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Attività finanziarie estere nella pianificazione successoria

La valutazione delle attività finanziarie estere in ottica di pianificazione successoria da indicare in dichiarazione di successione.

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La pianificazione del passaggio generazionale dei propri beni è da sempre un aspetto che interessa imprenditori e soggetti privati che detengono patrimoni. Tale passaggio, solitamente, avviene attraverso la successione. Sotto il profilo della pianificazione successoria, l’Italia rappresenta sicuramente un Paese con un regime di tassazione “favorevole” grazie ad:

  • Aliquote ridotte (dal 4 all’8%);
  • Franchigie elevate (1 milione di euro fra coniugi e in linea retta), e
  • Calcolo conservativo dei valori (sugli immobili, di fatto, al valore catastale e sulle partecipazioni non quotate il patrimonio netto contabile).

Tuttavia, dobbiamo interrogarci su che cosa succede nel momento in cui all’interno del complesso di beni oggetto di successione vi sono anche attività finanziarie detenute all’estero. Proviamo, di seguito, ad approfondire questo argomento per permetterti di gestire al meglio la tua pianificazione successoria anche in questi casi.

Adempimenti dichiarativi ai fini successori per i beni all’estero

La dichiarazione di successione di un soggetto residente in Italia comprende, in base all’art. 2, co. 1, del D.Lgs. n. 346/1990, (TUS) anche le attività finanziarie e i beni patrimoniali detenuti all’estero. Sotto un profilo pratico, tali beni, sostanzialmente (evitando problemi di mancata dichiarazione) sono quelli riconducibili al quadro RW della dichiarazione dei redditi del de cuius. Come per il quadro RW, il principio impositivo è quello della tassazione a livello mondiale. In questo caso, sono i beni esistenti a livello mondiale ad entrare nell’ambito della successione.

Questo significa che nella dichiarazione di successione del de cuius residente in Italia (indipendentemente dalla sua cittadinaza) devono trovare spazio anche le attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero. Si tratta, di tutte quelle attività che hanno trovato spazio nel quadro dichiarativo legato al monitoraggio fiscale delle attività estere. Pertanto, per tali attività estere deve essere presentata apposita successione nello Stato dove sono detenute, salvo poi comprendere tutte queste attività nella dichiarazione di successione italiana (che sarà quella complessiva). La combinazione di tali criteri di territorialità con quelli previsti dagli ordinamenti esteri può portare a casi di doppia imposizione ove, ad esempio, lo Stato estero:

  • Mel quale è situato il bene oggetto di successione applichi il principio della lex rei sitae (es. Regno Unito), oppure
  • Preveda una tassazione su base mondiale qualora l’erede sia residente in tale Paese estero (es. Francia e Germania).

In questi casi potrebbe capitare che vi sia una duplicazione di imposta di successione, dovuta sia nello Stato ove l’attività è detenuta, sia in Italia. Per attenuare questa problematica l’art. 26, co. 1, lett. b) del TUS prevede la detrazione dell’imposta pagata all’estero per la stessa successione e per i beni esistenti nello Stato estero, fino a concorrenza della parte dell’imposta di successione proporzionale al valore dei beni stessi, salva l’applicazione di trattati o accordi internazionali.

Le convenzioni internazionali in materia successoria con l’Italia

I paesi che hanno stipulato con l’Italia convenzioni in materia di imposte di successione sono quelli riportati nella seguente tabella.

