L’interdetto è un soggetto sottoposto ad una misura di protezione a presidio dell’interesse dei soggetti deboli oppure egli è un soggetto sottoposto a pena accessoria. L’interdetto è un soggetto sottoposto alla misura dell’interdizione. Quest’ultima si connota per una particolare rigidità, precludendo il compimento della quasi totalità degli atti dotati di rilevanza giuridica al soggetto sottoposto ad essa. Proprio questa sua mancanza di flessibilità che ha indotto poi il legislatore ha introdurre nuovi strumenti di tutela, come l’amministrazione di sostegno.
L’interdizione, invero, si distingue in giudiziale e legale.
L’interdetto giudiziale è il soggetto infermo di mente, che è sottoposto ad una misura, tramite la quale si intende evitare che siano posti in essere atti giuridicamente rilevanti dal punto di vista economico. Dunque, il principale obiettivo è quello di andare a prevenire eventuali danni ai loro interessi. Questa costituisce lo strumento di tutela maggiormente rigido, posto a presidio del patrimonio dell’incapace. L’interdizione legale, invece, è una pena accessoria, che viene comminata a seguito della condanna per specifici reati. Dunque, le due figure nascono da presupposti ben distinti.
L’interdetto legale
Possiamo brevemente individuare il quadro normativo che trova applicazione all’interdizione legale. Questa, invero, costituisce una c.d. pena accessoria.
Con ciò si intendono tutte quelle pene, che conseguono ad alcune condanna, che hanno, non solo hanno carattere sanzionatorio, ma tutelano anche un interesse ulteriore. Le pene accessorie comportano, in genere, una limitazione dei diritti costituzionalmente riconosciuti all’individuo. Si distinguono dalle pene principali della: reclusione/arresto ed ergastolo, multa/ammenda.
Nella maggioranza dei casi, sono pene che vengono applicate facoltativamente dal giudice. Tuttavia, può accadere che esse siano anche obbligatoriamente previste, cioè conseguono automaticamente alla condanna per determinati reati. In tale ipotesi, il giudice al più ne dà atto in sentenza.
L’interdizione legale, in genere, è la conseguenza naturale e automatica di una condanna all’ergastolo o comunque una pena non inferiore ai 5 anni di reclusione. Dunque, è una pena accessoria automatica, non necessariamente deve essere dichiarata in sentenza, ciò in quanto è un effetto che discende direttamente dalla legge stessa. La pronuncia del giudice non ha quindi un effetto costitutivo.
Questa, invero, è una prima differenza rispetto all’interdizione giudiziale, dove invece la sentenza ha effetto costitutivo. Affinché operi il relativo regime, è necessaria la pronuncia del giudice.
Il soggetto interdetto è, però, tenuto a promuovere la nomina del tutore. Questo, infatti, si occuperà di gestire il patrimonio del soggetto condannato. Tale attività è svolta seguendo l’indirizzo promosso dal giudice tutelare, competente in base al luogo del domicilio o residenza del reo.
Al termine della pena, cessano anche gli effetti dell’interdizione. Anche in questo caso la pronuncia del giudice non è necessaria.
Presupposti
Come affermato poc’anzi, l’interdetto legale è un soggetto sottoposto a condanna per un reato punito con la pena dell’ergastolo o comunque della reclusione non inferiore a 5 anni. Questo dunque è il principale presupposto dell’interdizione legale, il cui effetto non potrà prodursi in circostanze diverse. A tal fine si dovrà tener conto del massimo edittale previsto per il reato specifico in astratto.
La sanzione accessoria, inoltre, ha una durata equivalente a quella della pena principale. Dunque, al fine di capire quanto dovrà durare suddetta pena si deve tener conto solo della pena principale erogata.
L’interdizione legale, come evidenziato sia in giurisprudenza che in dottrina, è una conseguenza della sola sentenza definitiva di condanna. Quindi, il condannato in primo e secondo grado, se la sentenza è oggetto di impugnazione, non potrà esser considerato interdetto legalmente.
