Amministratore unico e dipendente: perché non è possibile

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Amministratore unico e dipendente della stessa società: l’incompatibilità secondo INPS e giurisprudenza.

La questione dell’incompatibilità tra amministratore unico e rapporto di lavoro dipendente è ormai definitivamente risolta dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa. Contrariamente a quanto molti imprenditori sperano, l’amministratore unico non può mai essere considerato dipendente della propria società. Questa impossibilità deriva da ragioni strutturali profonde che rendono inconciliabili le due posizioni giuridiche. Comprendere i motivi di questa incompatibilità è fondamentale per evitare costosi errori nella gestione societaria e contributiva.

Il principio generale: quando amministratore e dipendente possono coesistere

Prima di analizzare il caso specifico dell’amministratore unico, è importante comprendere che la compatibilità tra incarico amministrativo e rapporto di lavoro subordinato non è sempre esclusa. La giurisprudenza ha infatti chiarito che, in linea di principio, è possibile ricoprire contemporaneamente il ruolo di amministratore e quello di dipendente nella stessa società, purché sussistano condizioni molto specifiche.

Questo orientamento, consolidatosi negli anni ’90 con le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione n. 10680/94 e della Cassazione n. 1793/96, ha superato l’iniziale rigidità dell’INPS che, con la circolare n. 179/89, escludeva categoricamente tale possibilità per presidenti, amministratori unici e consiglieri delegati. La svolta giurisprudenziale ha stabilito che essere organo di una persona giuridica non impedisce automaticamente la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato, quando sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione.

Tuttavia, questa apertura generale trova limiti invalicabili in specifiche figure amministrative, prima fra tutte quella dell’amministratore unico, che per sua natura strutturale non può mai essere subordinata a se stessa.

L’amministratore unico: un’incompatibilità strutturale insuperabile

L’incompatibilità dell’amministratore unico con la qualità di lavoratore dipendente non è frutto di una scelta normativa arbitraria, ma deriva da una impossibilità logica e giuridica che la stessa natura dell’incarico comporta. L’amministratore unico, come suggerisce il nome, concentra in sé tutti i poteri gestori della società, diventando l’unico organo decisionale dell’ente.

Questa concentrazione di poteri determina l’assenza di una relazione intersoggettiva che possa giustificare un rapporto di subordinazione. Come ha chiaramente evidenziato l’INPS nei messaggi n. 12441/2011 e n. 3359/2019, manca completamente la possibilità di distinguere tra la posizione del soggetto come organo direttivo della società e quella dello stesso soggetto come esecutore di prestazioni lavorative. In sostanza, l’amministratore unico non può essere subordinato a se stesso né può esercitare il potere direttivo, di controllo e disciplinare su se medesimo.

La conferma della Cassazione

La Cassazione, con la sentenza del 13 novembre 2006 n. 24188, ha fornito ulteriore chiarezza su questo aspetto, confermando che l’amministratore unico non può mai configurare un valido rapporto di lavoro subordinato con la società che amministra. Questa pronuncia ha rappresentato un punto fermo nella giurisprudenza, eliminando ogni possibile dubbio interpretativo sulla questione.

La ratio di questa impossibilità risiede nel fatto che il rapporto di lavoro subordinato presuppone necessariamente l’esistenza di due soggetti distinti: uno che esercita il potere direttivo (il datore di lavoro) e uno che vi è sottoposto (il lavoratore dipendente). Nel caso dell’amministratore unico, questa dualità soggettiva viene meno, rendendo impossibile la configurazione del vincolo di subordinazione.

Le altre figure amministrative: quando la compatibilità diventa possibile

L’organo amministrativo può essere formato anche in composizione diversa, ed ecco che in questi casi le possibilità di compatibilità con il lavoro dipendente diventano applicabili.

Il presidente del consiglio di amministrazione

Diversamente dall’amministratore unico, il presidente di un consiglio di amministrazione può mantenere lo status di lavoratore subordinato quando rimane effettivamente soggetto alle direttive e al controllo dell’organo collegiale. La giurisprudenza (Cassazione n. 11978/2004 e n. 18414/2013) ha chiarito che anche il presidente, al pari di qualsiasi membro del consiglio, può essere sottoposto alle decisioni e al controllo dell’organo nel suo complesso.

Questa possibilità non viene meno neppure quando al presidente viene conferito il potere di rappresentanza, poiché tale delega non estende automaticamente i poteri deliberativi individuali. Il presidente rimane comunque vincolato alle decisioni collegiali e può svolgere mansioni lavorative distinte da quelle propriamente amministrative, sotto la direzione e il controllo del consiglio di amministrazione.