StatoConvenzione in materia di imposte di successione
DanimarcaConvenzione del 10 marzo 1966 approvata con la legge 18 marzo 1968, n. 649
FranciaConvenzione del 20 dicembre 1990, approvata con la legge 14 dicembre 1994, n. 708
Regno UnitoConvenzione del 15 febbraio 1966, approvata con la legge 9 agosto 1967, n. 793
GreciaConvenzione 13 febbraio 1964, approvata con la legge marzo 1968, n. 524
IsraeleConvenzione 22 aprile 1968, approvata con la legge 12 aprile 1973, n. 201
Stati Uniti d’AmericaConvenzione 30 marzo 1955 approvata con la legge 19 luglio 1956, n. 943
SveziaConvenzione 20 dicembre 1956, approvata con la legge 13 marzo 1958, n. 280

Sulla base di queste indicazioni possiamo dire che, sicuramente, vi è in ambito internazionale una scarsa attenzione per quanto riguarda la problematica successoria. Su questo aspetto da segnalare la raccomandazione della Commissione EU 15/12/2011, n. 2011/856/EU sulle misure per evitare la doppia/multipla imposizione in materia di successioni.

Scelte di convenienza sulla detenzione di attività all’estero ai fini successori

Volendo effettuare un’analisi di convenienza sul detenere o meno attività finanziarie e/o beni patrimoniali all’estero non si può prescindere:

  • Dalla tipologia dei beni che cadono in successione con riferimento al loro impatto sulle imposte dirette;
  • Dall’imposta di successione da pagare all’estero che, sebbene scomputata dall’imposta di successione dovuta in Italia, potrà essere in alcuni casi consistente. In questo contesto diventa importante determinare l’impatto delle imposte di successione nei paesi in cui sono situati i beni.

Per gli eredi la conseguenza principale della successione ai fini reddituali consiste nel fatto che il valore a cui avranno in carico le attività finanziarie e patrimoniali è dato dal valore tassato ai fini successori. L’onere per imposta di successione entra a far parte del valore di carico del bene. Pertanto, possiamo dire che per una corretta pianificazione e valutazione degli investimenti immobiliari e finanziari
all’estero di una persona fisica residente in Italia è indispensabile conoscere anche le imposte di successione che sono dovute nei paesi dove i beni sono detenuti.

Come si determina la base imponibile delle attività estere nella successione?

I criteri generali per determinare il valore dei beni che formano l’attivo ereditario è determinato dalle indicazioni fornite dagli articoli 14, 15 e 16 del TUS. In caso di beni detenuti all’estero il contribuente ha la possibilità di dichiarare il valore imponibile oppure fornire quello concordato con lo Stato estero. In pratica, al contribuente è lasciata la scelta tra indicare il valore dei beni facendo riferimento alla normativa del paese estero dove sono detenuti, oppure prendere a riferimento il TUS e determinare in questo modo il valore. Il tutto, tenendo in considerazione le convenzioni contro le doppie imposizioni (ove esistenti).

Sul punto si segnala la presenza della C.M. 10/1/1973 n. 5 primo capitolo, nella quale viene indicato:

in via di massima gli uffici non potranno espletare alcun accertamento circa l’esistenza od il valore dei beni siti all’estero e dovranno attenersi all’eventuale dichiarazione degli interessati. Tuttavia, ove particolari circostanze lo giustificassero, essi potranno rivolgersi, con motivata o particolareggiata richiesta, alle Autorità consolari italiane

Restano salve le convenzioni internazionali che prevedono reciproca assistenza e scambio di informazioni tra le autorità dei diversi Stati, al fine di contrastare fenomeni di evasione e facilitare accertamenti tributari.

Le differenze tra l’indicazione dei beni nel quadro RW e le indicazioni in sede di successione

Prendendo a riferimento le casistiche principali di attività patrimoniali e finanziarie detenute all’estero le casistiche che si possono presentare sono le seguenti. Questo, in relazione alle differenza esistenti tra la valorizzazione delle attività nel quadro RW rispetto alla fase successoria.

AttivitàValore successorioValore quadro RW
ImmobileValore venaleCosto di acquisto
Partecipazione non quotataValore venaleValore nominale
Partecipazione quotataValore medio prezziValore di mercato a fine periodo

Sostanzialmente, il de cuius non realizza capital gain su quote di partecipazione e obbligazioni, così come sui beni patrimoniali, quali immobili, gioielli, etc (art. 67 TUIR).

