Il rendiconto finanziario è uno strumento utilissimo per monitorare la dinamica finanziaria d’impresa ed i flussi di cassa (generati od impiegati). Mai come oggi, il fatturato e le dinamiche puramente economiche/contabili non bastano più, anche al di fuori di certi contesti ed anche al di fuori degli obblighi di legge.

Da questo punto di vista, il rendiconto finanziario non rappresenta più un’opzione o facoltà da parte delle aziende od un obbligo deciso dal legislatore come detto ma un vero valore aggiunto ed in quanto tale, dovrebbe essere sempre adottato, per valutare la liquidità aziendale e per gestire al meglio la dinamica/struttura finanziaria.

Il presente articolo vuole essere una guida nell’interpretazione del rendiconto e dei risultati che scaturiscono dal citato report o dalla rielaborazione dello stesso (come gli indici, poi si vedrà meglio in seguito). Inoltre, vuole essere anche un’esplicitazione di casi/esempi concreti ed una descrizione delle maggiori/più interessanti applicazioni. Al contrario, invece, questo contributo non rappresenta una guida alla redazione del rendiconto finanziario. A tal proposito, per la trattazione dell’argomento si rimanda ad altre fonti ed articoli, giusto solo un appunto o nota introduttiva: si utilizzerà lo schema proposto dallo IAS 7 poiché è il più utilizzato anche al di fuori del contesto italiano ed è il più esplicativo, facendo una riclassificazione dei flussi per le tre principali attività (operativa, investimento, finanziaria). Quindi, procediamo per gradi, partendo dalle logiche interpretative.

Il rendiconto finanziario: interpretazione dei risultati

Nell’introduzione si è parlato di area di attività che generano od impiegano liquidità e quindi producono o bruciano flussi di cassa. Più specificatamente, sono state menzionate le aree classiche da IAS 7, area operativa, di investimento e finanziaria. Queste aree vengono costruite, riclassificando opportunamente i flussi di cassa per tipo di attività o gestione, all’interno dell’azienda.

Non soffermandoci sul come vengono riclassificati o su quali criteri vengono utilizzati per la redazione (ad esempio con metodo indiretto, evidenziazione del CCN, partendo dall’utile e sommando le rettifiche non monetarie o con metodo diretto, indicando da subito incassi e pagamenti), il focus sarà l’interpretazione del valore assoluto apportato da ciascuna delle aree e la relazione in % e quindi il rapporto di ogni area con le altre, con il flusso totale di cassa disponibile (il cosiddetto rendiconto finanziario per margini e percentualizzato).

E’ utile descrivere ogni casistica, a seconda del saldo positivo o negativo del cash flow di ogni area ed in rapporto alle altre, partendo dal caso migliore e finendo con il trattare il caso peggiore, proponendo anche soluzioni per migliorare la situazione descritta.

Caso 1: Cash flow operativo positivo e tale da coprire il fabbisogno delle altre aree

La situazione migliore è quella di un’azienda che presenta un flusso di cassa da gestione operativa positivo. La gestione operativa è il cuore pulsante del business di un’azienda, è il core business. Non è ammissibile che a livello operativo la citata azienda bruci cassa perché allora vorrebbe dire che versa in uno stato di non convenienza nel portare avanti l’attività, di non redditività od in altre parole, totale mancanza di “salute” in termini aziendali ed economici.

Le cause possono essere diverse: struttura per scadenze non ottimale, scadenze clienti/fornitori non impostate al meglio, in altri termini, tensioni di liquidità conseguenti ad una ampia dilazione lato cliente rispetto a quella lato fornitore che portano poi ad un flusso di cassa negativo, ad un flusso da capitale circolante negativo (quindi non corretta gestione del CCN). Sul lato reddituale ma comunque correlato all’aspetto finanziario precedente, la presenza di una bassa o totale mancanza di marginalità/redditività del business che vuol dire crescita dei costi a parità dei ricavi o crescita dei costi più che proporzionalmente rispetto alla crescita dei ricavi ed altre situazioni analoghe. In poche parole, per sintetizzare, paghiamo di più di quello che incassiamo e paghiamo prima di quello che incassiamo.

