Il mobbing in Italia non gode di una vera e propria normativa che lo delinea, ma sono molteplici le norme a favore dei lavoratori che versano in situazioni di questo tipo e subiscono mobbing sul posto di lavoro.
Partiamo con il definire che cosa sia il mobbing, perché non sempre vengono valutate le situazioni con il giusto peso, a volte sono battute tra colleghi, a volte sono comportamenti velatamente offensivi che il datore di lavoro offre ai propri dipendenti, ma quando possiamo realmente parlare di mobbing? Quando un lavoratore può, e deve denunciare questi fatti?
Con il termine “mobbing” vengono intesi tutti quei comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro, al fine di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima. |
Chi è vittima di questa violenza a volte fisica a volte psicologica, denuncia la continuità di un clima pesante, di atteggiamenti non consoni al corretto svolgimento della sua attività lavorativa. Si parla di isolamento dal gruppo, venendo meno quelli che sono i momenti di condivisione in ambito lavorativo, nel mobbing i soggetti coinvolti sostanzialmente sono due:
- la vittima ( o mobbizzato) e
- l’aggressore ( o mobber), non si parla di due soggetti, ma bensì di due ruoli di conflitto, infatti può succedere che i comportamenti messi in atto non derivino solo da un soggetto, ma talvolta dalla condivisione di comportamenti aggressivi messi in atto dai dipendenti nei confronti del singolo, o spesso succede che i mobbizzanti agiscono in maniera passiva, assecondando la volontà del datore di lavoro che intende isolare il dipendente.
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Durata e INAIL
Per parlare di mobbing sul lavoro, il comportamento persecutorio deve durare più di 6 mesi e gli atti vessatori si devono presentare circa 1 volta a settimana se si tratta di mobbing ripetuto nel corso del tempo e deve essere causa di una serie di ripercussioni psico-fisiche che rientrano nelle malattie previste in ambito lavorativo configurandosi come danno biologico.
L’invalidità psico-fisica che viene conclamata dal medico, al lavoratore danneggiato, viene inclusa nell’ambito delle malattie professionali e l’INAIL, proprio per questo motivo, riconosce queste patologie come quelle che danno diritto al riconoscimento del danno biologico.
Le tipologie di mobbing
La forma di mobbing più diffusa e messa in atto è quella del datore di lavoro che con i suoi comportamenti offensivi, attribuzioni di mansioni dequalificanti, calunnie, offese, cerca di portare il lavoratore a compiere il gesto più estremo ovvero quello di presentare le dimissioni, questo tipo di mobbing viene chiamato bossing o mobbing strategico.
A seconda delle dinamiche che si presentano in azienda e dei soggetti coinvolti vengono individuate diverse tipologie di mobbing. Si può parlare di:
- mobbing orizzontale;
- o mobbing verticale.
Il primo fa riferimento alla situazione nella quale il lavoratore è danneggiato da lavoratori al suo stesso pari, mentre nel mobbing verticale confluiscono non solo i lavoratori di livello inferiore, ma anche i superiori gerarchici, in tal caso si riconosce l’illecito proveniente da lavoratori con qualifiche inferiori o gli stessi datori di lavoro.
Il mobbing di tipo gerarchico prevede la figura di un soggetto superiore che agisce nei confronti del mobbizzato, questo tipo di mobber comprende tutti quei comportamenti riconducibili all’abuso di potere, ovvero l’uso illecito o non conforme a quello che sarebbe il comportamento datoriale corretto. E’ proprio su questo tipo di condotta che si conforma l’illecito penale.
Non essendo presenti nel nostro ordinamento norme che sanzionano atteggiamenti di vessazione morale o di dequalificazione professionale, resta altamente importante collegare la condotta illecita del datore di lavoro ( e/o dipendenti) con l’effettivo danno causato al mobbizzato.