Nè, invero, rileva in tal senso, che il condannato stia scontando delle misure preventive, limitative della libertà personale. L’interdizione, infatti, produce effetto soltanto nel momento in cui il soggetto del reo stia scontando la pena definitiva, e non altra misura limitativa.
Effetti dell’interdizione legale
L’interdetto legale, come è immaginabile, non potrà esercitare alcuni specifici diritti. In particolare, la disciplina volta a limitare la misura è individuata da alcune norme sia del codice civile che dell’ordinamento penitenziario. A tal proposito si prevede che in caso di interdizione legale:
- gli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione sono compiuti dal tutore. In sua assenza, o in caso di conflitto di interesse, sono rimessi al protutore;
- l‘interdetto è incapace assoluto;
- laddove siano compiuti atti dall’interdetto, questi sono invalidi, in caso di interdizione legale sono radicalmente nulli, non è neanche necessaria la pronuncia di annullamento come accade in caso di interdizione giudiziale;
- gli atti di straordinaria amministrazione di cui all’art. 374 cod. civ. devono essere autorizzati dal giudice tutelare, affinché siano validi;
- per gli atti di straordinaria amministrazione di cui all’art. 375 cod. civ. è altresì necessaria autorizzazione del tribunale, dietro parere del giudice tutelare. L’atto compiuto in violazione delle norme è nullo;
- l’eredità deve essere necessariamente accettata con beneficio di inventario. Anche in tal caso serve l’autorizzazione del giudice tutelare;
- l’attività di impresa deve essere autorizzata dal Tribunale.
L’interdetto giudiziale
Mentre l’interdetto giudiziale è, invece, un istituto posto a presidio dell’interesse dell’infermo o dell’incapace. Ha come principale finalità quella di prevenire atti lesivi del patrimonio dell’incapace. L’interdizione giudiziale è rivolta a:
- soggetto maggiorenne infermo di mente;
- soggetti minori emancipati;
- minori nell’ultimo anno della minore età. A tal proposito, l’art. 416 c.c. dispone che l’interdizione può essere pronunciata anche prima della maggiore età, sospendendone gli effetti. Dunque, l’interdizione produrrà effetti a partire dalla maggiore età del soggetto. In tal modo, quindi, si evita che il soggetto acquisti la capacità di agire, anche se per un limitato periodo di tempo.
Presupposti
L’interdizione giudiziale presuppone che l’interdetto sia:
- infermo di mente;
- incapace a provvedere ai propri interessi.
Dunque, l’interdetto è un soggetto che versa in specifiche condizioni.
Si parla di condizione di abituale infermità mentale quando non è necessario procedere ad accertare una patologia. Essa deve essere riconoscibile in base alla presenza di specifiche caratteristiche, ove si individui un evidente profilo psicologico. E’ un’alterazione delle facoltà mentali, che talvolta coinvolge anche patologie fisiche.
Essa deve essere connotata da:
- abitualità: non rilevano episodi a carattere sporadico;
- gravità: l’alterazione deve comportare un’incapacità assoluta.
Tale condizione deve essere poi tale da comportare un’assoluta incapacità a provvedere ai propri interessi, intesi sia in senso economico ma anche di natura personale.
Chi può chiedere l’interdizione?
Il soggetto può esser interdetto mediante provvedimento del giudice che è emanato su richiesta di specifici soggetti. Possono proporre istanza:
- il soggetto che deve essere interdetto;
- il coniuge;
- il convivente, purché la convivenza sia stabile;
- i parenti entro il quarto grado (figli, fratelli, padre, zii, nonni, bisnonni, nipoti e pronipoti);
- gli affini (parenti del coniuge) entro il secondo grado;
- il Pubblico Ministero.
Procedura di interdizione giudiziale
Il soggetto è interdetto giudizialmente all’esito di un’apposita procedura, che comporta anche il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria.