I fattori citati e le situazioni descritte sono anche delle possibili soluzioni ai problemi menzionati, problemi che sicuramente non riguardano un business solido e profittevole di un’azienda con cash flow operativo positivo. Il flusso di cassa da attività operativa deve essere il campanello di allarme nel valutare un’azienda: è positivo? molto bene; è negativo? molto male, occorre ripiegare sulle altre due aree, investimenti e finanziaria, a seconda dei casi e delle priorità, per compensare la situazione oppure ancor meglio, occorre trovare delle soluzioni per portare in positivo il cash flow operativo. Tuttavia, la situazione non solo migliore ma ideale è quella di un cash flow positivo da area operativa tale da coprire il fabbisogno delle aree di investimento e di finanziamento. Il business ideale (comunque riscontrabile nella realtà ed auspicabile) è quello in cui la produzione di cassa del core business copre non solo gli investimenti (una società che non investe, non cresce e muore soprattutto nel lungo periodo; il cash flow da attività di investimento deve essere negativo per il fatto citato) ma anche l’area finanziaria che tipicamente si traduce nel rimborso dei finanziamenti accesi a suo tempo e nel pagamento di dividendi (e quindi variazioni del capitale proprio).

In termini di margini ma soprattutto di percentuali, tutto ciò vuol dire che il flusso da attività operativa ha una % maggiore alla somma delle % dei flussi derivanti dalla altre due aree: la percentuale è più alta quindi vuol dire che non c’è solo copertura ma anche eccedenza ed alla fine abbiamo un residuo di flusso di cassa che porta poi ad incrementare le nostre disponibilità liquide rispetto al periodo precedente ; a tal proposito, è utile creare un diagramma a torta perché a livello visivo è immediata la rappresentazione delle “fette” ovvero delle % dei vari flussi di cassa sul totale che non è altro che la somma di tutti i flussi.

Caso 2: Cash flow operativo positivo ma insufficiente per coprire il fabbisogno delle altre aree

Questa situazione si genera nel caso in cui il nostro core business genera sempre cassa (fattore molto positivo) ma è insufficiente. Il saldo è incapiente, non copre il fabbisogno da investimenti e/o finanziamenti (capitale proprio o di terzi).

A questo punto, occorre operare delle scelte, dare delle priorità, la cassa prodotta la impieghiamo per investire, per i nostri soci, oppure per la struttura finanziaria? tutto è relativo, ogni caso è indipendente ed ogni scelta va contestualizzata, a seconda della situazione dovremo sacrificare questo o quello, valutando correttamente rischi/costi e benefici, in modo poi da raggiungere nuovamente l’equilibrio finanziario sul lungo termine e riportarci a generare cassa ed in eccedenza. Graficamente, il nostro diagramma a torta rappresenterà % e fette minori dell’area operativa rispetto alle altre due ed al flusso di cassa totale.

Caso 3: Cash flow operativo negativo e ripiego sulle altre aree

Questo rappresenta sicuramente la fattispecie peggiore ovvero quella in cui si brucia cassa a livello operativo. Per compensare ciò, in altri termini, per recuperare cassa ed avere flussi finanziari positivi occorre ripiegare sulle altre due aree, investimenti ed area finanziaria.

Chiaramente deve essere una situazione provvisoria perché non è sostenibile una situazione nel lungo termine in cui non si produce cassa a livello operativo.

Per ottenere cassa, due sono le opzioni e si possono adottare anche entrambe: da un lato si dismette l’attività e/o si effettuano disinvestimenti (ma è chiaro che debba essere solo provvisorio perché come detto precedentemente, il business florido nel lungo periodo è quello che investe per crescere, non quello che disinveste ed a maggior ragione a condizioni svantaggiose e/o non di mercato) ; dall’altro si accendono nuovi finanziamenti, sia ricorrendo al capitale di terzi (banche ed altri intermediari), sia al capitale proprio (finanziamento soci e simile), con l’accortezza però di non avere troppo dipendenza dalla leva del debito perché a certi livelli non risulta più una soluzione, non risulta più sostenibile e prima o poi occorre coprire i debiti, rimborsare le rate, rientrare dei finanziamenti (valutare a tal proposito livelli di indebitamento, DSCR ed altri indici di bilancio anche e soprattutto in maniera prospettica).