L’amministratore delegato

La figura dell’amministratore delegato presenta maggiori complessità nella valutazione della compatibilità con il rapporto di lavoro subordinato. L’elemento discriminante è rappresentato dall’ampiezza delle deleghe conferite e dal grado di autonomia decisionale che ne deriva.

L’INPS, con il messaggio n. 3359/2019, ha stabilito che quando l’amministratore delegato è munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione, si esclude la possibilità di intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato. In questo caso, l’ampiezza dei poteri conferiti avvicina la posizione dell’amministratore delegato a quella dell’amministratore unico, eliminando di fatto la subordinazione al controllo collegiale.

Al contrario, quando le deleghe sono limitate e specifiche, e l’amministratore delegato rimane sottoposto al controllo e alle direttive del consiglio per le decisioni più importanti, la compatibilità con il rapporto di lavoro dipendente può essere riconosciuta, purché sussistano tutti gli altri elementi caratteristici della subordinazione.

I requisiti inderogabili per il riconoscimento della subordinazione

Chi intende far valere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in presenza di un incarico amministrativo ha l’onere di fornire prova certa e documentale dell’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione. Questo onere probatorio, ribadito dalle sentenze della Cassazione n. 24972/2013, n. 18476/2014 e n. 18414/2013, è particolarmente gravoso e richiede la dimostrazione di elementi concreti e verificabili.

La prova deve riguardare non solo l’esistenza formale di un contratto di lavoro, ma soprattutto la sostanziale subordinazione nell’esercizio dell’attività lavorativa. Ciò significa dimostrare che, nonostante la carica sociale rivestita, il soggetto rimane effettivamente limitato nella libertà di azione e di scelta nell’esercizio delle proprie funzioni lavorative, dovendo sottostare alle direttive impartite dall’organo amministrativo.

Gli elementi sintomatici della subordinazione

L’INPS ha individuato una serie di elementi sintomatici che devono essere presenti per riconoscere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Tra questi assumono particolare rilevanza la periodicità e predeterminazione della retribuzione, che deve essere chiaramente distinta dai compensi derivanti dalla carica amministrativa. È fondamentale che esista una separazione netta tra la remunerazione per l’attività lavorativa e quella per l’incarico gestorio.

L’osservanza di un orario contrattuale di lavoro rappresenta un altro elemento cruciale per la qualificazione del rapporto. Il soggetto deve essere inserito in una specifica organizzazione aziendale con ruoli e responsabilità definite, dimostrando la propria subordinazione gerarchica. Inoltre, deve essere assente qualsiasi forma di organizzazione imprenditoriale autonoma e il rischio d’impresa deve rimanere completamente a carico della società, non del lavoratore.

Le conseguenze pratiche dell’errore di qualificazione

Una qualificazione errata del rapporto tra amministratore unico e società può comportare conseguenze economiche e legali molto gravi. In caso di controlli da parte dell’INPS, la società si espone al recupero di tutti i contributi versati impropriamente per un rapporto di lavoro inesistente, oltre alle relative sanzioni amministrative che possono raggiungere importi considerevoli.

Dal punto di vista giuslavoristico, la situazione può creare problemi in caso di controversie, poiché il tentativo di far valere diritti da lavoro dipendente da parte di un amministratore unico è destinato al fallimento, ma può comunque generare contenziosi costosi e complessi. Inoltre, l’Agenzia delle Entrate potrebbe contestare il diverso trattamento fiscale applicato ai compensi, con possibili accertamenti e sanzioni tributarie.

L’impatto sui soggetti coinvolti

Dal punto di vista del soggetto che ricopre l’incarico di amministratore unico, il tentativo di configurare un rapporto di lavoro dipendente può comportare la perdita di certezze contributive e previdenziali. I contributi versati impropriamente nella gestione dei lavoratori dipendenti potrebbero non essere riconosciuti ai fini pensionistici, creando vuoti contributivi difficilmente sanabili.

Inoltre, in caso di cessazione del rapporto, l’ex amministratore unico non potrebbe far valere alcun diritto tipico del rapporto di lavoro subordinato, come il preavviso, il trattamento di fine rapporto calcolato secondo le regole del lavoro dipendente, o l’eventuale diritto all’indennità di disoccupazione.

