Con ordinanza n. 4418 del 10/02/2022, la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata sul tema dell’assoggettabilità degli enti non profit alle norme dello statuto speciale dell’imprenditore commerciale, e nello specifico alle disposizioni che regolamentano il fallimento e le altre procedure concorsuali.

Da un lato il perseguimento di un fine solidaristico e il divieto di distribuzione degli avanzi di gestione conseguiti; dall’altro la possibilità (se non, a volte, vera e propria necessità) di svolgere accanto all’attività istituzionale, in via sussidiaria o accessoria (se non addirittura prevalente), anche attività di natura commerciale.

È attorno a questi due estremi che si sono articolati i ragionamenti della dottrina e i dispositivi degli organi giurisprudenziali sul tema della fallibilità di un ente senza scopo di lucro. D’altronde, se può fallire, per definizione, un ente che annovera tra i suoi scopi quello primario del perseguimento di lucro, di creazione di ricchezza economica, come potrebbe esserlo l’ente che, al contrario, non persegue un lucro e in luogo della ricchezza economica crea ricchezza in termini etico-solidaristici? E il semplice fatto che per raggiungere tale scopo possa avvalersi anche di strumenti che gli permettano di raggiungere un lucro potrebbe bastare a dichiararne il fallimento se non più capace di assolvere regolarmente alle proprie obbligazioni? Domande legittime con risposte che solo in apparenza possono sembrare scontate, nascondendo il più delle volte non poche insidie concettuali.

La questione della fallibilità di un Ente Non Profit

Il tema della fallibilità di un ente con finalità non lucrative ha da sempre rappresentato, insieme a diverse altre, una questione di non facile soluzione che dottrina e giurisprudenza si sono trovate non di rado a trattare, addivenendo quasi sempre ad orientamenti divergenti. La difficoltà nel trovare un punto fermo per giustificare l’assoggettabilità di tali enti alle norme che regolano le procedure concorsuali, risiede in due caratteri strutturali (uno necessario, l’altro eventuale) che li connotano: da un lato la sussistenza del vincolo di non distribuzione, tra i propri componenti, degli eventuali profitti conseguiti (carattere necessario); dall’altro la possibilità che gli stessi possano svolgere, accanto all’attività istituzionale, anche una o più attività di natura commerciale indicate dall’art. 2195 c.c. e rivestendo nel contempo i requisiti della professionalità e dell’organizzazione previsti dall’art. 2082 c.c. (carattere eventuale).

Se sul piano fiscale la contemporanea presenza di tali caratteri non assume alcuna rilevanza ai fini della qualificazione della loro natura di enti non commerciali (si vedano al riguardo i riferimenti del TUIR in relazione alla decommercializzazione di talune attività), su quello civilistico possono sorgere diverse problematiche soprattutto in merito all’interpretazione del concetto di lucro, sempreché, ovviamen...

Questo articolo è riservato agli abbonati:
Scopri come abbonarti a Fiscomania.com.


Sei già abbonato?
Accedi tranquillamente con le tue credenziali: Login