Caso 4: Cash flow operativo negativo e flussi di cassa negativi delle altre aree

Questa è la situazione di totale fallimento perché non solo non si produce cassa a livello operativo ma il flusso di cassa totale è ulteriormente in peggioramento, perché nello stesso tempo operiamo degli investimenti e rimborsiamo quote di debito, soci od altri soggetti, senza cercare di limitare i danni, senza compensare le aree di cash burning con quelle di cash generation (come si è descritto prima), utilizzando anche aree che storicamente e tipicamente non sono predisposte a quel tipo di azione ma lo si fa per migliorare anche solo temporaneamente la disponibilità di cassa.

Il business è in serio pericolo e prima di arrivare a ciò bisognerebbe da subito monitorare i flussi di cassa e pianificare al meglio le entrate/uscite a consuntivo e prospettiche, partendo dall’area operativa che rappresenta la proxy di ogni business model e di ogni rendiconto finanziario.

Il rendiconto finanziario: valutazioni (indici e misure).

Prima si è descritto circa la composizione delle varie aree del rendiconto, soffermandoci sull’interpretazione dei valori, considerando anche la relazione/rapporto intercorrente tra di esse. Già quegli aspetti risultano una prima descrizione di indici o rapporti, ma semplici indici di composizione, in quanto prendono in considerazione i risultati intermedi o parziali del rendiconto finanziario stesso. Ora parleremo di veri e propri quozienti, costruiti considerando anche grandezze estranee al rendiconto: la valutazione in senso puro del rendiconto finanziario.

Il primo indice è definito come una sorta di ROS monetario, è l’indice di monetizzazione delle vendite. Viene calcolato come segue:

cash flow gestione operativa (caratteristica) / vendite

In senso pratico, ci dice quanta cassa sono in grado di produrre le vendite, quanto rendono in termini monetari le vendite. Più alto è l’indice, meglio è e chiaramente deve essere positivo altrimenti si brucia cassa a livello operativo e la redditività monetaria è inesistente (il numeratore in quel caso è minore di zero).

Un altro indice molto utile è l’indice di liquidità del reddito operativo, il quale è calcolato come:

cash flow gestione operativa (caratteristica) / reddito operativo (caratteristico)

Diversamente dal precedente, non sta ad indicare una redditività od il quantum ma descrive la qualità monetaria del reddito operativo, la sua capacità di convertirsi in moneta. Ci possono essere quattro casi:

  • Reddito operativo > 0 ed indice > 0 (giudizio positivo): l’azienda non solo produce reddito operativo positivo (aspetto reddituale) ma produce anche un flusso di cassa positivo da gestione operativa (aspetto finanziario/monetario) ; più è alto il valore dell’indice più il business è buono, profittevole e produce cassa;
    • Reddito operativo > 0 ed indice < 0 (giudizio negativo): l’azienda ha un reddito operativo positivo tuttavia il ciclo monetario non è buono, non si generano flussi di cassa;
  • Reddito operativo < 0 ed indice > 0 (giudizio negativo): i risultati reddituali negativi determinano un fabbisogno di liquidità infatti la gestione operativa brucia cassa;
  • Reddito operativo < 0 ed indice < 0 (giudizio positivo): nonostante i risultati reddituali non soddisfacenti, l’azienda è in grado di produrre un flusso positivo di liquidità.

Quando l’indice è negativo è perché ci sono delle divergenze tra la dinamica reddituale e la dinamica finanziaria. Di fatto le due dimensioni dovrebbero essere correlate ed andare sempre di pari passo, anche se non è sempre così e non sempre è scontato. Per capire meglio le cause od i fattori, è utile scomporre l’indice citato nelle sue due componenti, ovvero:

[(flusso circolante gestione caratteristica)/(reddito operativo)]x[(cash flow gestione operativa)/(flusso circolante gestione caratteristica)]

Il primo rapporto della formula precedente è l’indice di autofinanziamento, misura la capacità di accrescere il capitale di finanziamento dell’azienda senza ricorrere a fonti esterne.

