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Abuso di minoranza

L'abuso di minoranza si sostanzia in una peculiare condotta ostruzionistica dei soci di minoranza. Ma cosa si intende per minoranza? E quando la condotta può dirsi abusiva? Scopriamolo insieme!

L’abuso di minoranza è una peculiare forma di abuso del diritto che si realizza ogniqualvolta i soci di minoranza pongono in essere condotte ostruzionistiche.

Sia in giurisprudenza sia in dottrina si è a lungo dibattuto circa la qualificazione dell’abuso in termini di eccesso di potere o conflitto di interesse. All’esito del dibattito si è proprio giunti a qualificare la fattispecie come una figura peculiare di abuso di diritto.

Sono tali, quelle condotte che comportano l’esercizio di un diritto previsto dalla legge con modalità contrarie a buona fede e correttezza.

Cos’è l’abuso di minoranza

Con la locuzione abuso di minoranza si intende un’operazione posta in essere dal del socio, che si realizza ogniqualvolta venga esercitato il diritto di voto con lo specifico fine di paralizzare l’attività della società o per arrecare un danno non giustificato, da un proprio personale interesse.

La fattispecie in commento si verifica quando i soci di minoranza utilizzano i loro diritti statutari o legali con l’intento di bloccare o rallentare le decisioni aziendali, non per tutelare un legittimo interesse, ma per perseguire fini personali o arrecare danno alla società o agli altri soci. Tali comportamenti possono compromettere la governance aziendale e ostacolare il raggiungimento degli obiettivi societari.

Utilizzando un istituto tratto dal diritto amministrativo, l’abuso del diritto in sede di voto, che può esprimersi tramite delibera negativa, è espressione di una sorta di eccesso di potere. Il socio esercita un potere, il diritto di voto, sviandolo dalla funzione rispetto alla quale esso è concesso.

Tale raffronto è tuttavia non propriamente esatto, sebbene fortemente suggestivo e plastico nel definire tale concetto. Ciò in quanto in giurisprudenza e in dottrina si è a lungo dibattuto circa la qualificazione dell’abuso in termini di eccesso di potere o conflitto di interesse. All’esito del dibattito si è proprio giunti a qualificare la fattispecie come una figura peculiare di abuso di diritto.

La minoranza

Al fine di individuare l’abuso di minoranza è, tuttavia necessario stabilire cosa si intende per minoranza stessa. Invero, ci può venire in soccorso una nota dottrina che definisce la minoranza:

“non come quel socio o quei soci che sono occasionalmente perdenti in una votazione assembleare od occasionalmente contrari ad una determinata scelta di management, ma come coloro che sono sistematicamente minoritari nelle votazioni assembleari e sistematicamente estromessi dall’esercizio del potere societario interno”

La definizione, resa dal Professore Pisani Massamormile, individua un concetto di minoranza qualificata. Il codice civile, invero, non ci viene in soccorso sul punto, offrendo una chiara definizione di maggioranza e minoranza. Tuttavia, è possibile rintracciare un riferimento all’articolo 2359 c.c..

La norma in questione, invero, non offre un’espressa definizione di maggioranza e minoranza, eppure possono essere desunti una serie di indici rilevanti. L’art. 2359, infatti, stabilisce che si ha il controllo della società, quando un gruppo di soci che detiene la maggioranza azionaria svolge l’attività di gestione dell’impresa La norma, quindi, ci dice che chi controlla la società deve necessariamente detenere una maggioranza assoluta o relativa. Dalla stessa disposizione si evince un ulteriore dato, ossia la definizione di influenza dominante, che pur presuppone la maggioranza, sebbene non si risolve in essa.

In sintesi, la maggioranza risulta sempre tale quando i soci detengono il controllo. A contrario, chi non ha il controllo, non ha la maggioranza e può perciò essere classificato come minoranza. Quest’ultima è allora composta dalla restante parte dei soci fra loro solitamente non organizzati ed espressione di posizioni differenti.

La difficoltà, che si presenta a questo punto, è rappresentata dal riuscire a comprendere quando la minoranza ha una consistenza tale da poter compiere un abuso.

Differenza tra abuso di minoranza e abuso di maggioranza

È importante distinguere l’abuso di minoranza dall’abuso di maggioranza. Mentre il primo riguarda comportamenti ostruzionistici dei soci di minoranza, il secondo si riferisce a decisioni dei soci di maggioranza che, pur rispettando formalmente le norme, perseguono interessi personali a scapito della società o dei soci di minoranza

Implicazioni legali

L’abuso di minoranza rappresenta una violazione dei principi di buona fede e correttezza che dovrebbero guidare i rapporti tra soci. La giurisprudenza ha affrontato tali comportamenti, riconoscendo la possibilità di azioni legali per contrastarli. Tuttavia, l’onere della prova ricade spesso sulla società o sui soci di maggioranza, che devono dimostrare la natura strumentale e dannosa delle azioni dei soci di minoranza.