Unica eccezione vale per i Fondi Comuni di investimento che vanno virtualmente riscattati e riacquistati dagli eredi (che avranno come valore di carico quello del momento dell’acquisto) con realizzo delle plusvalenze che saranno tassate con differente modalità a seconda della nazionalità e natura del Fondo (vedere ISIN). Per i Fondi europei soggetti a vigilanza queste plusvalenze rappresentano reddito di capitale tassato a ritenuta a titolo di imposta nel quadro RM sez. V lettera b) del modello Redditi P.F.

Per i Fondi europei non soggetti a vigilanza o per i Fondi extra europei (CH, USA, Fondi paesi orientali) le plusvalenze sono reddito di capitale soggetto a imposizione progressiva, cumulandosi agli altri redditi posseduti e da dichiarare nel quadro RL rigo 2 tipo reddito 4. Tali plusvalenze devono essere dichiarate nella dichiarazione dei redditi del de cuius che deve essere presentata dagli eredi. (Circolare n. 19/E del 4 giugno 2013 pag. 10). Le minusvalenze invece non sono ammesse in detrazione.

Polizze vita

Le polizze assicurative a contenuto finanziario (unit legate all’andamento dei Fondi o index linked) o polizze vita tradizionali. Si tratta di polizze esenti da imposta di successione, salvo loro eventuale riqualificazione in depositi titoli e conseguente imponibilità come attività finanziarie, a seconda della composizione del portafoglio e delle modalità di gestione. Sul punto vedasi la C.M. 10/2015 (pag. 10).

Titoli di stato

I titoli di Stato sono esenti da imposta di successione ma il loro valore fiscale riconosciuto agli eredi è il valore di mercato alla data di apertura della successione. In questo caso possibili rivalutazioni o svalutazioni rispetto al valore originario di acquisto devono essere fatte valere nel calcolo del capital gain.

L’individuazione dei paesi Black List

Un fattore decisivo per le scelte di convenienza sulla detenzione di beni in un determinato Stato estero è la sua qualifica di paese a regime fiscale agevolato o meno. Per quanto riguarda i paesi a fiscalità privilegiata (black list) occorre tenere in considerazione alcune implicazioni normative da conoscere e non sottovalutare. Mi riferisco alle seguenti:

  • Art. 12 comma 2, 2-bis e 2-ter del D.L. n. 78/2009 che comportano quanto segue:
    • Comma 2: presunzione di reddito non dichiarato per le persone fisiche per le somme non dichiarate nel quadro RW, salvo prova contraria. In tale caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, per omessa o infedele dichiarazione, sono raddoppiate. I paesi indicati nei D.M. sono presi in considerazione senza tener conto delle limitazioni previste nei D.M. stessi;
    • Comma 2-bis: raddoppio dei termini per l’accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2;
    • Comma 2-ter: raddoppio dei termini per l’irrogazione delle sanzioni sul monitoraggio fiscale.

Per approfondire: “Raddoppio dei termini di accertamento per attività finanziarie estere non dichiarate“.

Quali soluzioni per le situazioni a rischio?

Nell’ottica di valutare la convenienza di detenere un determinato bene in un determinato paese estero entrano in gioco le considerazioni analizzate in precedenza: quando da tale analisi si presenti un rischio, ad esempio un elevato onere per imposta di successione, è necessario esaminare le soluzioni possibili alla luce sia della normativa del paese estero che della normativa italiana.

La normativa italiana offre oggi una soluzione da approfondire: la entry tax di cui all’art. 166-bis del TUIR. Si tratta di una norma che disciplina i valori fiscali in ingresso per imprenditori commerciali che si trasferiscono in Italia dall’estero.