Ciò che fonda la condotta illegittima di queste azioni è il venir meno dell’obbligo datoriale secondo l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo le particolarità dell’attività svolta, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Dal punto di vista civilistico tale obbligo fa sì che il datore venga chiamato a rispondere e risarcire il danno derivante da dequalificazione o danno biologico subito dal lavoratore.
Sono molti i riferimenti normativi generici che tutelano il lavoratore e il diritto al lavoro, garantendo in maniera passiva una tutela alle forme di mobbing che possono presentarsi.
L’art. 2087 c.c. rappresenta un obbligo di prevenzione che venendo meno può dar luogo a fenomeni quali il mobbing; per questo motivo l’azienda deve rispettare e adempiere a tutti gli obblighi derivanti da questa norma, garantendo l’integrità psico-fisica del soggetto.
Oltre a parlare di inadempienza del datore di lavoro, l’omissione, che consente al lavoratore, a seguito di prove esposte al giudice, di poter richiedere il risarcimento del danno, facciamo riferimento anche alle norme che di base tutelano il lavoratore nel nostro ordinamento. Si parla di tutela generica della persona se prendiamo alcuni articoli della Costituzione, dove viene garantita l’uguaglianza, la non discriminazione, il diritto al lavoro.
Sono tutti diritti che oltre a tutelare la sfera personale dell’individuo rappresentato come persona svincolata da ogni tipo di rapporto, lo tutelano anche nelle vesti di lavoratore all’interno di un contesto fatto di dinamiche e rapporti che devono essere tutelati.
Una norma importante prevista dalla nostra Costituzione, usata ai fini di contrastare l’evento del mobbing è rappresentata dall’art. 32 della Cost. la quale afferma che la salute è un diritto dell’individuo e della collettività.
L’attività di ognuno deve essere svolta senza recare danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana, per tale motivo chi procura mobbing direttamente va a ledere tutti i diritti primari che ci vengono riconosciuti sia come individuo che nelle vesti di lavoratore.
Mobbing: come si dimostra e i reati collegati
I comportamenti subiti dal lavoratore, oggettivamente illeciti che danno vita al fenomeno del mobbing non sono oggetto di una una particolare norma, che li individua e li tutela con apposite leggi, in tal senso per poter determinare quando si tratta di condotta illecita, è necessario individuare quali sono gli elementi costitutivi che danno vita al fenomeno del mobbing.
Solitamente un soggetto che subisce mobbing, viene perseguitato da uno stesso lavoratore o datore di lavoro, con l’intenzione di voler recare un danno alla vittima, si parla di un comportamento prolungato nel tempo, che sia strettamente correlato al danno che il lavoratore subisce.
Si pensi al lavoratore che viene escluso dai corsi di aggiornamento, esso si troverà in una situazione di svantaggio rispetto a tutti gli altri, oltre al danno all’immagine, di un soggetto trovato impreparato sul posto di lavoro, si aggiunge il danno patrimoniale, ad esempio, se quest’ultimo lavorasse con un pacchetto di clienti, si troverebbe non formato a livello professionale ed i clienti potrebbero andarsene e trovare nei suoi colleghi nuove figure professionali a cui affidarsi.
Dimostrare per il danneggiato tale situazione non risulta semplice, quest’ultimo dovrà accertare il nesso causale tra il danno subito e la condotta posta in essere, oltre alla volontà del mobbizzante se deriva da dolo o colpa.
Nel caso del datore di lavoro la discriminante tra dolo e colpa è legata alla condotta posta in essere, ovvero può esserle imputata una condotta illecita derivante da colpa, quando il datore di lavoro non è il soggetto agente ovvero il mobber, ma è colui che risponde dell’inadempienza degli obblighi previsti dall’art. 2087 c.c. non garantendo tutte le misure necessarie a garantire l’integrità fisica del mobbizzante. Il dolo invece indica l’intenzione di agire con coscienza e volontà, realizzando l’evento criminoso voluto.
