Il Governo, attraverso la pubblicazione del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 (cd decreto “Cura Italia“) è intervenuto a modificare la disciplina riguardante i contratti di lavoro dipendente. In particolare, è stato introdotto un vero e proprio divieto di effettuare licenziamenti per ragioni economiche per un periodo di 60 giorni successivi all’entrata in vigore del decreto. Inoltre, con il decreto sono state estese le possibilità di ricorso da parte degli imprenditori agli ammortizzatori sociali, anche in deroga. Questo, per scongiurare il rischio di riduzioni del personale.
Per questo motivo può essere interessante andare a ripercorrere la disciplina legata ai licenziamenti del personale dipendente in relazione alle modifiche apportate dal D.L. 17 marzo 2020 n. 18. In particolare, andremo a vedere, senza alcuna pretesa di esaustività, come il decreto cura Italia abbia sospeso le procedure dei licenziamenti, ma con un’eccezione, i dirigenti aziendali.
Vediamo, quindi, la sospensione ai licenziamenti individuali per ragioni economiche e la sospensione dei licenziamenti collettivi.
Chiusura delle attività “non essenziali” e riduzione del fatturato per l’emergenza Covid-19
La riduzione dei consumi legata alle chiusura delle attività economiche emanata dai DPCM 11 marzo 2020 e dal DPCM 22 marzo 2020 hanno portato ad una riduzione delle attività lavorative. La chiusura delle attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e prima necessità ha comportato una netta riduzione della produttività.
Questa situazione, qualora dovesse perdurare, potrebbe costringere gli imprenditori ad adottare misure organizzative volte a compensare la diminuzione del fatturato mediante la riduzione del personale ivi adetto che potrebbe risultare in esubero.
Per fare un esempio, basti pensare al settore industriale, a quello della manifattura, o ancora al settore del commercio al dettaglio (tranne alimentari e beni di prima necessità rimasti aperti).
Naturalmente non possiamo che non augurarci tutto questo, ma è necessario, avere un quadro della situazione, anche per capire possibili conseguenze in capo ai lavoratori dipendenti. Per questo motivo, riprendiamo di seguito gli effetti del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 per quanto riguarda i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (cd “licenziamenti per motivi economici“) e le procedure di licenziamento collettivo.
Divieto di licenziamenti per 60 giorni nel Decreto Cura Italia
La situazione sopra delineata, ovvero, una riduzione del fatturato che porta ad una riorganizzazione produttiva per esigenze non dipendenti dall’impresa è quella che in gergo si chiama “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento.
La definizione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento deriva dall’art. 3 della Legge n. 604/66, secondo la quale deriva da:
Questa motivazione è quella che può portare il datore di lavoro anche all’avvio di procedure di licenziamento collettivo (che vediamo di seguito). Si tratta di licenziamenti dovuti a ragioni economiche sui quali è intervenuto il Governo con il D.L. 17 marzo 2020 n. 18.
Con questo decreto il Governo ha fatto divieto ai datori di lavoro, indipendentemente dal numero di dipendenti occupati, di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo (art. 3 Legge n. 604/66). Il Governo, in queste fattispecie ha offerto la possibilità di dare avvio alle procedure di cui agli art. 4, 5 e 24 della Legge n. 223/91, per un periodo di 60 giorni decorrenti dal 17 marzo scorso (data di entrata in vigore del Decreto Cura Italia).
Sostanzialmente, il Governo ha bloccato, per 60 giorni, la possibilità per le imprese di applicare:
- Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo;
- Licenziamenti collettivi.
La procedura legata ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo
L’art. 46 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 ha disposto il congelamento per un periodo di 60 giorni (dal 17 marzo) delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Vediamo, solitamente, come avviene questo tipo di procedura di licenziamento.
Il datore di lavoro che soddisfi i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (ovvero più di 15 lavoratori per sede o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo) e che intenda procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dipendente con qualifica di:
- Quadro,
- Impiegato,
- Operaio,
assunto antecedentemente al 7 marzo 2015, deve dar corso alla procedura di cui all’art. 7 della Legge n. 604/66.
Sostanzialmente, l’imprenditore deve comunicare la propria intenzione di procedere al recesso, indicandone contestualmente i motivi costituenti il giustificato motivo oggettivo del licenziamento all’Ispettorato Nazionale del Lavoro competente per territorio nonché al lavoratore interessato.
Entro 7 giorni dalla ricezione della comunicazione l’Ispettorato Nazionale sul Lavoro convoca le parti davanti alla commissione di conciliazione. Questo, nel tentativo di conciliazione tra le parti. Ove, le parti non raggiungano un accordo, il datore di lavoro può intimare il recesso all’esito dell’incontro.
In tale ipotesi l’efficacia del licenziamento retroagisce alla data di avvio della procedura e il periodo intercorrente tra detta data e quella in cui il recesso viene concretamente intimato è considerata a tutti gli effetti periodo di preavviso lavorativo.
Il licenziamento dei dirigenti sempre possibile
Un aspetto interessante può essere quello legato alla possibilità di licenziamento dei dirigenti. Infatti, l’art. 46 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 fa esplicito riferimento alla Legge n. 604/66 non applicabile al personale dirigenziale.