Opzione per la entry tax per gli imprenditori

L’articolo 166-bis del TUIR (rubricato “Valori fiscali in ingresso“) stabilisce che gli imprenditori commerciali che provengono dagli Stati o dai territori presenti nella lista dell’art. 11, comma 4, lett. c) del D.Lgs. n. 239/1996 (la White list) e si trasferiscono in territorio italiano acquisiscono la residenza ai fini delle imposte sui redditi e “assumono quale valore fiscale delle attività e delle passività il valore normale delle stesse, da determinarsi ai sensi dell’articolo 9 del TUIR“.

Se provengono da Stati o territori diversi dai suddetti:

  • Qualora esista un accordo preventivo con questi paesi (art. 31-ter del DPR n. 600/1973, introdotto dal decreto internazionalizzazione) nulla cambia e il valore delle attività e delle passività sarà assunto sempre pari al valore normale ex art. 9 del TUIR;
  • Qualora non esista tale accordo, il valore delle attività e passività trasferite sarà assunto:
    • Per le attività in misura pari al minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore normale determinato sempre ai sensi dell’art. 9 del TUIR;
    • Per le passività in misura pari al maggiore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore normale.

Il trasferimento di residenza all’estero in ottica di pianificazione successoria

Nell’ottica della pianificazione successoria può avere senso, in situazioni di incertezza nell’applicazione delle disposizioni estere in ottica successoria, di valutare un trasferimento di residenza all’estero. Trasferire la propria residenza all’estero può essere un’opzione da prendere in considerazione non solo per valutare un cambiamento del proprio stile di vita, ma anche per pianificare la propria successione. Nella scelta di un paese ove stabilirsi, magari per l’ultima parte della propria vita, può essere interessante valutare paesi che non applicano imposte sulla successione. Come abbiamo detto, infatti, è lo Stato di residenza fiscale del de cuius ad essere direttamente interessato alle imposte di successione.

Indirettamente lo sono anche gli Stati ove sono detenute le attività estere, ma solo parzialmente. Naturalmente, deve essere tenuto presente che il processo di trasferimento della propria residenza all’estero non si sostanzia nella mera iscrizione AIRE (aspetto necessario ma da solo non sufficiente al trasferimento di residenza), ma occorre prestare attenzione all’effettivo radicamento all’estero del soggetto espatriato per quanto riguarda i suoi principali collegamenti di natura familiare, patrimoniale ed economica. Solo una volta che tutti questi elementi trovino collegamento con il paese estero potrà trovare riscontro un effettivo trasferimento all’estero.

È in questo contesto, infatti, che può essere utile valutare un trasferimento di residenza all’estero anche in ottica di pianificazione successoria. Vediamo, quindi, nella seguente tabella quali sono i principali paesi del mondo che non applicano tassazione in caso di successione. Proprio in relazione agli aspetti legati ad un effettivo trasferimento all’estero deve essere tenuto presente che alcuni di questi paesi rientrano nella lista dei paesi non collaborativi per il trasferimento di residenza all’estero delle persone fisiche (vedi Singapore ed Hong Kong).

Tabella: paesi che non applicano imposte di successione

Hong KongSingapore
PortogalloMacao
SlovacchiaEstonia
Messico Canada
Nuova ZelandaAustralia
Paesi che non applicano imposte di successione

Per approfondire: “10 paesi senza imposta di successione“.

Consulenza fiscale online

Quando si parla di pianificazione patrimoniale in ottica successoria occorre prestare particolare attenzione alle implicazioni che questa comporta. Come abbiamo visto, potrebbero crearsi problematiche di doppia imposizione che, non in tutti i casi, comportano una possibile attenuazione, attraverso il credito per imposte assolte all’estero. Per questo motivo, è opportuno effettuare valutazioni in ottica di pianificazione futura della successione, anche attraverso il trasferimento di residenza in Paesi che prevedono discipline successorie favorevoli.

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Soltanto in questo modo, infatti, potrai essere sicuro di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.

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