Applicando le norme di diritto penale in queste circostanze possiamo determinare che il mobbing potrebbe sfociare in reati quali la diffamazione, l’ingiuria e talvolta anche in ipotesi di omocidio colposo, qualora il datore di lavoro per dolo o per colpa porta il lavoratore a compiere atti estremi, quali il tentato suicidio.
Anche i colleghi potrebbero in qualche modo alimentare questa situazione pur non essendo loro stessi a compiere azioni vessatorie, semplicemente attraverso azioni di non fare, unendosi al datore di lavoro, portando il mobbizzato all’isolamento.
Per determinare una condotta illecita nel mobbizzante si devono riscontrare lo scopo negativo quindi il dolo o la colpa, l’obiettivo conflittuale, come ad esempio quello di portare il danneggiato all’isolamento o alle dimissioni, la durata dei comportamenti vessatori e il nesso causale.
Questo comportamento illegittimo, comporta per il danneggiato la possibilità di richiedere il risarcimento del danno che potrà essere di due tipi: patrimoniale o non patrimoniale.
Si parla di profilo patrimoniale quando il risarcimento viene richiesto a fronte dei costi sostenuti, come conseguenza delle condotte vessatorie, mentre di profilo non patrimoniale quando si parla di danno biologico, cioè quello derivante da patologie fisiche o psichiche riportate dal lavoratore, clinicamente accertate, il danno morale consistente nella sofferenza e nel dolore patiti dal danneggiato e il danno esistenziale derivante dallo sconvolgimento delle abitudini di vita.
Ulteriori strumenti di difesa del lavoratore
Oltre al risarcimento del danno, ci sono ulteriori strumenti posti in essere dal nostro ordinamento che garantiscono una protezione del lavoratore danneggiato.
Andiamo a richiamare la normativa che regola i casi di inadempienza nei rapporti contrattuali tra due soggetti, nel caso specifico del mobbing, il lavoratore può rifarsi sul datore di lavoro esplicando la domanda giudiziale di condanna all’esecuzione della prestazione attraverso l’azione di adempimento.
In tal modo il lavoratore può chiedere al datore di lavoro di assolvere alla propria obbligazione oppure far venire meno il contratto di lavoro qualora quest’ultimo sia ancora inadempiente.
A seguito della continua inadempienza del datore di lavoro a garantire l’adozione, secondo l’art. 2087 c.c., di tutte le misure che, secondo le particolarità dell’attività svolta, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, il lavoratore può optare di procedere con le dimissioni per giusta causa.
Il lavoratore danneggiato in quest’ultimo caso avrà diritto a ricevere un’indennità sostitutiva del preavviso ed inoltre il nostro ordinamento gli garantisce l’accesso alla disoccupazione (NASpi) poiché trattasi di vittima di mobbing.
L’onere della prova del lavoratore e del datore di lavoro
A seconda della dinamica che si presenta a seguito di mobbing sul posto di lavoro ci sarà sempre un lavoratore che dovrà presentare le prove di quello che gli è successo.
Nell’ambito della responsabilità contrattuale, in base all’art. 1218 c.c. grava sul lavoratore l’onere di allegare e provare i fatti che determinano la condotta illecita, nel caso del mobbing quella di provare che il datore di lavoro fosse o potesse comunque venire a conoscenza delle condotte persecutorie inflitte al lavoratore.
Dovrà dimostrare l’inadempimento di un’obbligazione preesistente, come abbiamo già detto nei paragrafi precedenti, che si configura con il venir meno delle misure necessarie messe in atto a garantire l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, che l’art 2087 c.c. impone all’imprenditore.
Documenti necessari e azione del mobbizzato
Per dimostrare di essere vittima di mobbing, il lavoratore dovrà riuscire a provare la sussistenza di tutti quegli elementi che costituiscono la condotta illecita, come ad esempio portare in giudizio i documenti, le testimonianze, le registrazioni, i filmati e i messaggi, mentre la prova dei danni alla salute, può essere attestata da una perizia medico-legale, descrittiva delle patologie riscontrate e dell’entità delle lesioni che ne sono conseguite, espresse in termini di punti percentuali di danno biologico.