Come si realizza l’abuso di minoranza

Le fattispecie dell’abuso della posizione di socio di minoranza sono generalmente individuate nei fenomeni di ostruzionismo posti in essere in sede di delibera societaria. Si sostanzia in una serie di meccanismi volti ad ostacolare e impedire la valida formazione della volontà sociale, attraverso l’esercizio anomalo del diritto di voto.

Proprio perché presuppone l’esercizio del diritto di voto, che principalmente si realizza il sede di adunanza assembleare. Invero, in tal senso, presenta dei caratteri di affinità con il più noto abuso di maggioranza, ciò in quanto è l’organo nell’ambito del quale si esercitano i diritti del socio e si forma la volontà sociale.

Tale attività di ostracismo, si realizza per il tramite di una serie di strumenti, espressamente previsti dal legislatore stesso. Ciò non deve sorprenderci, in quanto, come affermato nel paragrafo introduttivo l’abuso presuppone l’esercizio di un diritto che lo stesso ordinamento riconosce, con modalità contraria a buona fede e correttezza.

I soci, dunque, hanno a disposizione una serie di strumenti che, se nella ratio del legislatore erano stati previsti al fine di garantire loro tutela, nella sostanza possono essere impiegati anche allo scopo di recare un pregiudizio alla società e agli soci di maggioranza. In particolare, questi si presentano dannosi nel momento in cui hanno come finalità essenziale quella di andare ad intralciare lo svolgimento dell’attività sociale.

Abuso interno ed esterno

Spesso si suole classificare le condotte che costituiscono abuso di minoranza in abuso interno ed esterno. Le ipotesi più frequenti di comportamenti che possiamo definire abusivi, sono quelli che si realizzando all’interno dell’assemblea dei soci. Appartengono a questa categoria:

  • Abbandono dell’assemblea in sede di deliberazione;
  • Abuso del diritto di intervento;
  • Eccesso del diritto di discussione;
  • Rinvio dell’assemblea, come stabilito di recente dalla giurisprudenza;
  • Abuso del diritto di voto della c.d. minoranza di blocco.

Mentre, appartengono alla categoria di abuso esterno, quelle condotte che non si realizzano all’interno dell’assemblea. Sono, invece, delle forme di abuso di diritto che si sostanziano nel richiedere la convocazione da parte del socio che detiene una partecipazione tra quelle previste all’art. 2367 c.c.

Abuso mediante richiesta di convocazione dell’assemblea

Possiamo preliminarmente partire dall’esame di una forma di abuso esterno. Una delle ipotesi più frequenti è individuata nella convocazione da parte dei soci dell’assemblea, in violazione del limite imposto dall’art. 2367 c.c. 

Ai sensi della norma in esame, i soci devono:

  • Convocare senza ritardo l’assemblea;
  • Indicare nell’atto di convocazione gli argomenti su cui verterà l’adunanza.

Nel caso in cui  in cui gli amministratori o il consiglio di gestione, oppure in loro vece i sindaci o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non provvedono, il tribunale sentiti i componenti “inadempienti”, ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato, ordina con decreto la convocazione dell’assemblea, designando la persona che assumerà la carica di presidente.

La norma ha, quindi, recepito con la riforma del 2003 una previsione già elaborata in sede giurisprudenziale, che esclude che la richiesta di convocazione da parte di un numero sufficiente di legittimati comporti in automatico l’obbligo di provvedere. 

Quali ipotesi di abuso possono realizzarsi

In questo caso, invero, le ipotesi di abuso per richiesta di convocazione sono sensibilmente ridotte, per effetto della riforma del 2003. La norma, eliminando qualsiasi automatismo nella convocazione, consente agli amministratori o chi è tenuto per essi, a non attendere alla richiesta, laddove ricorrano alcuni fattori impeditivi.

In questa categoria rientrano numerose fattispecie, tra cui quello relativo al tema deliberandi, quando si convoca l’assemblea al fine di provvedere a una deliberazione su argomenti che non rientrano nella competenza dell’assemblea, come accade ad esempio per tutti quegli atti di gestione degli altri temi che esigono la predisposizione di una relazione ab inizio (come ad esempio le operazioni di fusione, scissione e trasformazione della società).

Sono altresì fattori impeditivi giustificativi, la richiesta di convocazione per la trattazione di tematiche che attengano ad atti di gestione, nonché alle ipotesi in cui sia è prevedibile che la delibera conclusiva dell’assemblea, di cui si chiede la convocazione, possa essere viziata da nullità per illiceità o impossibilità dell’oggetto.