In primo luogo, la procedura deve essere avviata mediante presentazione del ricorso, ad opera di uno dei soggetti indicati nel paragrafo precedente. Deve essere presentata domanda al Presidente del Tribunale. Quest’ultimo, a sua volta, è tenuto a darne comunicazione al Pubblico Ministero, salvo che il ricorso provenga dallo stesso. Il PM può chiedere che il ricorso sia respinto con decreto. Laddove ciò non accada, il Presidente provvede alla nomina del giudice istruttore. Questo fissa l’udienza di comparizione.
Il Giudice Istruttore è chiamato ad eseguire una serie di attività:
- deve decidere se interdire, quindi provvede all’esame del soggetto presunto incapace, eventualmente avvalendosi di un consulente tecnico;
- nominare d’ufficio un tutore provvisorio, se ritiene che debbano essere compiuti atti urgenti;
- ascoltare i pareri dei soggetti citati nel ricorso;
- chiedere, se occorre, ulteriori informazioni.
Con la sentenza di interdizione viene scelto il tutore, in genere tra i membri della famiglia dell’incapace. Ove questi manchino, si provvede a nominare un soggetto terzo.
Effetti dell’interdizione
L’interdetto giudiziale non può compiere una serie di atti autonomamente. In alcuni casi possono essere compiuti dal tutore, in altri è necessaria anche apposita autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale.
Il tutore può autonomamente compiere:
- atti di ordinaria amministrazione;
- tenere la contabilità dell’amministrazione;
- rendere annualmente il conto al giudice tutelare.
Mentre potrebbe esser necessaria l’autorizzazione del giudice per:
- atti dispositivi;
- atti straordinaria amministrazione;
- accettazione eredità;
- locazione.
In alcune ipotesi, è altresì necessaria l’autorizzazione del Tribunale, come per:
- promuovere i giudizi di divisione;
- specifici atti di straordinaria amministrazione;
- stipulare transazioni, accettare concordati, fare compromessi.
Il tutore è, altresì, tenuto a:
- garantire rappresentanza legale dell’incapace;
- presiedere alla cura della salute, della sicurezza e della pulizia dell’interdetto;
- l’amministrare il patrimonio dell’interdetto.
Eventuali atti compiuti in violazione del presente regime sono annullabili.
Interdizione giudiziale e atti personalissimi: differenza amministrazione di sostegno
L’interdizione giudiziale, come è evidente, trova applicazione rispetto alla totalità degli atti che l’incapace è tenuto a compiere. Ciò ha comportato una serie di conseguenze pregiudizievoli e di incertezze applicative.
La principale problematica attiene ai c.d. atti personalissimi, quale, primo fra tutti, il matrimonio. Infatti, in questo caso è dubbio se il tutore possa provvedere anche a questi atti che attengono alla sfera intima del soggetto incapace.
Proprio a tal fine, il legislatore ha introdotto la c.d. amministrazione di sostegno. Questa figura si connota per un maggior grado di flessibilità e si adegua alle esigenze del caso concreto.
In genere, si ritiene che tale istituto operi con riferimento alle forme di incapacità mentale, sebbene la normativa formalmente non esclude quelle fisiche. Tuttavia, la giurisprudenza ha sostenuto che, ove il soggetto sia inabile fisicamente, ma capace mentalmente, è preferibile ricorrere ad altri istituti, che non comportino impiego di risorse pubbliche.
In tale ipotesi, il giudice con decreto di nomina dell’amministratore, sarà tenuto ad indicare gli specifici atti che potrà compiere in luogo dell’incapace. Gli altri atti, non citati nel decreto, possono esser posti in essere dal soggetto debole tutelato.
Il legislatore, tuttavia, non ha eliminato gli istituti dell’interdizione o dell’inabilitazione. La decisione di ricorrere all’uno piuttosto che all’altro dipende dalla natura del patrimonio. Infatti, ove esso sia cospicuo e complesso, potrebbe risultare preferibile ricorrere all’interdizione, piuttosto che all’amministrazione di sostegno.