Il medico curante che sottoscrive la diagnosi del lavoratore, sottoposto a visita medica, qualora ricorrano gli estremi, dovrà indicare che tale patologia è riconducibile al contesto lavorativo, questo sarà di estrema importanza per poter provare la fattispecie in esame in sede giudiziaria, come importanti saranno i certificati medici che il lavoratore dovrà conservare, i certificati clinici quali ad esempio lo psicologo, psichiatra, CTS, Clinica del lavoro, che saranno utili ai fini dell’onere della prova.
Dall’altra parte il datore di lavoro si troverà in due situazioni diverse.
Da una parte se la condotta vessatoria è posta in essere dal lui stesso, quest’ultimo dovrà provare l’insussistenza degli elementi costitutivi e quindi dimostrare di non aver leso nessun diritto del lavoratore e dall’altra parte dovrà garantire l’adempimento della condotta obbligatoria di protezione del lavoratore sul posto di lavoro.
La richiesta di risarcimento del danno
Ricordiamo che il mobbizzato ancor prima di iniziare una prassi giudiziaria ha la possibilità di denunciare i fatti accaduti, è consigliato e si cerca sempre di indirizzare il soggetto a fare questo passo, anche in virtù delle lacune normative che regolano il fenomeno in questione.
Se il lavoratore intende comunque proseguire per vie giudiziarie, la prima richiesta che dovrà fare sarà quella di chiedere la cessazione delle condotte illecite proposte nei suoi confronti, con eventuale richiesta di risarcimento del danno patrimoniale a seguito di tutti gli oneri sostenuti per pagare le spese mediche in funzione del danno subito.
In seguito potrebbe essere richiesto il risarcimento del danno non patrimoniale. Si parla di danno non patrimoniale quando viene cagionato alla persona, alla sfera emotiva del soggetto, si fa riferimento a tutte le sofferenze che il lavoratore giorno dopo giorno ha dovuto subire, intaccando tal volta anche la sua sfera privata, portandolo a subire modifiche nei rapporti con altre persone non solo nell’ambiente di lavoro, ma anche nell’ambito familiare.
Solitamente nella prima fase, il risarcimento per danno non patrimoniale, si configura in danno esistenziale o danno alla vita sociale, fino a sfociare in danno morale o per ultimo la possibilità di richiedere il risarcimento per danno biologico.
I danni subiti dal lavoratore danneggiato possono riscontrarsi in danni lesivi della figura professionale, si pensi ad un lavoratore che a seguito di mobbing viene demansionato o dequalificato, si parla di danni patrimoniali quando a seguito di mobbing la vittima è stata costretta ad acquistare medicinali, a seguire terapie psicologiche, o fare visite mediche.
Nel caso più grave il danno derivante dal licenziamento illegittimo o da dimissioni per giusta causa, alle quali il lavoratore è stato costretto per sfuggire da una situazione non più sostenibile.
Quantificazione del danno
Il soggetto danneggiato, prima di presentare in giudizio la questione, ha la possibilità di intimare il mobber con una denuncia o querela in modo da porre a freno una situazione senza che questa possa sfociare in altri contesti giuridici.
A seguito della condotta continuativa del mobber allora il lavoratore potrà adoperarsi come spiegato nei paragrafi precedenti.
Una volta esaminato il caso, sarà il giudice, a determinare il quantum del risarcimento offerto a favore del danneggiato, la quantificazione dell’ammontare dei danni avviene utilizzando le tabelle previste per il risarcimento del danno biologico, oppure in via equitativa, se non è possibile quantificare il danno nel loro preciso ammontare.
In questo caso, la giurisprudenza usa come parametro la retribuzione spettante nel periodo in cui sono state compiute le condotte illecite.