Tra i fattori impeditivi che possono verificarsi vi è sicuramente l’abuso di minoranza. Sono considerate tali quelle convocazioni ove vi sia l’evidenza che il rimedio che si invoca sia strumentale al fine di arrecare un danno alla società o per assolvere a degli scopi che sono contrastanti con le finalità predisposte dalla legge o dallo statuto.  

Altrettanto possono considerarsi tali qualsiasi convocazione finalizzata ad arrecare in qualunque modo un disturbo all’attività sociale, con intenti dilatatori, o volti a disgregare la compagine sociale. 

Abuso ai danni degli amministratori

Una delle forme di abuso della minoranza realizzatesi in giurisprudenza, aveva ad oggetto proprio la posizione degli amministratori. Nell’ipotesi in questione era, esaminata da alcuni interventi giurisprudenziali (Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di impresa, 2 aprile 2016), accaduto che i soci di minoranza convocassero l’assemblea al fine di provvedere a decidere sulla responsabilità degli amministratori in carica, che siano anche soci.

Il problema consiste nel fatto che, se gli amministratori sono anche soci, ad essi è preclusa la possibilità di votare in assemblea, ex art. 2373 c. 2 c.c., relativamente alla loro responsabilità.

In questo caso potevano realizzare due contestuali risultati:

  • Ottenere la delibera che dispone l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori;
  • Ottenere anche la revoca degli amministratori, laddove siano titolari di una quota qualificata del capitale come prevista all’art. 2393 co 5. 

Inoltre, la minoranza può richiedere la nomina anche dei nuovi amministratori. In tal modo, si creava un’azione di disturbo ai soci amministratori, oltre che ad arrecare un pregiudizio alla stessa impresa.

Infatti, in questi casi si doveva provvedere a nominare e remunerare amministratori terzi, i quali potrebbero anche non seguire le indicazioni dei soci di maggioranza. A ciò si aggiunge anche l’onere di sopportare i costi dell’azione contro i precedenti amministratori. 

Invero, questa tipologia di abuso, ad oggi, è fortemente ridimensionata, in quanto è stato introdotto il predetto potere di controllo da parte degli amministratori. Tuttavia, tale rischio non è del tutto escluso, poiché, come evidenziato poc’anzi, potrebbe esser imposta la convocazione dal tribunale mediante decreto.

Abuso interno della minoranza

Come affermato in uno dei precedenti paragrafi, l’abuso dei soci di minoranza può anche essere interno. Rientrano in questa categoria: l’ipotesi di abbandono di assemblea in sede deliberante, oltre all’abuso del diritto di intervento e il c.d. eccesso del diritto di discussione, il rinvio dell’assemblea ex art. 2374 cod. civ. e il fenomeno dell’abuso del diritto di voto della cd. minoranza di blocco.

Abbandono di assemblea in sede deliberante

Partendo, ora, dall’analisi dell’abbandono dell’assemblea in sede deliberativa, va specificato che questa è la fattispecie affrontata dalla giurisprudenza più risalente e che ha segnato la collocazione storica dell’ostruzionismo assembleare agli inizi del secolo scorso. 

Sia il codice del commercio, che l’originaria formulazione del codice civile all’art. 2368, prevedevano che una delibera potesse esser considerata valida solo laddove:

  • Fossero presenti i tre quarti del capitale sociale;
  • Deliberasse in senso favorevole almeno la metà del capitale sociale.

Laddove, dunque, taluni dei soci di minoranza si allontanassero dall’assemblea, ciò comportava una forma di ostruzionismo, che incideva sulla validità della delibera assembleare. In altre parole, il semplice allontanamento dei soci di minoranza dal luogo dell’assemblea al momento della votazione aveva raggiunto il risultato sperato, ovvero la dichiarazione di invalidità della delibera assembleare di scioglimento anticipato della società. 

Sul punto la giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto sufficiente accertare il quorum costitutivo effettuato in sede di apertura.

Abuso del diritto di intervento

Altra fattispecie riscontrabile è l’abuso del diritto di intervento. Questa figura si realizza ogniqualvolta il diritto in esame sia esercitato per finalità distinte rispetto a quelle per cui viene concesso, ossia l’esercizio del diritto di discussione e di voto.

Una forma abusiva, invero, sembra difficilmente realizzabile. Possiamo ritenere che sia tale la condotta di cui partecipa in modo passivo ai lavori assembleari, senza prendere una posizione netta, ma svolgendo una mera funzione informativa o conoscitiva, senza mai prender realmente parte alla discussione.

Tale ipotesi, di difficile concretizzazione, ma soprattutto difficilmente qualificabile come abuso, è tendenzialmente superata. Oggi il diritto di intervento può integrare abuso ove si realizzi in un non-uso del diritto.