Anche in questo caso, il giudizio è legato al valore assunto dal denominatore: se il reddito operativo è positivo, quanto più alto è l’indice, meglio è (preferibilmente maggiore all’unità) ; se il reddito operativo è negativo, quanto più l’indice assume un valore inferiore all’unità, meglio è (o ancor meglio indice con segno negativo perché in quel caso l’azienda redditualmente ha tanti ammortamenti/investimenti che portano ad un reddito operativo negativo però ciò non incide sul circolante, che è positivo e produce cassa).

Il secondo rapporto della formula è l’indice di conversione in liquidità dell’autofinanziamento, misura la capacità dell’azienda di tradurre in liquidità l’autofinanziamento della gestione operativa corrente: molto spesso l’indice oscilla tra 0 e 1, quanto più è prossimo all’unità, più è positivo in termini di liquidità anche se non sempre è così e ci possono essere delle aziende con indice maggiore di 1, in quanto gli incassi possono precedere anche di molto le uscite, le stesse hanno strutturalmente un ciclo di cassa a loro favore (dilazione clienti quasi pari a zero a fronte di una dilazione fornitori lunga, tipico esempio il settore della grande distribuzione, alberghiero, ristoranti e simile), va valutato singolarmente e come sempre contestualizzato.

Un altro indice è l’indice di copertura degli investimenti netti. Si calcola come:

cash flow gestione operativa (caratteristica) / investimenti netti

Misura il grado di copertura degli investimenti da parte della liquidità generata dall’area operativa: in altre parole con un indice maggiore di 1, l’azienda dispone di autonomia finanziaria per effettuare nuovi investimenti, senza la necessità di ricorrere al debito od a fonti esterne ; chiaramente il denominatore rappresenta il saldo degli investimenti, quindi nuovi investimenti al netto delle dismissioni o vendite di attività materiali/immateriali (con un saldo negativo, ovvero con disimissioni maggiori di acquisizioni, l’indice non ha più la sua rilevanza/funzione e non va considerato oppure va valutato diversamente) ; è anche un sintomo della bontà del business, della capacità di autofinanziarsi, la quale potrà accompagnarsi alla più facile predisposizione bancaria o di altri soggetti nell’erogare credito o finanziamenti all’azienda in questione.

L’ultimo indice ma non per importanza (anzi a ben vedere è forse il più importante, visti i presupposti e considerazioni fatte fino ad ora, si rimanda anche al diagramma a torta precedente), è l’incidenza della gestione caratteristica corrente. E’ pari a:

cash flow gestione operativa (caratteristica) / cash flow totale

Questo indice dovrebbe avere un valore superiore all’unità o comunque pur in presenza di un cash flow da attività operativa positivo, dovrebbe avere un valore mai prossimo allo zero od addirittura al di sotto dello zero (quindi cash burning): l’abbiamo detto a più riprese, l’attività operativa è il core business, è il cuore pulsante e di conseguenza anche il flusso di cassa generato da essa ; la regola d’oro è che l’attività operativa risulta essere la principale area di produzione di liquidità, a servizio delle altre aree (vuol dire avere equilibrio finanziario e possedere il requisito non da poco dell’autofinanziamento).

Il rendiconto finanziario: applicazioni.

Parliamo ora delle possibili applicazioni del rendiconto finanziario, cosinderando però il fatto che possono essere infinite, diverse fra loro, adattabili/personalizzabili rispetto al caso concreto e contestualizzabili. Quindi, con questa premessa, ci riserviamo la possibilità di presentare le maggiori applicazioni e quelle più interessanti ma non vuole assolutamente essere esaustiva, per i motivi citati.

Partendo dall’applicazione più classica, il rendiconto finanziario rappresenta già da solo con la sua elaborazione, un possibile utilizzo, ovvero quello di studiare, costruire, analizzare, implementare sia in maniera consuntiva che prospettica i flussi di cassa aziendali, con il fine di ottimizzare la dinamica finanziaria. E’ importante in ogni contesto ed in ogni realtà, a prescindere dagli obblighi fiscali e legislativi.