Alternative organizzative per le società

Per le società che necessitano di flessibilità nella gestione dei rapporti tra governance e operatività, l’adozione di un consiglio di amministrazione rappresenta spesso la soluzione ottimale. Questa struttura consente di nominare un presidente non operativo che mantenga le funzioni di coordinamento e controllo, mentre le attività operative possono essere delegate a un amministratore delegato con poteri limitati e specifici.

In questo contesto, è possibile strutturare rapporti di lavoro subordinato per alcuni membri del consiglio, purché rimangano effettivamente subordinati alle decisioni collegiali e svolgano mansioni chiaramente distinte da quelle propriamente amministrative. La chiave del successo di questa struttura risiede nella chiara definizione dei ruoli e nella documentazione accurata delle competenze e dei poteri di ciascun soggetto.

Il ricorso alla direzione generale

Un’altra soluzione efficace per separare la governance dall’operatività consiste nella nomina di un direttore generale che non rivesta alcuna carica amministrativa. Questa figura può essere regolarmente assunta come dipendente della società e può occuparsi della gestione operativa quotidiana sotto la direzione e il controllo dell’organo amministrativo.

Il direttore generale dipendente può essere investito di ampie deleghe operative senza compromettere la propria posizione di subordinazione, poiché rimane comunque soggetto alle direttive strategiche dell’organo amministrativo e non partecipa alle decisioni di alta amministrazione. Questa soluzione offre il vantaggio di coniugare flessibilità operativa e correttezza giuridica nella qualificazione dei rapporti.

L’evoluzione recente della giurisprudenza e della prassi

Le sentenze più recenti della Cassazione (n. 9273/2019 e n. 19596/2016) hanno confermato e consolidato i principi elaborati negli anni precedenti, ribadendo che le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato sono cumulabili solo in presenza di rigorosi requisiti. Queste pronunce hanno sottolineato l’importanza dell’attribuzione di mansioni effettivamente diverse da quelle proprie della carica sociale e la necessità di una prova rigorosa del vincolo di subordinazione.

La giurisprudenza ha inoltre evidenziato che non è sufficiente la mera formalizzazione di un contratto di lavoro per configurare un rapporto di subordinazione, ma è necessario che tale subordinazione si manifesti concretamente nell’organizzazione del lavoro e nell’esercizio delle funzioni. Questo approccio sostanzialista ha reso ancora più rigorosa la valutazione dei casi di cumulo tra cariche amministrative e rapporti di lavoro.

La crescente attenzione degli organi di controllo

L’INPS ha progressivamente intensificato i controlli sui rapporti di lavoro che coinvolgono soggetti con cariche amministrative, sviluppando specifiche procedure di verifica per identificare i casi di qualificazione errata. Questa maggiore attenzione si traduce in controlli più frequenti e approfonditi, con particolare focus sui casi in cui sussistono elementi di dubbio sulla genuinità del rapporto di subordinazione.

Anche l’Agenzia delle Entrate ha sviluppato maggiore sensibilità verso questi temi, verificando con crescente frequenza la coerenza tra la qualificazione del rapporto ai fini contributivi e quella ai fini fiscali. Questa convergenza di attenzioni rende ancora più importante una corretta qualificazione sin dall’origine del rapporto.

Consulenza online

La questione dell’incompatibilità tra amministratore unico e rapporto di lavoro dipendente non ammette deroghe o eccezioni. Si tratta di un principio consolidato che trova le sue radici nella logica giuridica e che è stato definitivamente chiarito dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa. Le società che si trovano in questa situazione devono necessariamente ripensare la propria struttura organizzativa per evitare problemi futuri.

La complessità di queste tematiche richiede un approccio professionale qualificato sin dalla fase di progettazione della struttura societaria. Non è sufficiente affidarsi a soluzioni improvvisate o a interpretazioni ottimistiche della normativa, ma è necessario costruire assetti organizzativi solidi e giuridicamente inattaccabili.

Per questo motivo, prima di assumere qualsiasi decisione in materia di governance societaria e rapporti di lavoro, è fondamentale richiedere una consulenza specializzata che possa valutare le specificità del caso e proporre soluzioni alternative efficaci e conformi alla normativa vigente.

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Federico Migliorini
Federico Migliorinihttps://fiscomania.com/federico-migliorini/
Dottore Commercialista, Tax Advisor, Revisore Legale. Aiuto imprenditori e professionisti nella pianificazione fiscale. La Fiscalità internazionale le convenzioni internazionali e l'internazionalizzazione di impresa sono la mia quotidianità. Continuo a studiare perché nella vita non si finisce mai di imparare. Se hai un dubbio o una questione da risolvere, contattami, troverò le risposte. Richiedi una consulenza personalizzata con me.
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