Nel caso di recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale per ragioni economiche, infatti, la norma di riferimento è l’art. 2118 del codice civile e non l’art. 3 della Legge n. 604/66, inapplicabile al personale dirigenziale per espressa previsione dell’art. 10 della Legge n. 604/66.
Questo significa che non vi è il divieto di licenziamento individuale per ragioni oggettive per i dirigenti aziendali. Questa categoria di lavoratori, quindi può essere licenziata a causa del Covid-19 anche nel periodo di vigenza del divieto di licenziamento (per 60 giorni) valido per tutti gli altri lavoratori (quadri, impiegati ed operai).
La procedura dei licenziamenti collettivi
L’art. 46 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 ha disposto il congelamento per un periodo di 60 giorni (dal 17 marzo) in caso di procedure di licenziamento collettivo avviate dal 23 febbraio 2020.
La procedura legata ai licenziamenti collettivi è delineata dall’art. 4 della Legge n. 223/91 e consta di due fasi:
- Fase sindacale. Vede coinvolti il datore di lavoro e le associazioni sindacali. La durata non può eccedere i 45 giorni. Nel caso in cui non venga raggiunto un accordo nel corso della consultazione si avvia una seconda fase;
- Fase amministrativa. Si svolge davanti all’ufficio, ministeriale, regionale o provinciale competente e deve esaurirsi nel termine massimo di ulteriori 30 giorni.
La consultazione può avvenire anche senza la fissazione di alcun incontro fisico tra le parti coinvolte, ben potendo la stessa essere espletata con modalità telematiche. Tuttavia, appare alquanto difficile che un’assemblea dei lavoratori, chiamata alla sottoscrizione dell’accordo sindacale, possa validamente formarsi telematicamente.
Licenziamento dei dipendenti nell’emergenza Covid-19: conclusioni
Quello che possiamo dire è che il Governo è intervenuto per bloccare le possibili esigenze di licenziamento da parte di aziende che si trovano in situazioni di chiusura. Naturalmente, un periodo di 60 giorni non può essere una soluzione definitiva alla questione. Infatti, a parere di chi scrive, anche se in questo lasso di tempo – come ci auguriamo – l’emergenza da Covid-19 fosse passata, difficilmente le imprese potrebbero ripartire – specialmente quelle del settore industriale – a piena produzione.
Questo significa che, molto probabilmente, le misure volte, non tanto al divieto di licenziamento, ma piuttosto all’erogazione di ammortizzatori sociali, dovranno essere potenziate e prolungate nel tempo. Ci auspichiamo che l’occhio attento del legislatore capisca per tempo ed intervenga prontamente. Nel frattempo continueremo a tenervi aggiornati sul nostro portale.
La legge è chiara e gli imprenditori rimangono furbi. Cambiando un termine, essi ottengono quello che vogliono lasciando a casa i dipendenti. Impugnare il licenziamento durante questo periodo vuol dire ottenere qualcosa forse.. dopo mesi, mesi.. mesi.. e ribadisco forse qualcosa. Intanto la gente è senza lavoro e successivamente dubito che ci saranno molte nuove offerte di lavoro. Spero di sbagliarmi. ‘Vorrei essere nata volpe.’
Sicuramente ci saranno imprenditori furbi, ma la maggioranza saranno imprenditori indebitati e forse anche disperati, la serrata ha colpito soprattutto le aziende, sia imprenditori che dipendenti, scaricare la colpa sempre agli imprenditori è uno sbaglio. La task force per l’economia non ha ancora fatto niente, l’unica certezza è l’incertezza. Intanto la situazione peggiora e ogni giorno che passa la voragine si ingrandisce.
La minor produttività e lenta ripresa sono un male per le aziende e di conseguenza per i dipendenti, ci sono anche le famiglie dei soci che prestano l’opera che vivono del lavoro della propria azienda e rischiano di non aver reddito per i bisogni primari. Bisogna smettere con l’equazione imprenditore=ricco, siamo tutti sulla stessa barca, Comunque un “in bocca al lupo” a Una Cittadina Ignorata.
Dietro ad ogni persona c’è una storia, conosco storie di imprenditori che lucrano alle spalle dei sussidi e dei dipendenti e storie di dipendenti che lucrano alle spalle di onesti imprenditori. Così come esistono imprenditori che rispettano gli obblighi fiscali e legislativi e sono in difficoltà per i costi elevati e lavoratori che vivono il lavoro come fosse l’unica missione della vita. I valori o ci sono o non ci sono, che tu sia lavoratore o imprenditore.
Scusate se mi intrometto, ma quando un cantiere finisce con il blocco dei licenziamenti cosa fa un imprenditore, si porta gli operai a casa, non era meglio se si poteva accedere subito ad la cassa integrazione in deroga, ma se non sei stato assunto prima di marzo non puoi, è successo ad un mio operaio che aveva un contratto a termine, non si è potuto regolarizzare e quindi metterlo in cassa integrazione per scadenza del contatto.