Un’altra applicazione molto più interessante della precedente, che ha avuto e sta avendo un vastissimo utilizzo è quello di adottare il rendiconto finanziario nel contesto del DSCR (debt service coverage ratio) e Codice Della Crisi di Impresa. Già di default, elaboriamo e riclassifichiamo i flussi di cassa per tipo di operazione e per tipo di attività, basta un semplice accorgimento o riclassificazione per misurare e valutare i famosi indici della crisi, in primis l’indice principale, il già menzionato DSCR, pari a:

Cash flow operativo (al netto delle tasse) / flusso finanziario a servizio del debito

Sul numeratore e sull’importanza dello stesso si è parlato molto prima, giusto un’ulteriore considerazione sulle due possibilità di calcolo del DSCR: una prima dove si considerano semplicemente entrate ed uscite di cassa ; una seconda modalità invece considera anche i flussi dell’attività di investimento. Le analogie sono notevoli sia per quanto riguardo lo schema dello IAS 7, sia per quanto riguarda la valutazione/intepretazione del rendiconto (si è parlato anche molto di sostenibilità del debito, si rimanda al diagramma a torta ed al primo capitolo). E’ chiaro che il DSCR risulta una vera e propria declinazione del rendiconto, non si può prescindere dal trattare od addirittura dal costruire il rendiconto finanziario, se si vuole parlare di questi argomenti e di Codice Della Crisi.

Un’altra applicazione che non solo è interessante ma che lo rende uno strumento a tutto tondo, declinabile ovunque è quella di impiegare il rendiconto finanziario nel contesto dei vari budget aziendali (in primis di cassa/tesoreria ovviamente ma non solo) e nel contesto della programmazione, pianificazione, reportistica aziendale.

In altre parole, il rendiconto finanziario con il suo schema base può essere riformulato ed adattato a seconda dei casi e delle finalità: serve programmare uscite, entrate di cassa? occorre costruirlo ed implementarlo all’interno di un semplice budget di cassa od all’interno di un più avanzato modello di tesoreria aziendale ; serve stilare un business plan perché occorre fare un investimento, occorre portare avanti un progetto aziendale, occorre fare un’operazione di finanza straordinaria o M&A?, il rendiconto finanziario con i suoi flussi di cassa è la base da cui partire per poi costruire un complesso piano/modello industriale ; un altro caso non meno interessante ed utile rispetto ai precedenti, è la fattispecie in cui occorre implementare una nuova strategia di marketing, di campagna pubblicitaria con tutte le sue metriche, dove il rendiconto è sempre il punto di partenza e verrà costruito e programmato, estrapolando solo i flussi finanziari pertinenti e magari implementando anche variabili non puramente quantitative ma anche qualitative (è chiaro che il rendiconto in questa casistica e come lo conosciamo va totalmente stravolto ma per un preciso fine, ottimizzare la campagna pubblicitaria e i flussi finanziari derivanti da essa) ; infine, sulla reportistica, il rendiconto con il suo schemi, la sua fruibilità può diventare il migliore strumento in assoluto per creare report aziendali, presentazioni aziendali di ottimo livello e molto utili per tutti i vari stakeholders.

Passiamo a trattare l’ultimo caso che risulta essere un’applicazione molto tecnica, specifica in ambito finanziario e di valutazione aziendale, poiché da un lato è ormai noto a tutti come la dinamica finanziaria è onnipresente quando si parla di rendiconto ma dall’altro punto di vista, vuole trasmettere il concetto di come sia uno strumento totalmente flessibile ed adattabile ad ogni contesto, anche a quelli più particolari ed estranei alla fattispecie classica e più conosciuta.

Si tratta della valutazione aziendale utilizzando l’approccio empirico, che nasce dalla prassi, dalla valutazione relativa/comparativa ed intrasettoriale. Sono i cosiddetti multipli di mercato che valutano un’azienda in base al rapporto tra la grandezza di mercato (il prezzo di ogni quota e quindi la capitalizzazione di borsa della società) e la grandezza economica, di bilancio (la quale può essere la più disparata, dagli utili, alle vendite, all’EBITDA, al valore di libro dell’Equity ecc…).