Esercizio abusivo del diritto di voto

Una delle forme di abuso di minoranza, che meglio evidenziano il concetto, è il diritto al rinvio ai sensi dell’art. 2374 c.c. Questo, invero, si presta facilmente ad usi ostruzionistici, ciò in quanto la norma prevede espressamente che, ove si faccia richiesta di rinvio, sorge un dovere del Presidente dell’assemblea di attendervi.

Si ritiene che il diritto in questione sia qualificato come tra i diritti che rientrano nella categoria dei potestativi. La norma infatti sancisce che i soci intervenuti che riuniscono un terzo del capitale rappresentato dall’assemblea, se dichiarano di non essere sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione, possono chiedere che l’assemblea venga rinviata a non oltre cinque giorni.

La maggioranza, dunque, è semplicemente tenuta ad uniformarsi a tale richiesta da parte delle minoranza dei soci. Laddove ricorrano i requisiti che abbiamo citato, che individuano una valida richiesta di rinvio, il presidente è obbligato a disporre il predetto rinvio dell’udienza, pena l’invalidità della delibera comunque adottata. Tuttavia, il legislatore, paventando la possibilità che il diritto sia esercitato in modo abusivo, ha previsto la facoltà di ricorrere a tale potere una volta sola per oggetto.

Abuso del diritto di voto della minoranza di blocco

Inoltre, piuttosto interessante, è la figura della minoranza di blocco. Tale potere si sostanzia nella facoltà di condizionare negativamente una decisione dell’assemblea. Questa si realizza ove il socio di minoranza possa impedire la deliberazione assembleare in ragione dell’entità della propria partecipazione, come nel caso di partecipazione paritetica o dei quorum rafforzati richiesti dalla legge, oppure se è titolare del cd. potere di blocco.

Soprattutto negli ultimi anni, questa forma di abuso consistente nella minoranze di blocco, si realizza in sedi molto delicate per la vita della società, mediante alcune delibere, quali quelle:

  • Approvazione del bilancio consolidato;
  • Delle modifiche statutarie, che sono qualificate in dottrina come modifiche strutturali o in ogni altro caso in cui lo statuto stabilisca delle maggioranze più elevate rispetto a quanto previsto dalla legge.

Dunque, il socio di minoranza non può eventualmente, imporre la propria scelta in sede di deliberazione. Tuttavia, ciò non esclude che il socio di minoranza possa, invece, impedire che sia adottata una delibera dove la propria partecipazione azionaria sia condizionante l’approvazione della deliberazione stessa.

Tale forma di abuso, quindi, appare particolarmente rilevante, perché è astrattamente idonea ad impedire il funzionamento dell’attività assembleare, in quanto da ciò possono conseguire dei seri pregiudizi per l’impresa. L’eventuale abuso di voto della minoranza di blocco è in grado di causare anche lo scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484 co 1 c.c.

Aumento di capitale: ipotesi di abuso di minoranza

Un’ipotesi paradigmatica di abuso, spesso oggetto di interventi giurisprudenziali, è quella che si concretizza in sede di aumento di capitale sociale.

L’aumento di capitale sociale è attuato anche in costanza di crisi aziendale per ricostruire il capitale di una società, sebbene non visto di buon occhio dal mercato. Si tratta di una tipologia finanziamento a titolo di capitale proprio, detto anche interno.

Il capitale proprio si sostanzia nei mezzi finanziari versati alla società direttamente dall’imprenditore o dai soci, in caso di società. Esso si identifica quindi con i c.d. conferimenti, che all’avvio dell’attività o all’ingresso nella compagine sociale costituiscono il “prezzo” della partecipazione.

Proprio per il rilievo che l’aumento di capitale assume per una società, sia per realizzare l’oggetto sociale o per mantenere in vita la società, l’unico socio di minoranza non può impedire le operazioni sul capitale sociale senza addurre un giustificato motivo od interesse meritevole di apprezzamento e di tutela.

Conclusioni

L’abuso dei soci di minoranza può rappresentare un serio ostacolo per la governance aziendale e il raggiungimento degli obiettivi societari. È fondamentale riconoscere tali comportamenti e adottare misure preventive e correttive adeguate. Una consulenza legale esperta può aiutare a strutturare statuti e accordi efficaci, garantendo una gestione societaria armoniosa e produttiva.

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    Elisa Migliorini
    Elisa Migliorinihttps://www.linkedin.com/in/elisa-migliorini-0024a4171/
    Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Firenze. Approfondisce i temi legati all'IVA ed alla normativa fiscale domestica oltre ad approfondire aspetti legati al diritto societario.
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