La crescente digitalizzazione dell’economia globale ha reso evidente la necessità di riformare i sistemi fiscali internazionali, portando alla nascita di nuove iniziative come il Pillar One proposto dall’OCSE. Questo strumento mira a ridisegnare le regole della tassazione delle multinazionali, allocando una parte dei loro profitti alle giurisdizioni in cui queste generano ricavi significativi, indipendentemente dalla loro presenza fisica in quei paesi.
L’obiettivo dichiarato è quello di contrastare le pratiche di elusione fiscale che sottraggono risorse, in particolare ai paesi in via di sviluppo, che spesso faticano a trattenere una quota equa delle entrate fiscali prodotte dalle attività economiche sul proprio territorio. Il Pillar One è un cambiamento notevole rispetto ai precedenti modelli di tassazione, che si basavano principalmente sul concetto di presenza fisica (permanent establishment) per determinare i diritti di tassazione di una giurisdizione. Con l’evolversi delle attività economiche, soprattutto nel settore digitale, queste regole si sono dimostrate inadeguate, permettendo alle multinazionali di sfruttare lacune normative per ridurre al minimo la loro contribuzione fiscale nei paesi in cui operano.
Nonostante le promesse di un maggiore equilibrio, l’introduzione del Pillar One presenta numerosi ostacoli, in particolare per le economie emergenti. Le soglie di ricavo elevate, le complessità normative e la distribuzione delle nuove entrate fiscali potrebbero limitare significativamente i benefici per questi paesi, perpetuando le disuguaglianze esistenti nel sistema fiscale internazionale.
Indice degli Argomenti
Il pillar one: definizione e meccanismi
Il Pillar One introduce un nuovo diritto impositivo, chiamato “Amount A“, che permette ai paesi di tassare una quota dei profitti residuali delle multinazionali che superano determinate soglie di fatturato globale e di attività economica in una giurisdizione specifica. Con l’Amount A una porzione dei profitti globali delle multinazionali che viene ridistribuita tra i paesi in cui l’azienda opera, basandosi su una formula di allocazione.
Questa formula tiene conto della proporzione dei ricavi generati in ciascuna giurisdizione rispetto ai ricavi globali dell’impresa. Oltre ad Amount A, il Pillar One introduce anche “Amount B“, che riguarda una remunerazione standardizzata per le attività di marketing e distribuzione delle multinazionali, specificamente in quelle giurisdizioni dove tali attività sono svolte con una presenza fisica ridotta o assente.
Differenze rispetto al passato
Tradizionalmente, il diritto di tassare i profitti di una multinazionale era riservato ai paesi in cui l’azienda aveva una presenza fisica (permanent establishment). Quindi, le regole di tassazione erano basate sul concetto di residenza fiscale e sulla presenza fisica, il che consentiva alle multinazionali di ridurre al minimo la tassazione. Infatti, le aziende potevano spostare i profitti in giurisdizioni con aliquote fiscali basse o nulle, creando un’erosione della base imponibile e trasferimento di profitti (Base Erosion and Profit Shifting, BEPS).
Impatto sui paesi in via di sviluppo
Uno degli aspetti più rilevanti del Pillar One è la soglia di fatturato globale che una multinazionale deve superare affinché i suoi profitti siano soggetti alla redistribuzione prevista da Amount A. Attualmente, questa soglia è fissata a circa 750 milioni di euro, una cifra che tende a escludere molte aziende operanti nei paesi in via di sviluppo, dove i mercati, pur emergenti, non raggiungono tali volumi di fatturato. Tale esclusione è particolarmente significativa per i paesi in via di sviluppo, in cui la crescita del settore digitale è accelerata, ma i mercati rimangono relativamente piccoli in termini di ricavi complessivi.
Effetti redistributivi del Pillar One
L’obiettivo del Pillar One è redistribuire una parte dei profitti delle multinazionali ai paesi in cui generano valore, ma le modalità con cui questa redistribuzione avviene possono portare a risultati disomogenei tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Le economie più grandi, con mercati di consumo più ampi, tendono a beneficiare maggiormente di questa redistribuzione poiché rappresentano una fetta significativa dei ricavi delle multinazionali.
Tale effetto redistributivo asimmetrico è amplificato dal fatto che molte delle attività economiche nei paesi in via di sviluppo non rientrano nei settori prioritari del Pillar One, come le risorse naturali, che sono spesso esclusi dalle nuove regole. L’introduzione del Pillar One nei paesi in via di sviluppo non è esente da critiche e ostacoli operativi. Una delle principali criticità è la complessità delle regole proposte, che possono rappresentare un ostacolo significativo per le amministrazioni fiscali di questi paesi, spesso già alle prese con limitate risorse e capacità tecniche. Inoltre, la complessità dei meccanismi di redistribuzione e la necessità di negoziare con multinazionali potenti possono mettere i paesi in via di sviluppo in una posizione di svantaggio nei confronti delle economie più forti, aumentando il rischio che non riescano a ottenere una quota equa delle entrate redistribuite.