Non soffermandoci tanto sull’approccio, sui pregi/difetti dello stesso metodo, andiamo subito sul lato applicativo e soprattutto su quello che riguarda il nostro caso, il rendiconto finanziario.

Come detto prima, dal rendiconto si possono calcolare ed elaborare diversi indici e grandezze. Queste ultime chiaramente possono essere impiegate nel metodo valutativo citato. A numeratore avremo come di consueto il valore di mercato della società, invece a denominatore avremo le grandezze scaturenti dal rendiconto ed è qui la sua applicazione. Il multiplo di mercato classico che ne deriva è il seguente:

P / FCF

P, sta per prezzo unitario di mercato (capitalizzazione divisa per il numero delle azioni in circolazione, “shares outstanding“).

FCF, sta per free cash flow, sempre unitario (quindi FCF diviso per il numero delle azioni).

Chiaramente, si può calcolare il multiplo anche senza tener conto del valore unitario, quindi senza dividere per n. delle azioni, sia a numeratore che a denominatore.

Il free cash flow, è il flusso di cassa che residua dopo i costi operativi, rimborso dei debiti, oneri finanziari ed anche al netto degli investimenti effettuati/necessari. Tradotto in termini di multipli di mercato e valutazione aziendale, il rapporto di cui prima ci dice banalmente quanto volte stiamo pagando un business e quante volte (esercizi) l’azienda in questione sia in grado di ripagare l’investimento iniziale con i suoi flussi di cassa (avendo acquisito una sua quota di mercato).

Il free cash flow potrebbe essere sostituito anche da altre grandezze: potrebbe anche essere il semplice flusso di cassa operativo, generato dall’area operativa (“OCF, operating cash flow) od anche il flusso di cassa totale, che residua alla fine di tutto (od altre grandezze citate prima, anche semplici indici di bilancio).

Il fulcro della questione deve essere il seguente: da una parte abbiamo la valutazione di mercato di un business e dall’altra abbiamo le sue grandezze economiche, nel nostro caso grandezze derivanti da flussi finanziari (che molto spesso sono anche più oggettive ed attendibili delle grandezze economiche classiche, utile, valore della produzione ed altre, le quali sono soggette spesso a politiche contabili e ad approcci arbitrari).

Con ciò, noi vogliamo valutare la convenienza o meno di un investimento (magari rapportandolo ad altre valutazioni/indici, sempre tramite multipli di mercato di aziende dello stesso settore), basandoci sulla logica che: a fronte di un’ottimo flusso di cassa operativo, a fronte di un’ottima generazione di cassa oppure a fronte di un’ottima redditività/tasso di crescita degli stessi flussi finanziari, noi saremo disposti a pagari un più alto prezzo e viceversa.

Il mercato finanziario dovrebbe seguire le stesse logiche ma non sempre è così e di fatto noi dobbiamo cogliere questo “bias“, questa lacuna e queste inefficienze, pagando un business ad un prezzo di mercato corrente inferiore rispetto a quanto sia realmente in grado di generare, tramite un’analisi del rendiconto finanziario e tramite un’analisi della sua dinamica finanziaria. Tradotto in termini di multipli di mercato e concludendo:

  1. Scegliamo un campione di aziende, possibilmente dello stesso settore, comparabili e simili per varie ragioni (e dove non sono comparabili, aggiustare i risultati o tener conto delle differenze, vuoi per size od altri fattori);
  2. Calcolare per ognuna, il multiplo di mercato di cui sopra e fare un’analisi finanziaria, a livello di flussi di cassa/rendiconto finanziario;
  3. Disponiamo il tutto su un grafico X/Y, asse delle ascisse (X) la grandezza economica (FCF o OCF od altro), asse delle ordinate (Y) il prezzo di mercato o capitalizzazione di borsa;
  4. Fare una regressione lineare, per valutare da un lato l’andamento e la validità statistica di ogni variabile e moltiplicatore (seguendo la logica precedente dovrebbe presentare una proporzionalità diretta, una linea crescente dall’origine più o meno inclinata od in caso contrario domandarsi il perché di un diverso andamento aggiustando sia campione che risultati) e dall’altro per individuare il bias citato, comprando le aziende che si situano al di sotto delle linea di regressione (cosiddette “sottovalutate”, a parità di grandezza economica scontano un prezzo di mercato più basso rispetto al loro valore teorico od intrinseco) e vendendo quelle che si situano al di sopra della linea di regressione (cosiddette “sopravvalutate”, a parità di grandezza economica scontato un prezzo di mercato più alto rispetto al loro valore teorico od intrinseco).

