Può usufruire del regime dei lavoratori impatriati la persona fisica che rimpatria in Italia lavorando per una diversa società appartenente allo stesso gruppo societario. Lo afferma la sentenza della CTP di Milano n 3395/1/2019 sul legame tra datori di lavoro nel regime impatriati.
Il regime fiscale di favore per il rientro dei lavoratori in Italia, di cui alla Legge n 238/2010, articolo 2, si applica anche al lavoratore che rientra in Italia alle dipendenze della stessa società per cui lavorava prima del trasferimento.
Sostanzialmente, diventa irrilevante il fatto che il lavoratore abbia svolto un periodo di lavoro all’estero alle dipendenze di una stessa azienda del gruppo. La sentenza che afferma tutto questo è la n. 3395/1/2019 emessa dalla CTP di Milano.
L’aspetto importante di questa sentenza è dato dall’interpretazione della norma fornita dai giudici, secondo i quali la norma non pone restrizioni al legame tra datori di lavoro.
Questa sentenza, seppur relativa ad una norma agevolativa precedente all’agevolazione impatriati, si può estendere a quest’ultima norma per analogia.
Vediamo, il caso analizzato dalla commissione tributaria provinciale di Milano.
Accertamento verso un lavoratore impatriato in Italia
La vicenda trae origine da un questionario trasmesso ad un contribuente da parte dell’Agenzia delle Entrate di Milano. Obiettivo del questionario è la verifica dei requisiti necessari all’applicazione del regime di favore.
Con il questionario l’Agenzia delle Entrate ha richiesto la documentazione utile alla verifica della residenza fiscale e delle eventuali agevolazioni previste per il rimpatrio in Italia.
Il contribuente aveva ritenuto applicabile l’agevolazione legata ai lavoratori impatriati al rientro in Italia, avvenuto nel dicembre 2010. Il rimpatrio era avvenuto alle dipendenze della stessa società italiana presso cui aveva lavorato fino al 2008. Da quel momento il lavoratore aveva iniziato a svolgere un periodo di oltre 24 mesi all’estero presso una società americana collegata alla società italiana.
L’Agenzia delle Entrate, non ritenendo soddisfatte le condizioni richieste dalla norma contestava la posizione del contribuente. In particolare, secondo l’ufficio vi era una indebita fruizione dell’agevolazione per mancanza del requisito della discontinuità, necessario per l’applicazione del regime.
Indebita fruizione che porta a sanzioni che vanno dal 90% al 180% delle maggiori imposte dovute, per infedele dichiarazione.
Discontinuità dell’attività: la posizione dell’ufficio
L’ufficio riteneva che l’attività svolta all’estero nel periodo 2008/2010 rappresentasse una mera prosecuzione dell’attività svolta in Italia fino al 2008. Dalla documentazione prodotta, infatti, risultava che il contribuente fosse stato assunto in Italia. Si trattava di un contratto di lavoro dipendente a tempo determinato presso la capogruppo italiana.
Tale contratto era stato stipulato in attesa di ricevere un contratto a tempo indeterminato presso la società controllata americana.
Per l’ufficio accertatore i due datori di lavoro dovevano ritenersi soltanto formalmente distinti. Sostanzialmente, si era di fronte ad una situazione di mera prosecuzione del contratto di lavoro precedente.
Il contribuente impugnava l’atto impositivo (avviso di accertamento) ed il ricorso viene pienamente accolto dalla CTP di Milano.
La decisione della CTP di Milano: non vi è legame tra datori di lavoro
I Giudici nella sentenza hanno ripercorso il quadro normativo di riferimento e ricordano che la norma ha come ratio quella di contribuire allo sviluppo del Paese, attraendo in Italia, grazie ad un regime di favore, capitale umano dall’estero.
E’ proprio grazie alla ratio della norma che i giudici arrivano a riconoscere l’agevolazione al contribuente impatriato.
Secondo la CTP il legislatore non ha posto alcuna restrizione normativa in merito all’eventuale controllo/collegamento tra il datore di lavoro estero e quello italiano. E’ sufficiente, quindi, che si tratti di società tra loro formalmente autonome, non rilevando in alcun modo che esse appartengano allo stesso gruppo.
Nel caso concreto l’autonomia formale delle due società era soddisfatto i giudici concludono che il rientro in Italia del lavoratore costituiva una nuova assunzione e non la prosecuzione di un rapporto di lavoro precedente. Il tutto, con conseguente annullamento dell’atto e condanna dell’ufficio al pagamento delle spese di lite.
Legame tra datori di lavoro non influente nel regime degli impatriati
Questa sentenza apre ad un prima possibile interpretazione su quello che fino ad oggi è un vuoto non chiarito dalla prassi. Mi riferisco alla possibilità per un lavoratore di rientrare in Italia godendo dell’agevolazione impatriati, andando a lavorare per una società dello stesso gruppo.
Sino ad ora non vi era mai stato alcun chiarimento su questo tipo di fattispecie. Con la sentenza, invece, si fornisce una prima posizione giurisprudenziale in merito. Posizione secondo la quale il legame tra datori di lavoro non è influente per l’ottenimento di agevolazioni.
Quello che, invece, assume importanza è il fatto che le due società siano tra loro formalmente autonome, quindi dirette da entità diverse. Questo è il requisito principale da rispettare in una casistica come questa.
Nella mia prassi di consulenza verso i contribuenti su questa agevolazione posso assicurarti che ci sono tantissimi casi di soggetti che rientrano in Italia per società di uno stesso gruppo. Con questa interpretazione vi è una prima interpretazione di apertura verso questa possibilità. Il tutto, sempre in attesa di una possibile posizione da parte dell’Agenzia delle Entrate.
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