno o nei sei mesi anteriori al fallimento.
Atti esclusi dall’azione revocatoria fallimentare
Non tutti gli atti posti in essere dal soggetto fallito possono dunque essere sottoposti ad azione revocatoria fallimentare. In particolare, vi sono alcuni atti che sono sottratti all’azione revocatoria fallimentare. In particolare, si tratta di:
- Pagamenti di beni e servizi che sono effettuati nell’esercizio dell’attività caratteristica di impresa nei termini d’uso;
- Le rimesse che sono effettuate su un conto corrente bancario, a patto che non abbiano ridotto in maniera ritenuta “consistente” e “durevole” l’esposizione debitoria del fallito nei confronti dell’istituto di credito;
- Le vendite e i preliminari di vendita “a giusto prezzo”, che abbiano come oggetto gli immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero quelli che sono destinati a costituire la sede principale dell’impresa dell’acquirente;
- Gli atti, i pagamenti e le garanzie che risultano essere state concesse su beni del debitore, a patto che siano posti in essere in esecuzione di un piano, la cui fattibilità deve essere attestata da un professionista non legato all’impresa, e in grado di apparire come idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria della stessa e ad assicurarne il riequilibrio finanziario;
- Gli atti, i pagamenti e le garanzie che risultano essere state essere concesse in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182-bis, nonché posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’art. 161;
- I pagamenti dei corrispettivi per le prestazioni di lavoro che vengono effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
- I pagamenti di debiti ritenuti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per poter ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.
Piani attestati di risanamento e revocatoria
Del piano di risanamento tratta l’art. 67, terzo comma, lett. d, della legge fallimentare introdotto dal decreto legge n. 35 del 14 marzo 2005 cosiddetto decreto competitività (“Non sono soggetti all’azione revocatoria: (omissis) d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore) convertito dalla legge n. 80/2005. L’attuale formulazione dell’istituto è frutto della modifica apportata con la legge 83/2012 di conversione del Decreto Sviluppo.
In pratica, è possibile per un’impresa in crisi/insolvente predisporre un piano che sia, o almeno appaia, idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria facilitando i creditori nel recupero del proprio credito. E’ questo il motivo per cui gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore in esecuzione del piano non sono soggette a revocatoria fallimentare (oltre all’esenzione di alcuni reati di bancarotta) salvaguardando così i soggetti coinvolti nell’operazione di risanamento dagli effetti del possibile fallimento del debitore con il quale si sono intrattenuti rapporti, purché il piano sia attestato, quanto a veridicità dei dati aziendali e a fattibilità dello stesso, da un professionista, designato dal debitore, con il requisito dell’indipendenza.