Sintetizzando il tutto, noi avremo un’equazione di questo tipo:

P = a + b*FCF

o meglio rettificata

P/FCF = a + b*(redditività dei flussi di cassa o tasso di crescita dei flussi)

dove P = Y e FCF = X, a è l’intercetta, b è il coefficiente angolare. Viste le considerazioni precedenti, molto spesso nella prassi abbiamo quella che si chiama value map“, una mappa del valore che assegna direttamente ad ogni multiplo di mercato la sua redditività intrinseca o suo valore economico complessivo, quindi Y = P/FCF e X = tasso di crescita dei flussi di cassa o redditività dei flussi di cassa od altri indici/valutazioni, seguendo la logica di proporzionalità citata e superando il semplice rapporto prezzo/grandezza economica che può essere già utile ma non sufficiente (considerando quindi il business nella sua interezza, si veda a tal proposito l’importanza del punto 2).

In merito alle considerazioni, si rimanda a quanto detto già al punto 4), unico appunto è che il business model deve essere validato e supportato anche statisticamente: molto spesso l’intercetta ha valore nullo, in quanto ha un test sul coefficiente >5%; in altri casi è lo stesso coefficiente ad essere scartato per lo stesso test (e qui cadrebbe invece tutto il modello); in altri casi togliendo e/o rettificando alcuni valori od alcune aziende dal campione, si ottiene maggiore significatività statistica e più bontà del modello; in altri casi addirittura nel primo step, è già presente un R al quadrato non soddisfacente e quindi bisogna rettificare od analizzare ulteriori variabili e via dicendo.

Il rendiconto finanziario: conclusioni.

Abbiamo concluso il nostro percorso. Siamo partiti, come logico sia, dallo schema classico del rendiconto finanziario da IAS 7, focalizzando l’attenzione sull’importanza derivante dalla generazione di cassa operativa e copertura sulle altre aree (con interpretazione dei risultati e soluzioni da adottare). Un’azienda che non ha questi requisiti difficilmente ha una struttura finanziaria solida tale poi da portare avanti il proprio business nel lungo periodo.

Nella seconda fase, abbiamo descritto i principali indici, ottenuti dalla rielaborazione e riclassificazione del rendiconto finanziario, trasmettendo l’importanza di come questo schema non sia uno schema asettico ma adattabile al contesto e rielaborabile come meglio si crede, in base agli obiettivi dell’analista e in base all’esigenze di tutti i portatori di interesse.

L’argomento appena citato ha valore massimo ed è ancor più vero se declinato in tutte le possibili applicazioni del rendiconto (che possono essere infinite), esposte nella terza fase: dalla classica applicazione nel contesto del budgeting, programmazione e DSCR, alle più specifiche applicazioni nel contesto della finanza aziendale, valutazione aziendale e statistica.

Il senso ultimo che deve rimanere è il seguente: conoscere il rendiconto, per saperlo in primis costruire ma soprattutto per essere in grado di valutarlo, adattarlo e modificarlo all’occorrenza, per trarre quel valore aggiunto e quel valore informativo tante volte nascosto che è diventato indispensabile ed imprescindibile nel contesto attuale di mercato.

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    Michele Carollo
    Laureato nel 2014 in Economia e Legislazione d'Impresa presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel 2018 ho conseguito un Master in Diritto Tributario presso Euroconference ed un altro in Revisione Legale presso Eutekne. Da alcuni anni collaboro con studi legali e commercialisti, con specializzazione nel settore agricolo. Sempre attento alle tematiche finanziarie, sviluppo il controllo di gestione per le PMI, Controller legge 4/2013, associato AssoController ed IMA®, appassionato di trading e di mercati finanziari.

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