Casi di Studio
Paesi Africani
L’Africa è uno scenario ottimale per analizzare l’impatto del Pillar One nei paesi in via di sviluppo. La Nigeria e il Kenya, hanno mercati emergenti con un crescente potenziale di consumo, soprattutto nei settori tecnologici e dei beni di consumo. Tuttavia, nonostante questo potenziale, le economie africane affrontano grossi ostacoli nell’introduzione del Pillar One, a causa delle soglie elevate e delle complessità normative che caratterizzano la riforma. Ad esempio, in Nigeria, un mercato in rapida crescita per le tecnologie digitali e i beni di consumo, molte multinazionali potrebbero superare la soglia di ricavo globale, ma non quella di ricavo locale necessaria per l’applicazione di Amount A. Ciò significa che, nonostante la crescente attività economica e il numero crescente di consumatori, le entrate fiscali redistribuite attraverso il Pillar One potrebbero essere limitate.
In Kenya, un altro esempio, il settore del mobile banking e delle tecnologie digitali ha visto una crescita esplosiva, attirando l’interesse di molte multinazionali. Tuttavia, come in Nigeria, il livello di ricavi generati localmente potrebbe non essere sufficiente per far scattare la redistribuzione fiscale prevista dal Pillar One.
Asia e America Latina
Anche in Asia e America Latina, l’impatto del Pillar One varia notevolmente a seconda delle caratteristiche economiche e delle politiche fiscali locali. L’India, ad esempio, con la sua vasta base di consumatori e un mercato tecnologico in rapida crescita, è in una buona posizione per beneficiare del Pillar One. Tuttavia, le soglie e le esclusioni previste potrebbero limitare l’entità delle entrate redistribuite. L’India ha già introdotto una tassa sui servizi digitali (DST) per catturare parte dei profitti generati dalle multinazionali digitali, il che solleva interrogativi su come questa tassa interagirà con il nuovo regime fiscale globale e se il Pillar One fornirà un ulteriore beneficio o se semplicemente sostituirà le entrate attualmente ottenute tramite la DST.
In America Latina, il Brasile rappresenta un caso di studio interessante. Il paese ha una delle economie più grandi e diversificate della regione, con una forte presenza di multinazionali in settori come l’agricoltura, l’energia e il commercio al dettaglio. Tuttavia, la complessità del sistema fiscale brasiliano e le specifiche esenzioni settoriali previste dal Pillar One potrebbero ridurre l’impatto della riforma sulle entrate fiscali del paese.
Paesi meno sviluppati (Ldcs)
Per i paesi meno sviluppati (LDCs), l’introduzione del Pillar One potrebbe rappresentare un’opportunità per aumentare le entrate fiscali, ma anche un rischio significativo di esclusione. Molti di questi paesi non hanno mercati sufficientemente grandi o sviluppati per attrarre grandi multinazionali, il che significa che potrebbero ricevere solo una minima parte dei profitti redistribuiti. Inoltre, le limitate risorse amministrative e tecniche in molti LDCs rendono difficile l’applicazione delle nuove regole, sollevando dubbi sulla loro capacità di competere efficacemente nel nuovo panorama fiscale globale. Ad esempio, paesi come il Burkina Faso o il Madagascar, con economie basate principalmente sull’agricoltura e sull’estrazione di risorse naturali, non beneficeranno significativamente del Pillar One, poiché questi settori sono in gran parte esclusi dalla redistribuzione fiscale prevista.
Conclusioni
Il Pillar One rappresenta una delle più ambiziose riforme della fiscalità internazionale, destinata a ridisegnare il modo in cui le multinazionali sono tassate a livello globale. Questa iniziativa nasce con l’obiettivo di creare un sistema fiscale più equo, in grado di rispondere alle sfide poste dalla digitalizzazione dell’economia e di contrastare l’elusione fiscale che sottrae risorse ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia, nonostante le promesse iniziali, l’attuazione del Pillar One solleva interrogativi riguardo alla sua capacità di raggiungere questi obiettivi, soprattutto per quanto riguarda i benefici effettivi per le economie emergenti.
Il meccanismo di redistribuzione dei profitti previsto dal Pillar One, attraverso Amount A e Amount B, è stato accolto con favore da molti paesi, ma le soglie elevate e la complessità normativa rischiano di escludere gran parte dei mercati emergenti dai benefici sperati. I settori economici più importanti per i paesi in via di sviluppo, come l’estrazione delle risorse naturali e l’agricoltura, rimangono in gran parte fuori dal nuovo regime fiscale, limitando ulteriormente il potenziale impatto positivo. Le criticità sollevate riguardano anche la disparità nella distribuzione dei benefici, con i paesi sviluppati che, avendo mercati di consumo più ampi, tendono a ottenere una quota maggiore delle entrate redistribuite. Questo fenomeno potrebbe perpetuare le disuguaglianze esistenti nel sistema fiscale internazionale, piuttosto che ridurle.